2025-09-29
Sta per scoppiare la bolla dei droni?
Lo prevede il numero uno di Rheinmetall, colosso tedesco delle armi. Il rapido calo dei prezzi e lo sviluppo delle capacità di intercetto potrebbero dargli ragione.L’Intelligenza artificiale rivoluzionerà il settore. Nell’Ue Berlino detta i tempi. L’Italia con Piaggio Aero ha perso un’occasione.Nel 2024 il settore è cresciuto del 10%. Dietro al leader Leonardo, ci sono altre 656 imprese. Investimenti per ispezionare le linee elettriche e monitorare il territorio.Lo speciale contiene tre articoli.Che siano aerei, terrestri, marini oppure subacquei, tutti li vogliono. Sono i droni militari da difesa, attacco, per la guerra elettronica oppure per vigilare sulle infrastrutture in fondo al mare. Era prevedibile, del resto il «drone» rappresenta l’estensione dei sensi umani laddove si può minimizzare il rischio tipicamente umano della morte, aspetto oggi inevitabile della guerra. I vantaggi operativi del settore «Unmanned» sono innegabili: abbassano i costi, riducono al minimo i rischi per il personale, aumentano la consapevolezza della situazione sul campo di battaglia, migliorano la precisione e l’efficacia in combattimento. Ma sono pochi i Paesi che negli ultimi 15 anni hanno avuto governi lungimiranti riguardo a questo settore e che hanno favorito gli investimenti, e meno ancora sono stati i manager dell’industria militare in grado di avere la visione corretta, che invece non è sfuggita alla Cina e neppure all’Iran. Le grandi potenze tecnologiche occidentali, Usa e Israele in primis, non hanno perso tempo, mentre le nazioni europee stanno recuperando il ritardo e per farlo sfruttano l’esperienza di Kiev nella guerra russo-ucraina. Non è un caso che il ministero per la Trasformazione digitale del governo di Zelensky conti un centinaio di imprese che progettano e fabbricano droni di vario tipo, finanche trasformando velivoli leggeri nati per diporto, come nel caso dell’azienda Aeroprakt. Si prevede quindi che l’economia dei droni militari cresca rapidamente, con stime del valore del mercato per il 2030 che dai circa 23 miliardi di dollari attuali arriveranno a oltre 85 miliardi. Un numero alto, giustificato dal fatto che non c’è soltanto la costruzione degli oggetti volanti in sé, quanto l’evoluzione dell’elettronica da installare a bordo e l’intelligenza artificiale da sviluppare, quella che, per esempio, consentirà a questi prodotti di scegliere e decidere come attaccare i loro bersagli. E se oggi le applicazioni più comuni sono estese a sorveglianza, ricognizione e attacco come mezzi pilotati da remoto, sono già in corso le prove per farli agire insieme con un velivolo d’attacco pilotato da un umano (è il caso dei Cca, Collaborative Combat Aircraft). E potranno aggirare le difese stabilendo la tattica opportuna più rapidamente di quanto potrebbe fare qualsiasi umano in comando. Ci sono però due fattori da considerare. Il primo: per fabbricarli servono componenti pregiati come i microprocessori fatti negli Usa, a Taiwan e (pochi) in Europa, questo significa soffrire di dipendenza da quelle nazioni. Il secondo: i droni militari potrebbero non garantire la crescita a lungo termine che molti si aspettano, come ha dichiarato questa settimana il ceo del colosso tedesco Rheinmetall, Armin Papperger, affermando al Wall Street Journal che il mercato dei droni potrebbe trasformarsi nella più grande bolla del settore della Difesa.Dalla fiera londinese delle armi (Dsei 2025), Papperger ha espresso dubbi sul fatto che le vendite di droni manterranno la traiettoria «esplosiva» registrata dall’invasione russa dell'Ucraina. E il suo avvertimento è significativo, considerando la posizione di Rheinmetall, oggi il produttore di armi con la più rapida crescita in Europa per valore di mercato. Secondo il manager il mercato dei droni non è così ampio e potrebbe essere sopravvalutato: «Personalmente non sono convinto che il settore dei droni sia grande come si pensa», ha spiegato, «credo che potrebbe trasformarsi in una grande bolla». Intanto però c’è chi fa affari d’oro: un esempio è la ex- startup americana Anduril Industries, fondata nel 2017 e oggi valutata oltre 30 miliardi di dollari, azienda con in pancia alcuni dei più avanzati droni e Cca ai quali è interessata l’Usaf, supportata da un ampio tessuto industriale, quello californiano, al punto di competere con colossi come Lockheed-Martin (che fa i caccia F-22 e F-35). Al contrario, l’Europa conta pochi attori nel settore dei droni militari: la portoghese Tekever, le tedesche Quantum Systems e Helsing (nata nel 2021 e valutata 12 miliardi di euro). Quest’ultima ha rilevato lo storico costruttore di aeroplani leggeri Grob Aircraft, ha poi tentato un accordo con Rheinmetall, ma di fatto ha spinto quest’ultima verso Anduril. Uno dei motivi è che, a differenza dell’industria aeronautica tradizionale, che porta ricavi nel medio e lungo periodo, l’industria dei droni è molto rapida, somigliando più a quella dell’elettronica di consumo. E Papperger sa che per restare al passo con la rapidità di questo settore occorre avere dalla propria parte alleati industriali specializzati, per questo ha firmato l’accordo con Anduril, pena assistere a una diffusione rapida della tecnologia e quindi alla veloce perdita del valore aggiunto, come già avvenuto nel campo dei droni e dei loro sensori per uso civile e ricreativo. Oggi droni militari a corto raggio costano cifre vicine a 1.000 euro l’uno, mentre se a lungo raggio si avvicinano ai 2.500 euro, come ha osservato lo stesso ceo a Londra durante la conferenza stampa al Dsei ’25, dove Rheinmetall ha dichiarato di prevedere vendite di droni tra i 120 e i 140 milioni di euro quest’anno. Papperger ha anche dichiarato che i governi, fino a oggi, non hanno firmato contratti sufficienti per supportare tale crescita, anche perché le nazioni europee non hanno necessità di avere centinaia di migliaia di droni che diventano rapidamente obsoleti negli arsenali. Ma un aumento della richiesta potrebbe avvenire presto con l’approvazione del programma «Muro di droni» che Ursula Von der Leyen vorrebbe portare in Commissione questo autunno. Nonostante la cautela sui droni, Rheinmetall ha visto la sua capitalizzazione salire dai 4,2 miliardi di euro del 2021 (prima della guerra russo-ucraina) agli oltre 86 miliardi di euro d’oggi e punta ad aumentare la sua quota del mercato europeo della Difesa dal 5% al 27% entro il 2030 (dati Barclays), raggiungibile anche cedendo alcune attività civili, acquisendo realtà tecnologiche preziose ma più piccole e mettendo un piede nella produzione di sistemi navali (nel mirino c’è la tedesca Naval Vessels Luerssen) e in quelli spaziali. A gonfiare la bolla finanziaria sui droni militari ci sono anche dichiarazioni come quella del segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth, il quale a luglio li ha definiti «la più grande innovazione sul campo di battaglia in una generazione», promettendo di accelerare l’approvvigionamento e di approvare l’acquisto di centinaia di modelli americani da parte delle Forze Armate. Hegseth ha spiegato: «I nuovi droni dovrebbero essere economici, rapidamente sostituibili e classificati come materiali di consumo». Dunque lo scetticismo di Rheinmetall sul mercato dei droni pone una domanda importante: l’attuale boom di questi prodotti si basa su una domanda concreta, oppure il rapido calo dei prezzi e le prossime tecnologie anti-droni ne eroderanno in fretta la redditività? Del resto, seppure i droni si siano dimostrati decisivi in Ucraina, il loro ruolo nei conflitti futuri potrebbe essere meno importante di quanto si creda. I commenti di Papperger arrivano nel momento in cui, dopo gli episodi (casuali?) dei droni e degli aeroplani russi che hanno sconfinato, la pressione mediatica sulla politica e sull’opinione pubblica per finanziare contratti con fondi pubblici è enorme, o per meglio dire è quello che serve per far votare a favore l’assemblea di Bruxelles.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/droni-crescita-tecnologia-2674050149.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-nuova-frontiera-svincolarli-dal-gps-e-presto-salveranno-soldati-in-autonomia" data-post-id="2674050149" data-published-at="1759135027" data-use-pagination="False"> La nuova frontiera: svincolarli dal Gps. E presto salveranno soldati in autonomia Sia per il settore dei droni commerciali, sia per quello della Difesa, occorrono costanti azioni di diversificazione e innovazione. Le tensioni geopolitiche portano alle decisioni, ma sono gli ingegneri a progettare i droni che risolvono problemi, siano essi aerei, navali, subacquei o terrestri. In tutti i campi sta prevalendo la necessità di svincolarne la navigazione dai sistemi satellitari come il Gps, i quali resteranno facilmente disturbabili fino all’entrata in servizio delle nuove generazioni di costellazioni, oggi in fase sperimentale da parte di Usa e Cina. Ne è conferma il fatto che sui droni usati dai russi contro l’Ucraina vengono ritrovate schede telefoniche che consentono il collegamento dati con il centro di comando e controllo sfruttando le reti cellulari del nemico e di nazioni limitrofe, peraltro segnali più difficilmente localizzabili e riconoscibili. Ciò comporta anche un’evoluzione delle stesse reti di comunicazione di tipo cellulare, che attraverso nuovi software dovranno poter riconoscere, localizzare ed escludere il traffico illecito o nemico. Ma tant’è, i crescenti conflitti territoriali e le controversie di confine richiedono maggiori capacità di sorveglianza e ricognizione, alimentando la domanda di droni.La successiva questione riguarda le capacità d’intelligenza artificiale e autonomia da incorporare: sono fattori importanti per l’espansione del mercato così come le prestazioni delle micro-telecamere ad alta risoluzione e dei software che le supportano. Ma i droni hanno anche i limiti: giocoforza quelli volanti di piccole dimensioni e basso costo sono lenti, operano a quote limitate e risultano vulnerabili. Quelli terrestri, grazie all’autonomia decisionale data dall’Ia presto trasporteranno i soldati e recupereranno i feriti. Le tipologie subacquee (detti Uuv), dovranno avere autonomie molto estese, anche di un anno, capacità di autoriparazione come accade sui satelliti e sempre più facoltà di apprendimento autonomo, anche se sono già in servizio modelli che distinguono esseri viventi da infrastrutture e riescono a creare procedure per effettuare interventi e riparazioni sul fondo del mare. La forte crescita degli episodi di sabotaggio e della spesa militare a livello globale sono fattori chiave che alimentano mercato e ricerca, ma occorre adeguare la catena di approvvigionamento e accelerare gli investimenti.Ma oggi in Europa è la Germania a dettare tempi e regole: il gigante Rheinmetall punta ancora sui sistemi di difesa aerea tradizionali come le torrette Skyranger che possono essere montate su veicoli blindati, eventualmente trasformabili in mezzi unmanned (senza uomini a bordo). Secondo i tedeschi, i governi europei potrebbero ordinarne fino a 1.500 unità entro il 2030, con la sola Germania che potrebbe potenzialmente acquisirne 650-700. Per esempio, il nuovo carro armato (Main Battle Tank) italiano sarà costruito da Leonardo e Rheinmetall Military Vehicles sulla base del KF-51 Panther tedesco, con il nome di Lrmv-Mbt. L’accordo prevede investimenti per un totale di circa 8 miliardi di euro e porterà alla costruzione di 380 unità, con la produzione distribuita tra Germania e Italia, e alla fornitura di ulteriori veicoli specializzati. Rheinmetall fornirà il telaio, la struttura della torretta (incluso il sistema di caricamento automatico dei colpi), i sistemi di protezione attiva e altri sistemi principali. Leonardo, invece, fornirà le torrette (HitFist e HitRole), il radar, i sistemi di navigazione e di contromisure cibernetiche/elettroniche e le comunicazioni, occupandosi dell’integrazione finale del sistema e della sua messa in servizio. Meglio di niente, ma non sarà tecnologia unmanned e in Italia, a parte la produzione marcata Leonardo (con l’elicottero AwHero e il velivolo Falco Xplorer), partecipiamo ai programmi Skydweller ed Eurodrone, e abbiamo anche fatto parte del progetto Neuron insieme con i francesi di Dassault. Eravamo quindi partiti bene, salvo poi rallentare tra un cambio di governo e l’altro e, a parte le piccole produzioni (come quelle di Alpi Aviation con il modello Strix), tra il 2013 e il 2015 avevamo fatto progressi con Piaggio Aero e il suo programma P1HH Hammerhead, purtroppo per noi vincolando l’azienda agli arabi salvo poi lasciarla per otto anni in amministrazione controllata in attesa della vendita, e quindi preferire i Predator americani che però servono per fare missioni molto differenti. Persino l’Ente nazionale aviazione civile (Enac), con un finanziamento apposito, nel 2016 aveva sostenuto il prodotto P1HH ipotizzando voli dimostrativi che, se portati a termine, avrebbero consentito di creare un drone per media quota e lunga autonomia in grado di trasportare 500 kg di beni (medicinali, organi, eccetera), lungo la Penisola, volando insieme con il traffico aereo convenzionale. Sarebbe stata l’occasione per arrivare primi in Europa e secondi al mondo in questo campo. Oggi Piaggio Aero è stata ceduta alla turca Baykar, e questa ha costituito la joint venture Lba con Leonardo. Così si scommette (o meglio, si spera), che ci siano investimenti tali per fare il necessario salto tecnologico e avviare la filiera che serve per arrivare al passo con chi nel frattempo è evoluto. Molto meglio, invece, facciamo in ambito subacqueo con Saipem, all’avanguardia con la sua produzione e già operativa con unità che operano sui fondali. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/droni-crescita-tecnologia-2674050149.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="in-italia-un-mercato-da-160-milioni" data-post-id="2674050149" data-published-at="1759135027" data-use-pagination="False"> In Italia un mercato da 160 milioni I droni sono diventati i protagonisti dei conflitti ma stanno acquistando spazi importanti anche per usi civili, nella mobilità e nel delivery. E questo ha portato le industrie a investire massicciamente con l’obiettivo di conquistare quote di mercato sempre maggiori. Recentemente il ceo di Rheinmetall, la più grande azienda europea di armi, Armin Papperger, in una intervista a Class Cnbc, ha sottolineato il ruolo centrale nella competizione globale, svolto dall’Italia nel settore. Il manager ha rivelato che la fabbrica in Sardegna del colosso tedesco quest’anno «produrrà droni per un valore di 120 milioni di euro» mentre in quella di Roma si realizza lo Sky Ranger, ovvero un sistema all’avanguardia di contrasto di questi velivoli autonomi, che ha definito «il migliore a livello mondiale».L’industria italiana dei droni è in crescita, con un mercato professionale (che non comprende l’uso privato e quello militare) che ha toccato i 160 milioni di euro nel 2024 con un ritmo di sviluppo del 10% rispetto al 2023 e conta 657 imprese, un numero destinato a crescere.Leader nel settore è Leonardo che produce droni militari e di difesa come il sistema Skynex realizzato insieme a Rheinmetall. Recentemente il gruppo italiano ha costituito una joint venture paritetica con la turca Baykar di nome Lba Systems per progettare, sviluppare e produrre sistemi aerei a pilotaggio remoto. Baykar fornirà i prodotti di base, ossia i droni TB3 e Akinci mentre Leonardo si occuperà dell’elettronica e dei sistemi per consentire ai droni di collaborare fra loro e con i piloti degli aerei. Il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, ha sottolineato che l’accordo mette «l’Italia al centro dello sviluppo produttivo dei droni per il mercato europeo e non solo». Un comparto che nel prossimo decennio potrà movimentare un giro d’affari del valore di 100 miliardi.Il settore, oltre a un gigante come Leonardo, è caratterizzato da una vivace presenza di imprese innovative come Dronus, una startup che ha sviluppato il primo sistema drone-in-a-box aereo per ispezioni e sicurezza in ambito industriale, con sede a Trieste, Italdron, azienda attiva nella produzione di droni professionali interamente progettati e costruiti in Italia, Difly e Aermatica3D. Solo per citare le più note.Il mercato professionale italiano è quasi totalmente (96%) costituto da attività di «Aerial Operations», quelle di droni di piccola e media taglia nei settori tradizionali, come le ispezioni di linee elettriche o il monitoraggio del territorio. Solo il restante 4% è invece concentrato su servizi innovativi per consegna merci o trasporto di persone. La vera sfida dei prossimi anni sarà probabilmente quella di incrementare questo particolare aspetto anche grazie all’introduzione di opportune normative di riferimento. Un ruolo centrale per il futuro è quello della mobilità aerea avanzata. Enac sta tracciando a tal proposito linee guida e regolamenti proprio in virtù delle possibili evoluzioni dei prossimi anni.Un altro tema all’ordine del giorno è la creazione di sistemi di difesa da droni ostili che possono rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale. Simone Lo Russo, ceo di Impianti Spa spiega che «il nostro Paese utilizza parzialmente sistemi anti drone, ma non integrati in un’infrastruttura nazionale di monitoraggio per la copertura sistemica del territorio. L’Italia può potenziare i sistemi difensivi migliorando la rete nazionale di sorveglianza, installando sensori avanzati interconnessi tra loro partendo da aeroporti, basi militari, impianti industriali e infrastrutture critiche per il rilevamento tempestivo di droni ostili e implementando tecnologie di difesa attiva come sistemi per bloccare la comunicazione dei droni nemici e droni intercettori per neutralizzare le minacce in volo». In questo settore c’è ancora tanta strada da fare.
Luca De Carlo (Imagoeconomica)
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