2025-09-29
«Immunità alla Salis? La sinistra è garantista soltanto con gli amici»
Enrico Costa (Imagoeconomica)
Il deputato di Fi Enrico Costa: «Contro Nordio e Piantedosi l’opposizione ha rinunciato a fare politica e suona il citofono delle Procure».«Vi spiego perché, in uno Stato di diritto, anche Ilaria Salis merita di avere un giusto processo ed il suo diritto di difesa deve essere rispettato. Così come la presunzione di innocenza impone di proteggere dal tritacarne mediatico anche quel magistrato sotto accusa per le indagini sul delitto di Garlasco, prima ancora che la difesa abbia toccato palla: sbattere il mostro in prima pagina senza processo non è civile. La giustizia spettacolo è sempre un orrore, anche se è una toga a finire sotto i riflettori. Sono considerazioni banali, le mie: ma il fatto che possano stupire dimostra che in Italia il furore manettaro soffia ancora forte».Enrico Costa, deputato di Forza Italia, da sempre ipergarantista, in qualità di vicepresidente della Commissione Giustizia sta curando i principali dossier per riformare la macchina della magistratura, in primis la separazione delle carriere: «Le correnti? Non ce ne sono di buone o cattive, di destra o sinistra: sono tutte uguali, e fanno i loro interessi. La sinistra ha un difetto genetico: è garantista solo quando toccano gli amici. Sto spingendo per l’obbligo di pubblicazione delle sentenze di assoluzione: sono stufo della stampa forcaiola che cerca solo il sangue delle inchieste e non dedica una riga alle assoluzioni».Mi spieghi meglio: un forzista che difende Ilaria Salis?«Sono lontano anni luce da lei. Siamo su posizioni diametralmente opposte. Ma il Parlamento europeo deve valutare anche il livello del rispetto dei basilari principi giuridici che si misura in Ungheria».Perché?«Perché è l’abc della civiltà giuridica. Non entro nel merito delle accuse. Ci siamo indignati tutti quando l’abbiamo vista al guinzaglio in quel tribunale ungherese, che evidentemente non garantisce la minima protezione degli imputati. E attenzione: ho detto imputati tout court, senza specificare di quale partito».A chi si rivolge?«Dedico queste mie riflessioni agli onorevoli Bonelli e Fratoianni, che hanno candidato la Salis, campioni del garantismo solo quando le vicende giudiziarie riguardano chi sta dalla loro parte. Il capo dei Verdi, in particolare, si è costruito un’ immagine di iperforcaiolo della politica italiana, ma solo con gli avversari».Qual è il messaggio da comprendere? «I veri garantisti lo sono tutti i giorni, anche sfidando i propri alleati politici. Accettano di non essere popolari, difendono la presunzione di innocenza e lo stato di diritto, anche quando è scomodo. Per tutti».Quindi?«Per la sinistra le regole garantiste vanno applicate alla Salis, ma non riguardavano Giovanni Toti, tanto per fare un esempio, contro cui il campo largo allestì una piazza roboante a Genova per chiederne le dimissioni, a indagini aperte. Hanno trasformato quella piazza giacobina in una coalizione giustizialista, e per fortuna non hanno vinto. Invece, lo ripeto, un’indagine non è una sentenza: vale per Beppe Sala come per Nordio e Piantedosi».Parla del caso Almasri? Nei prossimi giorni il Parlamento dovrà decidere se mandare a processo i ministri.«Ogni volta che l’opposizione non è in grado di prevalere sul piano politico, imbocca la scorciatoia giudiziaria. Eppure su questa vicenda si possono fare interrogazioni, si può discutere in aula, si può criticare la condotta del governo finché si vuole. No, loro preferiscono suonare il citofono delle Procure e dei tribunali, come se il processo penale fosse uno strumento a disposizione dei partiti».Il relatore Pd della richiesta di autorizzazione a procedere, Francesco Gianassi, ha detto che Nordio, Piantedosi e Mantovano hanno agito per «opportunismo politico», consentendo il rimpatrio del generale libico.«Usano la giunta per le autorizzazioni come un grimaldello giudiziario. Io mi sono dimesso dalla presidenza della giunta dopo aver votato la fiducia al governo. Non volevo piegare questa istituzione a logiche politiche. La sinistra, al contrario, affida la relazione sul caso Almasri a un deputato Pd che già si era espresso pesantemente contro Nordio proprio su questi temi».Quindi non le stupisce la richiesta di procedere?«È logico, perché la loro matrice culturale porta naturalmente alla soluzione giudiziaria dei problemi politici. Indipendentemente dalle carte».Sulla separazione delle carriere manca l’ultimo ok dal Senato, mentre a Montecitorio sono andati in scena urla e spintoni.«C’è qualcosa che non va. La responsabile giustizia del Pd, che si oppone strenuamente alla separazione delle carriere, pochi anni fa era favorevole. Aveva sottoscritto il programma del candidato alla segreteria Maurizio Martina, che conteneva la nostra riforma».Come spiega il cambiamento?«È evidente che da quelle parti si ragiona per convenienza. Molti esponenti del Pd si erano espressi a favore della separazione delle carriere. Il voltafaccia politico prescinde dai contenuti del provvedimento, ma persegue logiche puramente di schieramento: da un lato obbediscono a una leadership ormai confinata su posizioni radicali, dall’altro non vogliono rovinare il rapporto con i 5 stelle».Franceschini al Senato alludeva a una sorta di prova d’amore con la magistratura. Come se l’opposizione alla separazione delle carriere fosse una merce di scambio, considerate le varie inchieste che toccano esponenti Pd. Lei cosa dice?«Era un messaggio inquietante, quello attribuito a Franceschini: come se vi fosse un’estorsione nei confronti del suo partito da parte di ambienti della magistratura che volevano piegarne la linea politica».Ci crede?«Pragmaticamente, penso che le cose siano più semplici: il Pd è da sempre legato a doppio filo con le correnti della magistratura. Se passasse la separazione delle carriere, le correnti si prosciugherebbero».Si aspetta incursioni giudiziarie in vista del referendum?«Spero si celebri una campagna referendaria civile, sui contenuti. La rabbia di una parte dell’Anm nei confronti della maggioranza parlamentare è palpabile. Confido che la rabbia si limiti alle interviste sui giornali, senza essere trasferita negli uffici delle procure».La riforma metterà fine, dunque, al sistema delle correnti? Sarebbe una rivoluzione.«Le correnti non sono né di destra né di sinistra. Sono tutte uguali. Fanno tutte i loro interessi. E i loro interessi consistono nell’evitare la responsabilità del magistrato che sbaglia e nel tutelare i loro iscritti».Questo è il primo obiettivo della logica correntizia? L’impunità?«I risultati sono sotto gli occhi di tutti. I magistrati che commettono errori, anche gravi, non pagano mai sul piano disciplinare e civile, le valutazioni di professionalità sono sempre positive al 99%. Alle correnti interessa solo questo. Difatti, sulla separazione delle carriere, ce le abbiamo tutte contro».Si rivolge anche alla parte meno politicizzata della magistratura?«Mi piacerebbe un giorno che i laici del Csm prendessero una posizione di distacco da tutte le correnti, vigilando, denunciando gli accordi sottobanco, che avvengono continuamente. Invece, purtroppo, anche loro si appiattiscono, ciascuno dalla propria prospettiva, sulle correnti che ritengono più vicine».Ragionando così, si sarà fatto molti nemici nel mondo della giustizia. O no?«I magistrati che non sono iscritti alle correnti mi incoraggiano ad andare avanti. Inoltre ho colleghi che votano contro le mie proposte per logica di schieramento, ma in privato mi confidano di apprezzarle. Anche su quella ingiustamente definita "legge bavaglio", una norma approvata in nome della presunzione di innocenza».La rivendica?«Sì, dobbiamo capire una volta per tutte che durante le indagini vengono emessi provvedimenti provvisori, che possono essere ribaltati in sede di dibattimento. Si chiama tutela del riserbo istruttorio, altro che bavaglio. Molti sono convinti che il diritto di cronaca sia il solo diritto da tutelare: ma ce ne sono tanti altri con cui bilanciarlo, a garanzia degli indagati».Perché ha proposto di introdurre l’obbligo di pubblicare le sentenze di assoluzione?«Lo Stato deve garantire, in caso di innocenza, che una persona esca dal procedimento penale nelle stesse condizioni in cui vi era entrata. Con la stessa dignità, con la stessa immagine, con la stessa reputazione e senza cicatrici. Invece le notizie delle indagini vengano pubblicate a caratteri cubitali, per giorni e giorni, mentre le notizie sulle assoluzioni sono microscopiche. E scompaiono subito».Con quali conseguenze?«Nella mentalità del cittadino un indagato è già condannato, anche se ha ricevuto solo un avviso di garanzia. È il risultato del marketing giudiziario animato dalle Procure che così rafforzano le inchieste e mettono il giudice in soggezione. I riflettori della stampa si accedono solo nelle indagini, quando la difesa non ha ancora toccato palla. Appena inizia il processo, si spengono. Il dibattimento è noioso, non interessa più a nessuno. Per gli stessi motivi ho fatto approvare la legge sulla tutela legale degli assolti: chi è stato dichiarato innocente non deve sopportare le spese legali». Nel delitto di Chiara Poggi, è stato indagato l’ex procuratore di Pavia Mario Venditti. Secondo le accuse, sarebbe stato corrotto per scagionare Andrea Sempio. Ciò che accade a Garlasco racconta molto dello stato della giustizia italiana?«Ancora una volta, stanno sbattendo il mostro in prima pagina, senza che la difesa abbia toccato palla. In questo caso, l’ex procuratore di Pavia. Qualcuno si esalta perché vuole vedere il sangue, ma la giustizia spettacolo è indecente anche quando c’è di mezzo un magistrato, che in questo caso non ha ancora potuto dire una parola a sua tutela. Quando capiremo che i processi sommari a mezzo stampa sono una malattia che va curata e fa perdere credibilità alla giustizia?».
Giuseppe Valditara (Imagoeconomica)
La sociologa Chiara Saraceno (Ansa)