2019-07-16
Dopo un anno che governano insieme il premier scopre il leader della Lega
Faccio una doverosa premessa: Giuseppe Conte ha avuto ragione a lamentarsi con Matteo Salvini per l'incontro di ieri con i sindacati. Un ministro dell'Interno dovrebbe occuparsi di sicurezza, ordine pubblico, repressione della criminalità e non di flat tax, manovra economica e altro, visto che quegli argomenti sono delegati ad altri esponenti di governo. Certo, il leader leghista può dire la sua su questioni economiche importanti per la vita del Paese, ma come capo di un partito della maggioranza e in tal caso la riunione non avrebbe dovuto convocarla al Viminale, ma nella sede del suo movimento politico. Insomma, il presidente del Consiglio è nel giusto quando mette i puntini sulle i e sottolinea che Salvini ha commesso una scorrettezza istituzionale nei suoi confronti, scavalcandolo e arrogandosi un ruolo che nei fatti non è proprio il suo.Tuttavia non si può non notare anche un'altra cosa, ossia che Giuseppe Conte sembra svegliarsi solo ora, per accorgersi che il suo vicepremier gioca una parte che non è solo quella del responsabile dell'Interno, ma anche di capo politico e lo fa da azionista importante dell'esecutivo. Certo, una situazione come quella che si registra a Palazzo Chigi non si era mai vista neppure nella prima Repubblica. È vero, ogni tanto capitava che a presiedere il consiglio del ministri fosse un premier espresso dalla minoranza, come ai tempi di Giovanni Spadolini. E comunque si trattava di un leader politico, che aveva alle spalle il suo partito. Invece, nella seconda Repubblica è capitato che un professore fosse messo alla guida di un governo tecnico, senza cioè avere una sua maggioranza e neppure un voto, come nel caso di Mario Monti. Ma in questo caso, a legittimarne l'azione erano lo spread e le cancellerie straniere, mentre i partiti che sorreggevano l'esecutivo erano di fatto annichiliti, cioè costretti ad assecondare le manovre dell'ex rettore della Bocconi. Insomma, nel primo e nel secondo caso erano vicende molto diverse da quelle attuali. Qui invece siamo di fronte a un tecnico, un docente scelto per il suo profilo e la sua competenza, che fa il presidente del Consiglio in un governo che ha due azionisti forti, ossia Luigi Di Maio e Matteo Salvini. In principio il primo, cioè il capo del Movimento 5 stelle, era l'azionista principale, cioè colui che aveva voluto Conte, imponendolo all'alleato. Ma dalle elezioni europee in poi è stato chiaro che l'azionista di maggioranza adesso è diventato Salvini, con quello che ne consegue. Infatti, sebbene il vicepremier grillino possa ancora contare su una truppa parlamentare assai più numerosa di quella leghista, è l'altro vicepremier che detta legge, imponendo l'agenda politica. Del resto lo si è visto sin dal giorno dopo lo spoglio elettorale per Bruxelles. Il ministro dell'Interno non ha atteso neppure 24 ore per passare all'incasso con il decreto sicurezza bis e subito dopo ha chiesto a gran voce sia la flat tax che l'autonomia regionale. Ignorare il nuovo quadro, come sembra voler fare Giuseppe Conte, ai nostri occhi vuole dire presentarsi agli italiani come Alice nel Paese delle meraviglie.Sì, è vero, Salvini ha fatto una mossa che non è strettamente di sua competenza, convocando le sigle sindacali al Viminale. E dunque gli può essere rimproverato di non aver rispettato la grammatica istituzionale, scippando al premier e al ministro del Lavoro una riunione di loro competenza. E poi, però, che si fa? Si denuncia lo sgambetto? Va bene, ma se si vuole essere credibili bisogna andare fino in fondo e dunque, dopo aver contestato il capitano leghista, si deve aprire una crisi di governo, altrimenti la protesta somiglia molto a un abbaiare alla luna. Conte può dichiararsi indispettito, ma o ha il coraggio di ricondurre Salvini negli argini oppure manifesta la propria impotenza e null'altro.C'è di più. Contestando l'azione del suo vicepremier, il presidente del Consiglio gli ha anche dato una mano, offrendo una straordinaria visibilità all'iniziativa, che altrimenti sarebbe anche passata sotto silenzio o per lo meno si sarebbe notata meno. Dunque, sia l'inquilino di Palazzo Chigi che Di Maio hanno fatto il gioco di Salvini, divenendone paradossalmente il megafono. Un risultato che di sicuro non era nelle loro intenzioni, ma che ha consentito al leghista non solo di guadagnare la ribalta sui temi economici, ma pure di oscurare la faccenda del Russiagate su cui, certamente sia Conte che il vicepremier grillino, puntavano per tenere Salvini un po' sulla corda. Per dirla in una parola, i due, strillando, si sono fatti infinocchiare da quel furbone del Capitano.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)