2019-12-22
«Dopo l’eleganza femminile riscrivo quella maschile»
La stilista Chiara Boni a Pitti lancerà la prima linea per lui: «Protagonista il tessuto tecnico: butti l'abito in valigia e non ha una piega».I fratelli Edoardo e Marco Sartori hanno fondato il marchio Sartoria brothers storyLo speciale contiene due articoliLei la definisce «una seconda giovinezza». A dire il vero Chiara Boni non ha mai smesso di essere la ragazza che inventò You Tarzan me Jane, negozio fiorentino all'avanguardia che divenne anche un marchio fuori da qualsiasi schema. Ripercorrere corsi e ricorsi diventa un intrigante racconto. «Abbiamo aperto ora a Firenze in piazzetta Rucellai, il nuovo negozio, a 100 metri in linea d'aria rispetto a dove ho iniziato nel 1971 con You Tarzan me Jane. È passata un'esistenza».Come ha cominciato a occuparsi di moda?«Ho iniziato con questo negozio, rivoluzionario all'epoca. La moda di allora era una cosa noiosa, per signore. Ma improvvisamente si era trasformata quanto il mondo intero che era cambiato. Il primo fu Elio Fiorucci a Milano: era straordinario. Cosi come il mio negozio, con un grande tendone da circo all'interno dove tutti si cambiavano insieme. Era molto divertente».Moda e società mutavano insieme.«Quello fu momento positivo sia per la moda sia per la società, poi ci furono le code negative, ma i primi anni Settanta furono un'esplosione di giovinezza, speranza, libertà, la rivoluzione da Woodstock all'immaginazione al potere, un bellissimo slogan, improponibile ma bello come concetto. Era molto pieno di stimoli. Poi furono gli anni delle brigate rosse e tutto un altro clima».I giovani erano diversi da oggi?«Penso di sì. Nella moda c'è più stravaganza che libertà, poi qualcuno cerca di essere speciale e un po' diverso. Il nostro era un momento molto bello. Sono felice di essere stata giovane allora».Yuo Tarzan me Jane era una linea sua?«Si, fu la prima volta in cui sperimentai i tessuti elastici, già negli anni Settanta usavo i tessuti dei costumi da bagno che andai a cercare in America per poi scoprire che i più grandi produttori erano in Italia. Gli italiani vendevano in tutto il mondo».E arriva il grande salto.«È una storia lunga in realtà. Con Cristiana Bargagli e Elisabetta Ballerini avevamo aperto un negozio di antiquariato perché mia madre non mi permetteva di fare moda, la considerava una cosa poco elegante. Chi aveva le boutique allora erano le amiche dei commendatori. Poi mi sono sposata e ho iniziato a fare ciò che volevo. Ero l'unica fra le mie amiche a lavorare. Venivi educata per preparare la tavola, tenere la casa, ricevere. Gli anni Settanta sono stati uno strappo».Quando nasce il marchio Chiara Boni?«Inizio a mettere un “Chiara Boni" nelle ultime etichette di You Tarzan me Jane a inizio anni Ottanta. Nel 1984 vengo acquistata dal Gft che decide di usare solo Chiara Boni come marchio. La mia entrata al Gft è una storia di solidarietà femminile. Laura Bernabei, pr del Gft, faceva una festa a Torino per Ungaro, Armani e Valentino. Per non fare sgarbi decise di indossare un mio abito che ebbe grande successo. Marco Rivetti, proprietario di Gft, mi volle conoscere e iniziai a lavorare con loro. Rimasi fino al Duemila. Gft conobbe vicende alterne finché l'ultimo amministratore delegato decise che il mio marchio divenisse solo da uomo, aprendo, negli anni Novanta, nove negozi in Cina. Quando arrivò Gemina in Gft tutto fallí e faticosamente ricomprai il mio marchio, prima la parte donna e poi tutto il resto, più o meno nel 2004».Dopo una parentesi imbocca di nuovo la strada della moda.«Nel 2006/2007 ho deciso di ricominciare da sola. Mi era sempre interessato l'elastomero, quello che rende elastici i tessuti. Mi piacevano le cose piccole, con spalle strette, linee per cui servono materiali che rendono possibili i movimenti. La confezione in larga scala coincide con i maniconi e le spallone perché sono più semplici da produrre. Mi era sempre interessato lo stretch che mi consentiva dei tagli piccoli con una vestibilità diversa. Nel 2006 ho trovato il mio tessuto ideale, il sensitive, e ho deciso di fare 13 vestiti neri, per questo la collezione si chiamava La Petite Robe, da vendere a prezzi accessibili. I miei sono capi di nicchia che non costano tanto: il vestitino che una donna indossa in qualunque momento, il passepartout. È la chiusura di un percorso, sono nata cercando un tessuto e sono riuscita ad averlo: taglio vivo, lo butti in lavatrice, facile da gestire, no stiro, moderno, lo arrotoli e lo metti in valigia».Ha sfondato in America.«Ho sempre avuto la sensazione che il mio mercato fosse in America. Quando in società è entrato Maurizio Germanetti, mio socio attuale, abbiamo deciso di andare oltre oceano. Abbiamo iniziato con una piccola collezione e abbiamo convinto i grandi magazzini di lusso Neiman Marcus a prenderci in conto vendita. Dopo sei mesi non c'era più niente e da lí è partito tutto. I maggiori clienti sono americani, quindi anche la sfilata la organizzai lì. Poi sono arrivati i negozi di Milano, Roma e ora Firenze».La novità è la collezione uomo.«È una cosa naturale provare a farlo. Ed è nato Trailblazer Chiara Boni. La giacca che non si stropiccia è la caratteristica. Tutto taglio vivo, sfoderato, lavi e non stiri. Sono tre giacche ( una tinta unita e due con le stampe), tre modelli di camicia (collo taglio vivo, button down, tradizionale, si portano anche con la cravatta), un paio di pantaloni. Metti l'abito in valigia e lo estrai perfetto. Linea pulita. Il materiale che uso ha il certificato Pef, riconoscimento europeo sull'impatto ambientale. Spesso si scambia un tessuto naturale per uno non inquinante, mentre è il processo che conta. Durante il Pitti presenteremo la collezione con una etichetta di riconoscimento europeo che consente di sapere quanto la nostra giacca consuma di carbonio, acqua e energia. Unione perfetta di eleganza e innovazione». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/dopo-leleganza-femminile-riscrivo-quella-maschile-2641665547.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-nostre-giacche-made-in-brescia-si-ispirano-ai-kimono-giapponesi" data-post-id="2641665547" data-published-at="1758062523" data-use-pagination="False"> «Le nostre giacche made in Brescia si ispirano ai kimono giapponesi» Da soli è bello, ma in due è meglio. Ne sono convinti Edoardo e Marco Sartori, fratelli bresciani che due anni fa hanno dato vita al marchio Sartoria brothers story. Già il nome la dice lunga sulle intenzioni, se poi si aggiunge il legame di sangue il gioco è fatto. Laurea in giurisprudenza per entrambi, ma la moda è sempre stata una grande attrazione, probabilmente un modo di essere annusato e imparato in famiglia, dettami di uno stile molto personale e sofisticato interpretato, prima di tutti, dal padre Enrico. Buon sangue non mente e il piccolo di casa, Edoardo, oggi 25 anni, iniziò con una serie di pantaloni che ebbero un discreto successo. «Sceglievo tessuti di cotone a stampe africane, frutto di lunghe ricerche. Il taglio era semplice quindi puntavo sulle fantasie e sui colori che dovevano essere forti e decisi. Fu anche il mio primo approccio alla confezione vera e propria e iniziai a confrontarmi con piccoli laboratori». Ma in breve tempo tutto cambia a cominciare dall'arrivo del fratello Marco, a sua volta appassionato di tutto ciò che gira intorno alla moda. Il suo apporto è stato fondamentale per il nuovo orientamento. «Abbiamo studiato una giacca che sapesse coniugare il rigore e la pulizia dello stile giapponese alla perfetta sartorialità italiana, unire l'innovazione con la tradizione», continua Edoardo. Kimo shirt e Kim jacket diventano così i capi iconici de segnano la strada di una collezione che si arricchisce via via di pezzi diversi. «La partenza sono stati kimono tradizionali, dai quali abbiamo tratta le nostre due giacche di base da uomo che saranno sempre presenti nelle future collezioni. Alcune hanno la manica a camicia con polsino che si chiude con gli alamari. Sono senza bottoni, con una cintura in vita che ricorda la chiusura di un cappotto. Perfette a qualsasi età, ognuno può decidere come sfruttarle: sotto un abito come un gilet, sopra una T shirt per un allure tra il classico e il contemporaneo. Ci vogliamo distinguere da linee troppo ricche di dettagli proponendo capi senza fronzoli». Non mancano i pantaloni: «Abbiamo sviluppato un nuovo modello con pinces molto profonde, volumi ampi , in sintonia con i nostri kimono». Oggi la collezione conta nove pezzi, due pantaloni, due Kimo jacket e cinque Kimo shirt. Per l'estate si aggiungeranno anche accessori, cinture e bandane da tasca. Materiali di alta qualità: per l'inverno solo lana e velluto, per l'estate 100% lino, tutto tessuto italiano. «Da una parte il Giappone ha da sempre esercitato un enorme influenza sia per forme che per materiali. Il fascino dell'esotico, la cura dei dettagli, il minimalismo rigoroso sono caratteristiche che abbiamo sempre apprezzato cosi come la sperimentazione. Dall'altra, il lavoro meticoloso della sartoria, la vestibilità, le cura delle finiture rappresentano quel made in Italy inconfondibile e impareggiabile. Che, nel nostro caso, chiamerei made in Brescia perché ogni capo viene prodotto nella nostra città».