2023-11-14
Dopo aver fatto morire soffocata la piccola Indi Gregory, gli inglesi ci prendono pure in giro
Robert Peel ha risposto solo ieri alla richiesta del console, divenuto suo tutore, di trasferire Indi Gregory a Roma. E si è permesso persino di fare dell’ironia: «Visto che ormai è deceduta, penso che non voglia più procedere...».La missiva è senz’altro cortese, ma rimane raggelante. A firmarla è il giudice britannico, justice Robert Peel, cioè l’uomo che ha di fatto decretato la morte della piccola Indi Gregory, impedendo il suo trasferimento in Italia e stabilendo che le dovessero essere staccati i supporti vitali. La lettera è indirizzata al console italiano a Manchester, Matteo Corradini. «Caro signor Corradini, grazie per la sua lettera del 9 novembre 2023 che richiedeva, in base all’articolo 9 della Convenzione dell’Aja del 1996, l’autorizzazione a esercitare la giurisdizione allo scopo di intervenire per trasferire Indi Gregory in Italia», scrive il giudice Peel. «Come forse ha saputo, molto tristemente, Indi Gregory è morta domenica notte/lunedì all’alba. La sua famiglia è nei miei pensieri. Date le circostanze, assumo che non voglia procedere con la richiesta in base all’articolo 9». Seguono cordiali saluti che non possono non strappare un brivido di orrore. Il testo porta la data di ieri, 13 novembre, e la terrificante tempistica mostra con chiarezza che cosa sia accaduto. Sintetizzando: il giudice inglese ha risposto alle richieste del console italiano sul caso di Indi quando la piccola era già morta. Peel ha atteso che la piccina di otto mesi avesse smesso di respirare per inviare poche righe in cui si permette addirittura di ironizzare sottilmente. Per comprendere meglio la gravità dei fatti occorre però fare un piccolo passo indietro. Lo scorso 9 novembre, quando la povera Indi era ancora viva, le nostre autorità hanno tentato di imboccare una delle (purtroppo poche) strade possibili per sottrarla alla mannaia della giustizia britannica. Alla bambina, come noto, è stata concessa la cittadinanza, poi il tutore italiano di Indi Gregory - il già citato console a Manchester Matteo Corradini - ha presentato una richiesta urgente all’Alta Corte del Regno Unito chiedendo che gli fosse ceduta la giurisdizione sul caso, ai sensi dell’articolo 9 comma 2 della Convenzione dell’Aia del 1996. Di che si trattasse lo ricorda alla Verità Simone Pillon, che molto si è speso nei giorni passati in qualità di legale della famiglia Gregory. «L’articolo 9 della convenzione dell’Aia prevede che l’autorità del Paese dove il minore risiede (quindi in questo caso l’Inghilterra) possa essere richiesta dall’autorità del Paese di cui il minore ha la cittadinanza (quindi l’Italia), di un regolamento di giurisdizione», dice l’esponente leghista. «Il console italiano ha operato nella sua autorità di giudice, non come autorità consolare ma come magistrato italiano, e ha detto al magistrato inglese: “Guarda che la famiglia di Indi ha chiesto a me di assumere decisioni con riguardo al superiore interesse della minore. Siccome so che anche tu ti stai occupando di questo, dobbiamo vederci, dobbiamo parlarne. Proprio in virtù del fatto che l’articolo 9 dice che le due autorità, i due Stati, possono e devono avere un dialogo, uno scambio di vedute”». Insomma, come riassume Pillon «il nostro console, nella sua qualità di giudice tutelare, ha firmato il decreto in cui ordinava il rimpatrio di Indi, dopodiché ha scritto immediatamente al giudice inglese, chiedendo un dialogo, una interlocuzione». Come sappiamo, però, questa interlocuzione non c’è mai stata. Anzi, Pillon giustamente rimarca che «la risposta del giudice inglese è stata tardiva, perché arriva dopo quattro giorni; tardiva perché ormai la bambina è morta. Ed è pure leggermente irrispettosa, perché è chiaro che era stato segnalato ovunque quanto il caso fosse urgente viste le condizioni di Indi, ma soprattutto non c’era nessuno più consapevole del giudice Peel dell’urgenza della situazione. Siamo davvero alla presa in giro». A dirla tutta quanto avvenuto è ben peggio di una presa per i fondelli. È uno schiaffo feroce non soltanto alla memoria della piccola Indi e alla sua famiglia, ma pure alle istituzioni italiane. Si è molto speso persino il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e pur con tutta la sacrosanta indipendenza che il potere giudiziario ha il diritto di riservarsi, risulta profondamente offensivo il fatto che la risposta di Peel arrivi a dramma consumato. Per giunta, il giudice si permette quello che pare uno sberleffo: nel concludere la missiva, con britannica superiorità, ipotizza che il console italiano non voglia dare più seguito alla sua richiesta. Lo fa con una frase ripugnante: la richiesta del console ora è insensata perché Indi è morta. Ed è morta nella notte tra domenica e lunedì perché Peel ha deciso che dovesse finire così. Prima le ha tolto il respiro, poi ha il coraggio di fare battute. Niente cuore: è inglese.
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