
Il nuovo assetto ripropone gli Accordi di Abramo. La sfida per Trump è integrare la Turchia. Mentre Teheran, sotto pressione, potrebbe aprire a un tavolo sul nucleare.È un Medio Oriente in fase di profonda trasformazione quello emerso ieri dal vertice di Sharm el-Sheikh. Attraverso il suo piano di pace, Donald Trump è innanzitutto riuscito a creare le basi per avviare la risoluzione dell’annoso conflitto israelo-palestinese. Il presidente americano ha inoltre rafforzato i suoi rapporti tanto con lo Stato ebraico quanto con il mondo arabo. Senza poi ovviamente dimenticare la Turchia. L’accordo di pace tra Gerusalemme e Hamas rappresenta quindi il primo passo verso il tentativo di rilanciare e possibilmente di espandere gli Accordi di Abramo: sotto questo aspetto, un primissimo banco di prova sarà rappresentato dalla tenuta del cessate il fuoco. In secondo luogo, grande attenzione verrà conferita alla ricostruzione di Gaza. È quindi da qui che il presidente americano intende prendere le mosse per riavviare i patti di Abramo. «I figli di Abramo lavoreranno insieme per costruire un futuro migliore», ha detto ieri Benjamin Netanyahu, parlando alla Knesset alla presenza dello stesso Trump. «Questo accadrà molto più velocemente di quanto si pensi», ha aggiunto. Se i rapporti tra Israele e mondo arabo sembrano quindi in fase di rasserenamento, le incognite riguardano principalmente la Turchia e l’Iran. Ankara ha svolto un ruolo cruciale nella mediazione a Gaza: è stato infatti Recep Tayyip Erdogan a convincere Hamas ad accettare il piano di pace di Trump. Un Trump che, dal canto suo, aveva allentato, a giugno, le sanzioni al regime filoturco di Damasco. Il problema, per il presidente americano, sarà riuscire a integrare Ankara nel sistema di Abramo. I rapporti tra la Turchia e Israele sono attualmente pessimi: tra l’altro, secondo Israel Hayom, sarebbe stato proprio Erdogan a chiedere al presidente egiziano, Fattah Al Sisi, di non invitare Netanyahu al vertice di Sharm el-Sheikh. Ora, non è un mistero che il sultano sia un leader spregiudicato: ragion per cui è tutto da dimostrare che, in futuro, asseconderà i progetti mediorientali di Trump. Dall’altra parte, il presidente turco sa anche di non poter puntare troppo i piedi: l’attuale regime di Damasco, spalleggiato da Ankara, è ancora molto fragile e ha la necessità della benevolenza statunitense per sopravvivere.L’altra incognita riguarda invece l’Iran. Il vertice di Sharm el-Sheikh ha de facto decretato il suo isolamento: il che spaccherà ulteriormente l’establishment di Teheran tra fautori della linea dura e sostenitori del compromesso. Trump prevedibilmente cercherà di mettere sotto pressione gli ayatollah per negoziare un nuovo accordo sul nucleare, che impedisca loro di acquisire la bomba atomica, tranquillizzando così sauditi e israeliani. Se dovesse riuscirci, il presidente americano ha già detto che auspicherebbe l’integrazione di Teheran negli Accordi di Abramo: un’integrazione che tuttavia, sabato, il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha bollato come «pia illusione». Eppure Araghchi ha anche detto che l’Iran è «pronto» a negoziare con Washington sul nucleare, purché la trattativa sia «equa ed equilibrata». Questo significa che la pressione dell’isolamento potrebbe spingere Teheran a sedersi al tavolo con un Trump che, ieri, al fianco di Al Sisi, è tornato a dirsi aperto a un’intesa con l’Iran. È questo che auspica la Russia, la quale, dopo aver perso influenza in Medio Oriente nell’ultimo anno, spera di ritagliarsi il ruolo di mediatrice tra Iran e Usa. Di diverso avviso è invece la Cina che punta a sfruttare i suoi stretti legami con Teheran per ostacolare la rinnovata influenza mediorientale di Washington. Totalmente ininfluente si è infine rivelato Emmanuel Macron, che ieri era presente a Sharm el-Sheikh, dove ha ringraziato Usa, Turchia, Qatar ed Egitto per i loro sforzi a favore della tregua: tregua rispetto alla cui mediazione il presidente francese, al netto delle sue velleità mediorientali, non ha toccato palla. La stessa fuga in avanti dell’Eliseo per riconoscere lo Stato palestinese, oltre che inutile, si è rivelata controproducente, irritando sia Washington che Gerusalemme.
2025-10-14
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La senatrice critica il ministro per le frasi su Auschwitz e torna guida dei progressisti. Gli stessi che, in cortocircuito, la misero in ombra perché contestata dalla Albanese.
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La liberazione degli ostaggi seguita in diretta da tutta una nazione. Alcuni, poco prima di essere rilasciati, hanno avuto da Hamas il permesso di videochiamare a casa. Giallo sulle salme: restituite solo 4 su 28.
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Ecco #EdicolaVerità, la rassegna stampa del 14 ottobre con Flaminia Camilletti