2025-10-24
Diritto di veto in discussione all’Onu. Mattarella: «Cambiare governance»
Nel dibattito sulla riforma dell’Onu e del diritto di veto, il presidente della Repubblica invita a rinnovare i meccanismi di governance per restituire credibilità all’organizzazione. Anche Meloni chiede cambiamenti, ma in chiave pragmatica e rispettosa della sovranità degli Stati.In questa fase di confusa ristrutturazione delle istituzioni sovranazionali non è solo l’Unione europea a essere tentata di ridefinire il proprio perimetro d’azione. Anche all’Onu c’è voglia di cambiamento. Ma, come nel caso dell’Ue, non si sa bene dove si vuole andare e c’è il rischio di peggiorare un’architettura già traballante. Sul tema è intervenuto ieri il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che in una intervista alla Voce di New York ha dichiarato: «Senza cambiamento nei meccanismi di governance dell’Onu, il rischio è che molte nazioni rinuncino a guardarvi come il luogo in cui è possibile costruire obiettivi comuni. In verità le critiche riguardano, più che altro, la capacità effettiva di intervento nel corso di conflitti e scontri armati, mentre amplissimo è il riconoscimento del raggiungimento di ottimi obiettivi ascritto alle attività di tutto il sistema onusiano, con le sue agenzie. Il dibattito in corso per una riforma delle Nazioni unite è benvenuto e necessario». Per il capo dello Stato, «l’efficacia dell’Onu dipende in larga misura dalla buona coscienza, in altri termini, dalla volontà politica degli Stati membri. In ogni caso, è anzitutto all’Onu che ci si rivolge per ruoli di mediazione. Sono le Nazioni unite l’attore umanitario in tutte le principali crisi del mondo». Mattarella si inserisce in un dibattito più ampio. Oggi il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite si riunirà per celebrare l’80º anniversario dell’entrata in vigore della Carta dell’Onu, con un dibattito aperto intitolato «The United Nations Organization: Looking into the Future». A marzo scorso, il segretario generale António Guterres ha lanciato UN80, un’importante iniziativa di riforma in concomitanza con l’80° anniversario dell’organizzazione, volta a rinnovare il sistema delle Nazioni unite per renderlo più «efficace ed efficiente in termini di costi e reattivo». Dal 2005 esiste inoltre un gruppo di Paesi chiamato Uniting for Consensus, volto a promuovere la riforma del Consiglio di sicurezza attraverso l’aumento dei seggi elettivi non permanenti. Il gruppo sarebbe peraltro coordinato dall’Italia anche se, in questi 20 anni, il mondo è cambiato rapidamente e non pare che UfC risponda ancora a una qualche volontà politica condivisa reale. Come noto, il Consiglio di sicurezza è composto da cinque membri permanenti (i vincitori della seconda guerra mondiale: Usa, Russia, Cina, Regno Unito e Francia) e dieci membri non permanenti eletti in rappresentanza dei paesi membri delle Nazioni unite. Solo i primi, tuttavia, hanno il diritto di veto. E, esattamente come per l’Ue, è proprio attorno al diritto di veto che si concentrano le velleità riformistiche. Che, intendiamoci, di per sé sono benvenute, dato che l’Onu è palesemente un carrozzone miliardario che non riesce più a comporre pacificamente alcun contenzioso. L’importante è capire cosa e come si vuole cambiare. Lo stesso diritto di veto, per quanto sia uno strumento imperfetto, ha comunque consentito una certa rappresentanza per le istanze di quella parte del mondo lontana dall’Occidente. Rimuoverlo senza ponderare bene l’alternativa potrebbe solo peggiorare le cose e magari dare il via a una stagione di interventismo occidentale fuori controllo. Un mese fa, anche Giorgia Meloni, parlando all’Onu, ha auspicato cambiamenti, ma all’insegna di un riformismo decisamente cauto e ostile alle fughe in avanti: «Dobbiamo riconoscere che è necessaria, e urgente, una riforma profonda delle Nazioni Unite. Una riforma non ideologica, ma pragmatica, realista. Che rispetti la sovranità delle nazioni e apra a soluzioni condivise. Abbiamo bisogno di un’istituzione agile, efficiente, in grado di rispondere velocemente alle crisi. Trasparente nella missione, trasparente nei costi. Capace di ridurre al minimo la burocrazia, gli sprechi, le duplicazioni. Il Palazzo di Vetro deve essere anche una Casa di Vetro. La riforma che ha in mente l’Italia, a partire dal Consiglio di Sicurezza, deve rispettare i principi di eguaglianza, democraticità, rappresentatività e responsabilità. Non servono», spiegava la Meloni, «nuove gerarchie e non servono nuovi seggi permanenti, semplicemente perché non risolverebbero la paralisi decisionale che ha minato la credibilità di questa istituzione. Siamo aperti a discutere la riforma senza alcun pregiudizio, anche in forza delle proposte già avanzate dal gruppo Uniting for Consensus, ma vogliamo una riforma che serva a rappresentare meglio tutti, non a rappresentare di più alcuni».
Palazzo Justus Lipsius a Bruxelles, sede del Consiglio europeo (Ansa)
Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa (Ansa)
Protagonista di questo numero è l’atteso Salone della Giustizia di Roma, presieduto da Francesco Arcieri, ideatore e promotore di un evento che, negli anni, si è imposto come crocevia del mondo giuridico, istituzionale e accademico.
Arcieri rinnova la missione del Salone: unire magistratura, avvocatura, politica, università e cittadini in un confronto trasparente e costruttivo, capace di far uscire la giustizia dal linguaggio tecnico per restituirla alla società. L’edizione di quest’anno affronta i temi cruciali del nostro tempo — diritti, sicurezza, innovazione, etica pubblica — ma su tutti domina la grande sfida: la riforma della giustizia.
Sul piano istituzionale spicca la voce di Alberto Balboni, presidente della Commissione Affari Costituzionali del Senato, che individua nella riforma Nordio una battaglia di civiltà. Separare le carriere di giudici e pubblici ministeri, riformare il Consiglio superiore della magistratura, rafforzare la terzietà del giudice: per Balboni sono passaggi essenziali per restituire equilibrio, fiducia e autorevolezza all’intero sistema giudiziario.
Accanto a lui l’intervento di Cesare Parodi dell’Associazione nazionale magistrati, che esprime con chiarezza la posizione contraria dell’Anm: la riforma, sostiene Parodi, rischia di indebolire la coesione interna della magistratura e di alterare l’equilibrio tra accusa e difesa. Un dialogo serrato ma costruttivo, che la testata propone come simbolo di pluralismo e maturità democratica. La prima pagina di Giustizia è dedicata inoltre alla lotta contro la violenza di genere, con l’autorevole contributo dell’avvocato Giulia Buongiorno, figura di riferimento nazionale nella difesa delle donne e nella promozione di politiche concrete contro ogni forma di abuso. Buongiorno denuncia l’urgenza di una risposta integrata — legislativa, educativa e culturale — capace di affrontare il fenomeno non solo come emergenza sociale ma come questione di civiltà. Segue la sezione Prìncipi del Foro, dedicata a riconosciuti maestri del diritto: Pietro Ichino, Franco Toffoletto, Salvatore Trifirò, Ugo Ruffolo e Nicola Mazzacuva affrontano i nodi centrali della giustizia del lavoro, dell’impresa e della professione forense. Ichino analizza il rapporto tra flessibilità e tutela; Toffoletto riflette sul nuovo equilibrio tra lavoro e nuove tecnologie; Trifirò richiama la responsabilità morale del giurista; Ruffolo e Mazzacuva parlano rispettivamente di deontologia nell’era digitale e dell’emergenza carceri. Ampio spazio, infine, ai processi mediatici, un terreno molto delicato e controverso della giustizia contemporanea. L’avvocato Nicodemo Gentile apre con una riflessione sui femminicidi invisibili, storie di dolore taciuto che svelano il volto sommerso della cronaca. Liborio Cataliotti, protagonista della difesa di Wanna Marchi e Stefania Nobile, racconta invece l’esperienza diretta di un processo trasformato in spettacolo mediatico. Chiudono la sezione l’avvocato Barbara Iannuccelli, parte civile nel processo per l’omicidio di Saman, che riflette sulla difficoltà di tutelare la dignità della vittima quando il clamore dei media rischia di sovrastare la verità e Cristina Rossello che pone l’attenzione sulla privacy di chi viene assistito.
Voci da angolature diverse, un unico tema: il fragile equilibrio tra giustizia e comunicazione. Ma i contributi di questo numero non si esauriscono qui. Giustizia ospita analisi, interviste, riflessioni e testimonianze che spaziano dal diritto penale all’etica pubblica, dalla cyber sicurezza alla devianza e criminalità giovanile. Ogni pagina di Giustizia aggiunge una tessera a un mosaico complessivo e vivo, dove il sapere incontra l’esperienza e la passione civile si traduce in parola scritta.
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