2023-05-12
Con la scusa dei diritti arcobaleno sdoganano la maternità surrogata
Oggi a Torino i sindaci dem chiederanno il riconoscimento anagrafico dei bambini delle coppie omosessuali. Ma se davvero non hanno alcun retropensiero, perché non condannano con chiarezza la gestazione per altri?La presentano come una «assemblea di sindache, sindaci, amministratrici e amministratori locali contro le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, per i diritti di tutte le famiglie». A guidare il gruppo saranno i primi cittadini progressisti di Milano, Roma, Napoli, Firenze, Bari e ovviamente Torino, cioè la città che sponsorizza l’evento e lo ospita oggi a partire dalle 10.30, al Teatro Carignano. La piattaforma programmatica presenta due nodi centrali: introduzione del «matrimonio egualitario» per le coppie Lgbt e, soprattutto, approvazione di «una norma che consenta il riconoscimento anagrafico dei figli e delle figlie delle coppie omogenitoriali». Titolo dell’iniziativa: «La città per i diritti».È proprio su quest’ultima parola - diritti - che vale la pena di soffermarsi un momento. Perché, al di là delle splendide parole sul rispetto e l’inclusione di cui gli amministratori e i politici dem amano riempirsi la bocca, esiste una questione molto più prosaica che si cerca di far passare in secondo piano. È quella, manco a dirlo, dell’utero in affitto. Potremmo metterla anche così: la manifestazione torinese prevista oggi e gonfia di slogan sulla libertà e l’emancipazione è il lato in luce; il lato in ombra è rappresentato da Wish for a baby, la «fiera della fertilità» che andrà in scena a Milano il 20 e 21 maggio. Una kermesse di cui abbiamo raccontato nei giorni scorsi, mostrando come siano stati gli stessi organizzatori a fornirci facilmente informazioni su come entrare in contatto con professionisti della maternità surrogata (basta un veloce clic sul sito dell’edizione tedesca della fiera per ottenere tutto il necessario). Inutile girarci intorno, insomma. Quando si parla di registrazione dei «bambini arcobaleno» il discorso sulla surrogata non è accessorio bensì centrale e determinante. Dunque torniamo al punto di partenza: stiamo davvero parlando di diritti? A ben vedere, la maternità surrogata nell’ordinamento italiano è un reato, e anche piuttosto grave. Non v’è tribunale (di ogni ordine e grado) che non l’abbia condannata con durezza. Semplicemente, da queste parti non può essere ritenuta ammissibile, indipendentemente dall’orientamento sessuale di chi vi ricorre, il che basterebbe a risolvere la questione della registrazione degli atti di nascita (per lo meno quelli futuri). Per scansare il problema c’è chi ha proposto - come l’associazione Luca Coscioni - progetti di legge che prevedano la cosiddetta «gravidanza solidale». O «maternità altruistica». Tali proposte suggeriscono che, eliminando l’aspetto commerciale della faccenda, la gestazione per altri possa diventare accettabile, un po’ come succede in alcuni Stati americani. Di nuovo, però, occorre andare oltre la retorica per rendersi conto che il presunto «dono» di un figlio da parte di una donna consenziente e motivata non risolve affatto il problema. A fare chiarezza provvedono gli scritti di Valentina Pazé, filosofa politica all’Università di Torino e autrice di Libertà in vendita. Il corpo fra scelta e mercato (Bollati Boringhieri). L’autrice in questione non è certo sospettabile di simpatie per la destra di governo (che anzi attacca spesso e volentieri), e non è nemmeno contraria alla registrazione dei «figli arcobaleno». Eppure riguardo la surrogata è molto chiara: «A distinguere la gpa (gestazione per altri, ndr.) altruistica da quella commerciale - si potrebbe immaginare - dovrebbe essere la natura della relazione che si instaura tra la donna che si candida a portare avanti la gravidanza, da una parte, e i “genitori intenzionali”, dall’altra. In realtà anche da questo punto di vista non è dato osservare differenze», scrive la Pazé in un articolo uscito sul sito Volerelaluna. «Anche nella gpa altruistica i rapporti tra le parti sono minuziosamente normati da un contratto, che vincola la gestante a seguire un certo stile di vita, sottoporsi a controlli e visite mediche, farsi seguire da una psicologa. Tra le questioni spinose che devono essere regolamentate c’è quella del diritto di abortire (o non abortire, nel caso si prospetti la necessità di interventi, non infrequenti, di riduzione embrionale). A chi spetterà l’ultima parola, se la gestante va intesa solo come una “portatrice” di un figlio non suo? Anche là dove - come fa il progetto di legge Coscioni - si attribuisca esplicitamente alla donna la decisione ultima, non è chiaro se i contratti possano prevedere forme di risarcimento (effettivamente contemplate negli Stati Uniti) a favore dei “genitori intenzionali”. Ed è facile immaginare che possano esserci indebite pressioni sulla gestante. Ma il contratto serve soprattutto a vincolare la puerpera a consegnare il bambino che ha partorito, rinunciando a qualsiasi pretesa nei suoi confronti. Questo strano obbligo, che cozza con l’idea intuitiva di “dono”, è stabilito anche dal progetto di legge Coscioni, che rinvia a un tribunale il compito di dirimere eventuali controversie tra le parti. L’esperienza di altri Paesi insegna che, in questi casi, i giudici attribuiscono il bambino ai “genitori intenzionali” che (guarda caso!) sono in grado di garantirgli condizioni di vita più agiate della madre naturale». Conclude la filosofa: «Ce n’è abbastanza, credo, per far sorgere qualche dubbio sulla visione idealizzata della gpa altruistica come alternativa a quella commerciale. E per accorgersi che legalizzare la gpa, in qualsiasi sua forma, al di là di quella fin d’ora possibile (quando una donna non riconosce il bambino al momento del parto e lo fa, al suo posto, il padre genetico) significa spalancare le porte a un lucroso mercato fatto di cliniche, agenzie, consulenti legali e psicologiche. Un mercato che non recluterà certo le sue “volontarie” tra le donne benestanti, con un buon livello d’istruzione e un lavoro appagante… Davvero tutto ciò non pone problemi a sinistra?». Come abbiamo spiegato ieri, in realtà, tali questioni pongono più di un problema alla sinistra, soprattutto alle femministe storiche. Anche per questo i sindaci che oggi si riuniranno a Torino evitano accuratamente di citare il lato oscuro dei «diritti» che reclamano e insistono a dire che la registrazione dei figli arcobaleno e la surrogata siano due temi diversi. In parte può essere vero, perché non tutti i bambini in questione sono nati da gpa. È indubbio, però, che un certo numero di essi sia stato portato in grembo da donne opportunamente retribuite, e concedere la registrazione senza se e senza ma nei fatti sdoganerebbe la pratica. Come uscirne? Beh, se i sindaci dem volessero fugare ogni dubbio riguardo a possibili secondi fini, potrebbero chiedere la registrazione dei bambini e insieme schierarsi apertamente contro l’utero in affitto, ad esempio sottoscrivendo la raccolta firme a sostegno della proposta di legge di FdI per rendere la gpa reato universale. Ci saranno i gazebo dedicati anche oggi a Torino: a tutti gli amministratori riuniti nel capoluogo piemontese sarebbero sufficienti appena due passi in più per fare la cosa giusta.
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