
Armati di spray urticante, i magrebini diedero l'assalto ai tifosi della Juve radunati in piazza San Carlo per la finale di Champions Il panico della folla causò un morto e 1.526 feriti. Uno dei criminali esultava su Facebook: «Adesso anche voi sapete cosa vuol dire».Una banda di rapinatori, giovani, figli di immigrati, alcuni nati e cresciuti in Italia. Come arma per immobilizzare le loro vittime usavano lo spray urticante ed erano avvezzi alle rapine: ne avevano fatte prima e hanno continuato a farne in seguito. Sarebbero loro i responsabili della tragica serata di sabato 3 giugno 2017, quando a Torino si scatenò il panico tra i tifosi raccolti in piazza San Carlo per la finale di Champions league tra Juventus e Real Madrid. Nella ressa morì una donna di 38 anni, Erika Pioletti, e rimasero ferite ben 1.526 persone, alcune in modo molto grave. A spaventare la folla sarebbe stata proprio la banda di nordafricani che con lo spray aveva iniziato l'assalto ai tifosi per rubare catenine, orologi e cellulari. A mettere gli inquirenti sulle tracce del gruppo un'intercettazione emersa durante un'altra indagine, nella quale si parlava di una collana rubata durante l'evento, del valore di centinaia di euro. Uno dei rapinatori durante l'interrogatorio ha confessato. Sui social, il giorno dopo la tragedia aveva scritto: «Ve ne accorgete solo quando tocca la vostra pelle…».Sono dieci in tutto, i giovani tra i 18 e i 20 anni individuati dagli inquirenti. Tutti magrebini (cinque hanno la cittadinanza italiana), alcuni di seconda generazione, figli di genitori immigrati. Per sei di loro si sono aperte le porte del carcere, uno è in stato di fermo, un altro agli arresti domiciliari e due hanno l'obbligo di firma. Durante gli interrogatori uno ha confessato facendo, a quanto risulta, anche i nomi dei compagni. Si tratta di Sohaib Bouimadaghen, detto Budino, nato nel 1998 a Cirié, in provincia di Torino, cittadino italiano e residente in città. Quella sera, insieme ad altri tre, diede inizio al suo piano criminale. In piazza, però, c'erano quasi 40.000 persone. Il panico divampò in pochi secondi anche perché nella mente delle persone c'era la memoria per gli attentati jihadisti messi a segno in tutta Europa. Tanti tifosi, spinti dall'onda d'urto rimasero intrappolati nella gabbia delle barriere: 350 subirono lesioni, Erika morì dopo giorni di sofferenze. Un'altra donna è sopravvissuta, ma oggi è disabile. «Una ringhiera vi ha messo in ginocchio. Avete calpestato bambini e donne per un petardo, ve ne accorgete solo quando vi tocca la pelle. C'è chi si alza senza la propria famiglia, sotto le macerie di una casa distrutta, senza né acqua né cibo, contro le più grandi forze mondiali», scrisse Bouimadaghen su Facebook, il giorno dopo la tragedia. «Troppo debole sto spray ahahahaha...», avrebbe aggiunto qualche settimana più tardi. Bouimadaghen è accusato di omicidio preterintenzionale, rapina e lesioni aggravate. Stesse accuse anche per un altro membro della banda, anche lui magrebino, ieri pomeriggio sotto torchio degli inquirenti.Non era la prima volta, in ogni caso, che i giovani immigrati agivano armati di spray. E, nonostante l'accaduto, secondo gli inquirenti, non fu nemmeno l'ultima. Il 30 settembre del 2017, sempre a Torino, il gruppo avrebbe colpito durante l'inaugurazione delle Officine grandi riparazioni, mentre sul palco si esibiva la cantante Elisa. Durante quella serata, all'improvviso, una parte del pubblico che assisteva al concerto sentì un forte bruciore alla gola, ma in quel caso, i presenti riuscirono ad allontanarsi senza scatenare il panico. Stessa cosa lo scorso gennaio, in una discoteca di Verona, molto affollata per un evento musicale: occhi e gola che bruciano, svenimenti, malori e fuggi fuggi generale. Anche quella volta, per fortuna senza feriti gravi. Secondo la ricostruzione degli inquirenti lo spray era servito a coprire la fuga dopo i primi furti. E non si esclude che la banda possa aver colpito anche all'estero.Le indagini relative alla notte di piazza San Carlo sono arrivate a un punto importante anche per l'altro filone dell'inchiesta, quella per disastro, lesioni e omicidio colposo nei confronti degli organizzatori. Proprio nei giorni scorsi il sindaco di Torino, Chiara Appendino, ha ricevuto l'avviso della conclusione delle indagini preliminari, insieme ad altre 13 persone tra cui l'ex capo di gabinetto, il direttore dello stesso ufficio e una dipendente, oltre all'allora questore Angelo Sanna, con due dirigenti e e i collaboratori di Turismo Torino, la partecipata del Comune organizzatrice della serata. Per sette indagati, tra cui il prefetto Renato Saccone, invece, è stata chiesta l'archiviazione. Secondo una consulenza tecnica della Procura l'allestimento della piazza non era sicuro: troppe transenne, poche vie di fuga e soprattutto troppe persone presenti: il limite massimo che non doveva essere superato avrebbe dovuto essere di 20.000 persone. Commentando gli arresti di ieri il vicepresidente del Senato, Roberto Calderoli, ha chiesto che la banda risponda «di terrorismo e tentata strage, pur senza dimenticare le gravi responsabilità organizzative». Inconsolabile, invece, la famiglia di Erika. «Per noi non cambia nulla. A giugno saremo a Torino per la posa di una targa ricordo», ha commentato lo zio della donna. «Lei non c'è più e nulla di quello che succede e succederà ce la potrà restituire», ha aggiunto in un'intervista all'Adnkronos la sorella Cristina.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.
Franz Botrè (nel riquadro) e Francesco Florio
Il direttore di «Arbiter» Franz Botrè: «Il trofeo “Su misura” celebra la maestria artigiana e la bellezza del “fatto bene”. Il tema di quest’anno, Winter elegance, grazie alla partnership di Loro Piana porterà lo stile alle Olimpiadi».
C’è un’Italia che continua a credere nella bellezza del tempo speso bene, nel valore dei gesti sapienti e nella perfezione di un punto cucito a mano. È l’Italia della sartoria, un’eccellenza che Arbiter celebra da sempre come forma d’arte, cultura e stile di vita. In questo spirito nasce il «Su misura - Trofeo Arbiter», il premio ideato da Franz Botrè, direttore della storica rivista, giunto alla quinta edizione, vinta quest’anno da Francesco Florio della Sartoria Florio di Parigi mentre Hanna Bond, dell’atelier Norton & Sons di Londra, si è aggiudicata lo Spillo d’Oro, assegnato dagli studenti del Master in fashion & luxury management dell’università Bocconi. Un appuntamento, quello del trofeo, che riunisce i migliori maestri sarti italiani e internazionali, protagonisti di una competizione che è prima di tutto un omaggio al mestiere, alla passione e alla capacità di trasformare il tessuto in emozione. Il tema scelto per questa edizione, «Winter elegance», richiama l’eleganza invernale e rende tributo ai prossimi Giochi olimpici di Milano-Cortina 2026, unendo sport, stile e territorio in un’unica narrazione di eccellenza. A firmare la partnership, un nome che è sinonimo di qualità assoluta: Loro Piana, simbolo di lusso discreto e artigianalità senza tempo. Con Franz Botrè abbiamo parlato delle origini del premio, del significato profondo della sartoria su misura e di come, in un mondo dominato dalla velocità, l’abito del sarto resti l’emblema di un’eleganza autentica e duratura.
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A rischiare di cadere nella trappola dei «nuovi» vizi anche i bambini di dieci anni.
Dopo quattro anni dalla precedente edizione, che si era tenuta in forma ridotta a causa della pandemia Covid, si è svolta a Roma la VII Conferenza nazionale sulle dipendenze, che ha visto la numerosa partecipazione dei soggetti, pubblici e privati del terzo settore, che operano nel campo non solo delle tossicodipendenze da stupefacenti, ma anche nel campo di quelle che potremmo definire le «nuove dipendenze»: da condotte e comportamenti, legate all’abuso di internet, con giochi online (gaming), gioco d’azzardo patologico (gambling), che richiedono un’attenzione speciale per i comportamenti a rischio dei giovani e giovanissimi (10/13 anni!). In ordine alla tossicodipendenza, il messaggio unanime degli operatori sul campo è stato molto chiaro e forte: non esistono droghe leggere!
Messi in campo dell’esecutivo 165 milioni nella lotta agli stupefacenti. Meloni: «È una sfida prioritaria e un lavoro di squadra». Tra le misure varate, pure la possibilità di destinare l’8 per mille alle attività di prevenzione e recupero dei tossicodipendenti.
Il governo raddoppia sforzi e risorse nella lotta contro le dipendenze. «Dal 2024 al 2025 l’investimento economico è raddoppiato, toccando quota 165 milioni di euro» ha spiegato il premier Giorgia Meloni in occasione dell’apertura dei lavori del VII Conferenza nazionale sulle dipendenze organizzata dal Dipartimento delle politiche contro la droga e le altre dipendenze. Alla presenza del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, a cui Meloni ha rivolto i suoi sentiti ringraziamenti, il premier ha spiegato che quella contro le dipendenze è una sfida che lo Stato italiano considera prioritaria». Lo dimostra il fatto che «in questi tre anni non ci siamo limitati a stanziare più risorse, ci siamo preoccupati di costruire un nuovo metodo di lavoro fondato sul confronto e sulla condivisione delle responsabilità. Lo abbiamo fatto perché siamo consapevoli che il lavoro riesce solo se è di squadra».





