2018-09-01
Diciotti, gli atti arrivano a Palermo. Salvini in tutto rischia fino a 30 anni
Due nuove accuse (cinque in totale) contro il ministro dell'Interno Matteo Salvini. La replica: «Sono come medaglie». L'inchiesta, però, va avanti: torchiati dai giudici altri uomini del Viminale. E Gianni Alemanno denuncia il pm.Due navi, due misure: la tragedia dimenticata della Kater I Rades. Nel 1997, il blocco decretato dal governo Prodi fece oltre 100 morti (e nessuno indagò). «Cacciare 500.000 clandestini? Una sparata». Giancarlo Giorgetti ridimensiona la promessa del vicepremier. Ma un modo per agevolare i rimpatri volontari esiste.Lo speciale contiene tre articoli.Dal momento in cui la nave Diciotti ha attraccato al molo di Catania, le accuse al ministro dell'Interno Matteo Salvini si sono moltiplicate. Giorno dopo giorno. E nei cinque giorni di stop in porto, con le due che si sono aggiunte prima di mandare il fascicolo a Palermo per competenza territoriale, sono diventate ben cinque. Le ultime accuse in ordine di arrivo sono «sequestro di persona a scopo di coazione» e «omissione di atti di ufficio». Si sommano a quelle di «sequestro di persona, arresto illegale e abuso d'ufficio». Il ministro Salvini e il suo capo di gabinetto, Matteo Piantedosi, secondo la Procura di Agrigento, avrebbero commesso, stando alla media, un reato al giorno. Nel fascicolo, oltre ai verbali con le testimonianze dei funzionari del Viminale e degli ufficiali della Guardia costiera ascoltati dai magistrati, c'è una memoria firmata dai pm che illustra gli aspetti tecnico-giuridici del caso. In totale 50 pagine. «Trenta anni di carcere come pena massima», è stato il commento a caldo, sui social, del leader del Carroccio: «Voi pensate che io abbia paura e mi fermi? Mai». Poi, tra la pioggia di like che su Facebook ha portato in poche ore il contatore sotto il post a oltre 35.000, ha aggiunto: «So che in Italia ci sono tanti giudici liberi, onesti e imparziali, per me “prima gli italiani" significa difendere sicurezza e confini, anche mettendosi in gioco personalmente. Di politici ladri, incapaci e codardi l'Italia ne ha avuti abbastanza. Contate su di me, io conto su di voi».Quell'intento di «difendere sicurezza e confini», però, nell'ufficio del Procuratore Luigi Patronaggio è stato interpretato come un «sequestro di persona per costringere l'Ue a trattare». L'articolo del codice penale è il 289 ter. E punisce con la reclusione dai 25 ai 30 anni chi sequestra «una persona o la tiene in suo potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata per costringere un terzo, sia questi uno Stato o un'organizzazione, a compiere un atto». E in questo caso il «terzo» sarebbe l'Unione europea. L'omissione d'atti d'ufficio, invece, è legata al fatto che il titolare del Viminale non ha indicato un porto di sbarco alla Diciotti dopo l'operazione di salvataggio.«Oggi ho scoperto che ho altri due capi di imputazione, però per me sono medaglie», Salvini liquida così la notizia delle nuove contestazioni.L'atto di iscrizione nel registro degli indagati risale a sabato sera, quando il procuratore Patronaggio e il pm Salvatore Vella sono volati a Roma per sentire i dirigenti del servizio Libertà civili del Viminale. Per circa tre ore sono stati torchiati il vicecapo dipartimento, Bruno Corda, e lo stesso Piantedosi (ascoltato come persona informata sui fatti e quindi senza la presenza di un legale, si è poi ritrovato indagato insieme al ministro). I due hanno ricostruito la catena di comando seguita per gestire l'emergenza della Diciotti. Salvini e Piantedosi, quindi, sostiene la Procura, non avrebbero impartito alcuna istruzione. Il tutto, poi, si sarebbe svolto esclusivamente tramite comunicazioni telefoniche. Dopo la prima attività investigativa il procuratore Patronaggio ha trasferito gli atti a Palermo, dalla quale Procura poi verranno inviati al Tribunale dei ministri. Prima però sono stati eseguiti ulteriori accertamenti. Per identificare le persone offese, ad esempio, sono state acquisite le generalità di tutti i migranti rimasti per dieci giorni a bordo del pattugliatore Diciotti e trasferiti soprattutto a Rocca di Papa nel centro gestito da Auxilium, la coop che piace alla Cei e a papa Francesco. I migranti potranno quindi costituirsi parte civile in un eventuale processo contro il ministro. «Surreale», sbotta l'eurodeputato di Forza Italia Stefano Maullu. Gianni Alemanno, leader dei movimento nazionale sovranista, invece, ha preso carta e penna e ha presentato un esposto contro la Procura di Agrigento per «attentato contro i diritti politici e violenza o minaccia a un corpo politico». Ma anche per «usurpazione di funzioni pubbliche e rivelazione ed utilizzazione di segreti d'ufficio». Nell'esposto si sottolinea come l'indagine contro Salvini e Piantedosi appaia fondata su ipotesi di reato «paradossali e strumentali». E si ipotizza che l'avere preannunciato le iniziative e le conseguenze giudiziarie in caso di mancata autorizzazione allo sbarco possa rivestire «i connotati propri dell'avvertimento esplicito e della minaccia velata a un componente di corpo politico dello stato atto a turbarne l'attività». Le iniziative del ministro, insomma, secondo Alemanno, potrebbero essere state condizionate dalle notizie sull'inchiesta diffuse a mezzo stampa.«Io mi sono fatto il convincimento che il magistrato a tutti i costi volesse indagare Salvini e che a Salvini non dispiacesse di essere indagato. Il risultato di questa vicenda è che sono contenti sia Salvini che il magistrato», ha chiosato il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Giancarlo Giorgetti. E a leggere le dichiarazioni di Salvini durante un comizio in provincia di Padova, infatti, pare che non veda l'ora di essere interrogato: «Se mi chiederanno: “Lei ha tenuto gli immigrati sulla barca perché voleva che l'Europa alzasse il sedere?" Risponderò sì e lo rifarei. Arrestatemi». Il paradosso: l'avvocato agrigentino Giuseppe Arnone, ex consigliere comunale con un passato nel Pci, che si definisce «berlingueriano», indignato per le accuse della Procura, ha inviato una lettera a Salvini manifestando la propria disponibilità ad assumere gratuitamente la difesa. E come direbbe Totò: «Poi dice che uno si butta a sinistra».Fabio Amendolara<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/diciotti-gli-atti-arrivano-a-palermo-salvini-in-tutto-rischia-fino-a-30-anni-2600807863.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="due-navi-due-misure-la-tragedia-dimenticata-della-kater-i-rades" data-post-id="2600807863" data-published-at="1757589527" data-use-pagination="False"> Due navi, due misure: la tragedia dimenticata della Kater I Rades Da 27 a 47 anni di carcere. Questo, in linea teorica, rischia oggi il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini per i cinque reati che gli vengono contestati dalla Procura di Agrigento: il sequestro di persona e il sequestro a scopo di coazione, più l'arresto illegale, l'abuso d'ufficio e l'omissione d'atti d'ufficio. L'inchiesta penale sulla nave Diciotti e sul tentativo di impedire lo sbarco dei 177 immigrati recuperati in mare dalla Guardia costiera, che da una settimana coinvolge il ministro dell'Interno leghista individuandolo come mandante-autore dei reati, è però un caso unico nella storia giudiziaria italiana. La Verità del 27 agosto ha già raccontato la storia (così memorabile e così presto dimenticata) degli oltre 11.000 albanesi, sbarcati dalla nave Vlora nel porto di Bari l'8 agosto 1991. Di fatto «arrestati» dal settimo governo di Giulio Andreotti, e poi «sequestrati» per una settimana d'inferno nel vecchio stadio della Vittoria, quei profughi a migliaia furono rimpatriati a Tirana, restituiti senza troppi riguardi al declinante regime comunista dal quale erano fuggiti. Nessun magistrato, in quel caso, avviò la minima inchiesta. C'è però una storia ancora più tragica, eppure dimenticata esattamente come gli otto giorni del sequestro di massa nello stadio barese. Risale al marzo 1997, quando la pressione migratoria dall'Albania, in grave crisi politica ed economica, torna a esplodere. Il 25 di quel mese, il presidente del Consiglio Romano Prodi, con il ministro dell'Interno Giorgio Napolitano e quello della Difesa Beniamino Andreatta, decidono il blocco navale. Il governo, chissà perché, decide di battezzarla «Operazione bandiere bianche»: in realtà alla Marina viene affidato il compito di dissuadere le navi albanesi con «manovre cinematiche di interposizione». Di fatto, il Canale d'Otranto viene blindato militarmente. Protesta la delegazione italiana dell'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati, che sostiene l'operazione sia «del tutto illegale», ma non è ancora affidata ai prestigiosi uffici di Laura Boldrini e quindi della sua denuncia si perde traccia. I i giornali italiani dell'epoca non si agitano più di tanto, parlano del blocco come fosse un'operazione politicamente irreprensibile. La Repubblica del 25 marzo 1997 scrive che alla Marina è stata affidata «un'opera di convincimento». Come no. Da quel giorno, le fregate Sagittario e Aviere e le corvette Driade e Urania allungano il loro «fronte di manovra» ai limiti delle acque territoriali albanesi, con il compito d'intercettare qualsiasi imbarcazione carica d'immigrati e spingerla a rientrare in Albania. Per due giorni va bene. Viene bloccato un peschereccio con 150 persone a bordo, accostato dalla Sagittario a 20 miglia da Otranto. Con i megafoni, gli italiani intimano al comandante il rientro nelle sue acque territoriali, e il barcone fa dietrofront, ma la Sagittario lo segue quasi fin dentro al porto di Durazzo. Stesso trattamento per un mercantile. Poi, il disastro. Il 28 marzo la corvetta Sibilla sperona una carretta del mare che cerca con più insistenza di aggirare il blocco, e involontariamente l'affonda: sono 81 i morti accertati della «Kater I Rades», e una trentina i dispersi mai recuperati, mentre si salvano in 34. Silvio Berlusconi, capo dell'opposizione, non chiede che la giustizia indaghi il governo, cui, pure, potrebbe addossare la responsabilità (quantomeno politica e morale) della strage: corre in Puglia e si commuove per le sofferenze dei poveri superstiti. Inchieste? Processi? Sì, uno. Come imputati, però, non ha avuto alcun politico, bensì i due comandanti della nave italiana e di quella albanese. Come fossero gli unici responsabili del blocco. Nel maggio 2014 la Cassazione li ha condannati rispettivamente a due anni, e a tre anni e sei mesi di reclusione. E il premier, Prodi? E i suoi ministri? Non pervenuti. La corte però ha condannato il ministero della Difesa a risarcire i familiari delle vittime con 2 milioni di euro. Maurizio Tortorella <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/diciotti-gli-atti-arrivano-a-palermo-salvini-in-tutto-rischia-fino-a-30-anni-2600807863.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="cacciare-500-000-clandestini-una-sparata" data-post-id="2600807863" data-published-at="1757589527" data-use-pagination="False"> «Cacciare 500.000 clandestini? Una sparata» «Matteo Salvini, ha promesso il rimpatrio di 500.000 clandestini? L'ha sparata grossa». A dirlo è stato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti, che tuttavia ha aggiunto: «L'importante oggi è che non arrivino più». Sparate o meno, il tema tiene banco. Immaginatevi, tanto per rendere l'idea, una metropoli come Genova e un cittadina come Empoli interamente abitate da stranieri. I 624.688 immigrati sbarcati sulle nostre coste dal 2014 al 2017 sarebbero sufficienti a creare dal nulla due città di quelle dimensioni. Una scelta, quella di farci invadere, decisamente demenziale se si considera che oltre il 30% dei reati più comuni (furti, rapine e stupri) sono commessi da stranieri che però rappresentano l'8% circa della popolazione residente. Le statistiche sono pressoché analoghe se soffermiamo lo sguardo sulla popolazione carceraria dal momento che circa un terzo dei 58.000 detenuti - stipati in istituti con capienza regolamentare per complessivi 50.000 posti - sono stranieri. La più alta e certificata propensione a delinquere non è chiaramente il risultato di una maggiore predisposizione genetica ad attuare comportamenti devianti quanto l'elementare incapacità di questi quasi 630.000 malcapitati ad integrarsi in un Paese che soffre e che ha oltre 6 milioni di disoccupati: circa la metà certificati dall'Itat come in cerca di lavoro cui se ne aggiungono altrettanti talmente disperati da non iscriversi ad un ufficio collocamento ma che qualora trovassero un impiego sarebbero ben lieti di lavorare. E tutto questo senza considerare i molti precari con orario ridotto che qualora ve ne fosse l'opportunità sarebbero ben lieti di lavorare di più. I più fortunati fra gli immigrati finiscono peraltro per alimentare quello che Karl Marx chiamava esercito industriale di riserva. Manodopera a basso costo e senza tutele disposta a lavorare alla metà di quanto sarebbe disponibile ad essere impiegato un nostro concittadino. Comunque la si rigiri il costo dell'immigrazione lo paga o il contribuente o la vittima del reato o il disoccupato battuto dalla concorrenza di immigrati disperati e schiavi. Nessun incentivo infine al progresso tecnologico delle imprese soprattutto nel settore agricolo avendo a disposizione masse di disperati pronte ad offrire braccia e sudore ad ogni cifra. Con l'arrivo di Matteo Salvini al Viminale l'emergenza immigrazione, nonostante le tante sterili polemiche, sembra di fatto risolta in appena tre mesi. Nell'agosto di quest'anno gli sbarchi giornalieri medi sono pari a 45 contro i 126 del 2017 ed i 687 del 2016 con l'allora premier Renzi affaccendato nella campagna referendaria. Risolto il problema delle frontiere occorre, come si diceva in apertura, trovare una soluzione per favorire il rimpatrio di tutti questi stranieri dal momento che le statistiche del Viminale confermano che appena il 7% degli stessi ha diritto allo status di rifugiato. Le espulsioni sono particolarmente complesse e laboriose. Stime più o meno accreditate riportano come un rimpatrio forzato possa addirittura costare all'erario circa 6.000 euro. Dal momento quindi che «il morto è nella bara ed è arrivato un nuovo sceriffo in città» perché non pensare alla pragmatica soluzione dei rimpatri agevolati e volontari? Perché non dare incarico alle nostre forze dell'ordine di prendere contatto con il maggior numero possibile di questi disperati offrendo loro una soluzione di mercato? Circa 4.000 euro più biglietto aereo per tornare a casa in cambio di impronte digitali e divieto assoluto a rientrare in Italia se non legalmente? Oggi che le nostre frontiere sono al sicuro la soluzione potrebbe essere percorribile. E perché non accreditare la cifra che residua per arrivare ai 6.000 euro di stima del costo di espulsione a un fondo da destinare all'aumento degli stipendi dei nostri poliziotti e carabinieri? Una soluzione pragmatica ed intelligente che risparmierebbe molte lungaggini e con un incorporato incentivo da parte delle nostre forze dell'ordine a darsi da fare. Fossi il ministro dell'Interno, ci penserei. Fabio Dragoni
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)