2022-11-27
La democrazia è dura da esportare a pallonate
La kermesse iridata in Qatar, col suo carico di contraddizioni e ipocrisie, comprova che nella nostra parte di mondo ci raccontiamo favole su inclusività e diritti. Poi però arriva lo scontro con la realtà (ossia il business della Fifa) e questa narrazione va in frantumi.Il gigantesco problema politico riguardante i Mondiali in Qatar sta tutto nelle parole pronunciate qualche giorno fa dal presidente della Fifa, Gianni Infantino: «Proviamo a convincere gli altri costruendo relazioni, aiutando, non dividendo, ma piuttosto unendo». Frasi all’apparenza estremamente superficiali, e ovviamente di circostanza. Ma che tradiscono il vizio antico e oscuro dell’Occidente: la convinzione di essere in possesso dell’unico modello di vita funzionante e accettabile, e la pretesa di poterlo esportare. C’è, in quelle frasi, una concezione quasi virale della liberal democrazia: si ritiene che se qualcuno la sperimenta per qualche istante, e in particolare se una nazione viene a contatto con essa, non può non rimanerne affascinata, sedotta. Come per contagio, la democrazia liberale dovrebbe entrare nell’organismo della nazione straniera e prenderne possesso, portando a compimento l’inevitabile: il sistema occidentale deve essere per forza l’approdo ultimo di ogni civiltà, la fase adulta dell’esistenza. Seguendo tale logica, dovrebbe bastare un mesetto di spettacolo calcistico per convincere il Qatar e numerosi altri stati a maggioranza musulmana (o, meglio, le loro popolazioni) a occidentalizzarsi.Fatalmente, qui emerge una duplice - e devastante - ipocrisia. Per prima cosa, la Fifa e gli osservatori europei trascurano un dettaglio non irrilevante, e cioè che l’alterità esiste, è un dato di fatto e come tale va accettata. Il Qatar potrebbe semplicemente non volere la liberal democrazia e il suo corredo di diritti. Certo, si può ritenere che al governo di quella nazione ci sia una oligarchia oppressiva e perversa, ovvero una patologia che solo il vaccino liberale può curare. Ma ciò significa ignorare del tutto l’esistenza di una cultura millenaria - quella islamica - la quale non è presente in quelle zone in virtù di un accidente. Al contrario, essa è radicata, condivisa, predominante. E rifiuta quelli che l’Occidente considera «diritti inalienabili».La pretesa di «educare» le nazioni altre è destinata, per forza di cose, a risolversi malamente. Non è un caso che la cosiddetta esportazione della democrazia, nel corso degli anni, sia avvenuta manu militari, e non tramite la vendita di videoregistratori (come qualcuno immaginava alla «fine della Storia») o la connessione internet. Anzi, a ben vedere il mondo non occidentale è riuscito ad adattarsi perfettamente, ad esempio, alla rivoluzione tecnologica, rimanendo tuttavia impermeabile all’impalcaltura morale in cui questa viene racchiusa dalle nostre parti. Lo Stato islamico, per citare un caso fra tanti, si è servito con facilità del supporto tecnologico occidentale per proporre la sua versione ultramoderna di tribalismo estremista.Di fronte a queste evidenze, resta purtroppo vero ciò che scriveva Serge Latouche e cioè che «il dramma dell’Occidente consiste nel non avere mai potuto rinunciare a due atteggiamenti che alla fine conducono allo stesso risultato: negare la cultura dell’altro, o negare la nostra cultura a vantaggio di un universalismo assai particolare». Si tratta - con tutta evidenza - dell’universalismo dei diritti umani che ha prodotto, per lo più, guerre e sconvolgimenti. Come ha ampiamente dimostrato John Mearsheimer, «un Paese deciso a perseguire l’egemonia liberale fa più male che bene a sé stesso e agli altri Paesi, specie quelli che intende aiutare». I tentativi di ingegneria sociale, tocca rassegnarsi, per lo più falliscono con conseguenze disastrose (vedi Iraq, Libia, Afghanistan, Siria, Somalia eccetera). Per tornare allo specifico dei Mondiali, assistiamo a una grottesca pantomima sui colori e il posizionamento delle fascette dei capitani: ecco il massimo che si può ottenere con lo strabiliante «potere di seduzione Occidentale», e non si può dire che non si sapesse fin dall’inizio. È a questo punto che si manifesta la seconda, clamorosa, ipocrisia. Ormai da molti anni, è noto ai più anche in Occidente che l’esportazione della democrazia sia in realtà una pantomima. Non si tratta più, e probabilmente non si è mai trattato, di sostenere l’allargamento dei diritti che caratterizzano le democrazie liberali. Piuttosto, in gioco c’è l’imposizione della ragione neoliberale, che deve divenire l’unica ragione del mondo. Poiché tale ragione è essenzialmente economica, ciò che conta davvero sono gli affari. Ergo sono gli affari (e non potrebbe essere altrimenti) a muovere la macchina mediatico-sportiva dei Mondiali in Qatar, non la promozione di chissà quale diritto. Nell’universalismo occidentale, l’economia sostituisce la politica, e molto spesso la politica si rivela un impedimento al business. Non deve stupire, dunque, l’imbarazzo con cui vengono accolte le polemiche sui diritti dei lavoratori violati e tutte le altre pretese europee sulle istanze femminili e arcobaleno. Ciò che a tutti interessa - cosa che costituisce l’unico terreno comune - è fare soldi. Di fronte al denaro, tutto crolla: si rinuncia agevolmente, per dire, alle battaglie cosiddette «umanitarie», e in questo senso l’atteggiamento della Fifa è emblematico. Il contentino ideologico l’ha offerto il solito Infantino: qualche parola sul fatto che egli «si sente» gay, musulmano, lavoratore sfruttato eccetera e poi via con lo spettacolo.Se non altro, emiri e sceicchi sotto questo aspetto sono più trasparenti. Non hanno bisogno di incartare le lotte per il potere e gli accordi economici dentro a un bel pacchettino intriso di buoni sentimenti. Anche perché hanno già abbastanza problemi a mettere d’accordo i propri, di valori, con la fame di denaro, figuriamoci se si prendono il disturbo di condividere le nostre paranoie.Così doveva essere, e così è in effetti finita. Quando gli interlocutori sono ricchi e potenti, quando parlare con loro conviene, tutto arretra al cospetto dell’interesse, a partire dai diritti. Quando invece gli altri alzano troppo le pretese o sono riottosi al dialogo, i diritti divengono un ottimo strumento utile a giustificare il ricorso alla forza. Tutti lo sappiamo, quindi basta piagnistei. Gioiscano piuttosto istituzioni sportive e aziende transnazionali: ancora una volta è stato garantito il diritto ad arricchirsi, l’unico davvero rilevante.
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