2018-04-25
Il prof che ha scritto il programma per i grillini era un «incompetente»
Giacinto Della Cananea partecipò alla commissione che nominò il nipote di Romano Prodi a capo dell'agenzia spaziale. Un'interrogazione del Movimento 5 stelle lo definì privo delle «competenze necessarie». Roberto Fico, intanto, muove le acque. Maurizio Martina, reggente dem apre ai pentastellati: «Decide la direzione». Il leader M5s: «Se fallisce dialogo si vota». Rivolta dei renziani. Matteo Salvini non ci sta: «Un golpe in stile Dc». Vuole stravincere le regionali e pensare al «liberi tutti» dopo il Friuli. Silvio Berlusconi sul territorio fino a domenica. La coalizione è appesa al voto. C'è stata un'epoca, neppure troppa lontana, solo quattro anni fa, nella quale i deputati grillini definivano il professor Giacinto Della Cananea «incompetente» e presentavano interrogazioni parlamentari contro di lui. Ma poi l'allievo di Sabino Cassese si è avvicinato al Movimento, l'anno scorso, ed ecco che Luigi Di Maio gli ha affidato addirittura il compito di stendere la prima bozza del programma di governo. Non senza mal di pancia fra le truppe parlamentari e nella base, che ha capito perfettamente come Della Cananea c'entri più con il Quirinale e con i poteri forti romani che con il mondo dei 5 stelle. Marzo 2014, Matteo Renzi ha appena dato la mitica pugnalata nella schiena al «sereno» Enrico Letta e gli ha soffiato la poltrona. Del resto si preparava una ghiotta stagione di nomine pubbliche ai vertici di Eni, Enel, Finmeccanica-Leonardo, Ferrovie, Poste e via boiardeggiando, e l'ex sindaco di Firenze aveva capito che se voleva completare la sua scalata al potere doveva essere lui a dare le carte. Questione di budget pubblicitari, sponsorizzazioni, acquisti, forniture, appalti e subappalti. Prima di passare la mano, però, Letta aveva avviato la procedura di nomina dei nuovi vertici dell'Agenzia spaziale italiana, che maneggia un ricco budget per partecipare ai programmi spaziali europei e può, volendo, aiutare anche molte piccole imprese italiane ad entrare nel giro delle grandi commesse internazionali. Il 20 marzo 2014, viene presentata alla Camera un'interrogazione parlamentare dei deputati Giulia Sarti, Francesco Businarolo e Andrea Colletti, sul procedimento di nomina avviato dall'ex ministro dell'Istruzione, Maria Chiara Carrozza, dopo che il 7 febbraio il presidente dell'Asi, Enrico Saggese, si era dimesso perché indagato per corruzione e concussione. Letta junior, su indicazione della Carrozza, intanto nominava commissario straordinario il giurista Aldo Sandulli e poi faceva partire le procedure di selezione dei nuovi vertici. Per il comitato di selezione venivano scelti Fabio Beltram, direttore della Normale di Pisa, Donatella Sciuto, prorettore del Politecnico di Milano e Giacinto Della Cananea, ordinario di diritto amministrativo all'università Tor Vergata di Roma. «Nessuno dei tre membri della Commissione dispone di una laurea o di una preparazione approfondita nel settore della ricerca spaziale o affini», si legge nell'interrogazione, «e tantomeno una conoscenza elevata dell'industria spaziale sia manifatturiera che dei servizi». Non solo, ma si fa presente che alcune scelte sono chiaramente amicali: «Il professor Aldo Sandulli e il membro del Comitato di selezione, professor Della Cananea, hanno mantenuto una stretta collaborazione negli anni avendo pubblicato insieme il libro nel 2011 Global standards for public authorities (Editoriale Scientifica Napoli, 2011)». Insomma, Sarti, Businarolo e Colletti concludono chiedendo al ministero dell'Università e della ricerca, se costoro siano idonei a valutare, come da decreto, «l'esperienza nella ricerca scientifica e tecnologia; l'esperienza nella gestione dei programmi tecnologici; l'esperienza nella promozione, sviluppo della ricerca scientifica e tecnologica, nello sviluppo di servizi innovativi e nel trasferimento tecnologico». Ovviamente i tre deputati vengono ignorati e il 16 maggio il nuovo ministro Stefania Giannini, nomina alla presidenza dell'Asi Roberto Battiston, che insegna fisica sperimentale a Trento, non esattamente un autorità della materia spaziale. Ma Battiston è marito della nipote di Romano Prodi e ora è in corsa per un secondo mandato. Una vicenda della quale La Verità si è occupata a febbraio, visto che la selezione per confermarlo è stata bandita prima delle elezioni del 4 marzo, nonostante la nomina scada a metà maggio. Quello che però oggi interessa è che quei tre deputati che se la presero con Della Cananea, sottolineando il fatto che fosse clamorosamente inadatto al delicato incarico, sono del Movimento 5 stelle. Ovvero di quello stesso partito che oggi, per volontà di Luigi Di Maio, gli ha affidato un compito strategico come la valutazione dei programmi di governo di M5s, Lega e Pd, in vista di possibili alleanze. Ad accorgersi della singolare faccenda è stato Cesare Albanesi, un ingegnere spaziale che cura un blog molto seguito nel settore (Cesarealbanesi.com) e aveva dato conto di quell'interrogazione parlamentare pentastellata. Della Cananea si è avvicinato al Movimento nel 2017, ovvero prima della vittoria del 4 marzo scorso, partecipando ad alcune iniziative pubbliche sulla giustizia. Ma in questa fase colpisce soprattutto il fatto che sia uno degli allievi prediletti di Cassese, giurista da sempre vicino al Pd e grande amico del presidente Sergio Mattarella. Nei 5 stelle, molti sono rimasti allibiti nel veder sparire la lotta alla corruzione nella piattaforma di governo preparata dal giurista «di area» e temono che Della Cananea stia lavorando per un governo Cassese. Il background, in effetti, autorizza qualche sospetto. Del resto, i malumori interni sono crescenti e basta guardale le pagine sui social dei «portavoce» M5s per vedere che molti elettori sono inviperiti al solo pensiero di un governo con il Pd. Francesco Bonazzi <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/della-cananea-un-incompetente-per-i-grillini-2562993277.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="martina-apre-ai-5-stelle-di-maio-molla-la-lega-e-il-pd-si-frantuma-ancora" data-post-id="2562993277" data-published-at="1757981371" data-use-pagination="False"> Martina apre ai 5 stelle. Di Maio molla la Lega e il Pd si frantuma ancora La politica conosce queste accelerazioni. Quasi due mesi di melina, e poi, nello spazio di una serata romana, come due trapezisti che si librano, i leader del Pd e del Movimento 5 stelle si lanciano improvvidamente nel vuoto - rischiano entrambi qualcosa - e cercano di abbracciarsi in volo. La politica ha di inediti momenti: catartici, feroci, risolutivi. Alla fine il reggente parlò, schierando il Pd dopo 50 giorni di immobilismo glaciale, lotte fratricide, e dispute interne paralizzanti, e il capo dei 5 stelle rispose, bruciandosi ogni altra pista alternativa. Maurizio Martina colloca il partito con un atto di coraggio che gli costa l'apertura di un immediato fuoco di contraerea dei suoi oppositori. Le parole del reggente arrivano a caldo, subito dopo l'incontro con il presidente-esploratore Roberto Fico, e accendono la miccia del chiarimento di conti (anche quello senza rete), dentro il Pd: «Abbiamo detto a Fico una cosa: dopo 50 giorni di questa situazione che abbiamo tutti osservato e vissuto di impossibilità ad arrivare ad una proposta di governo», spiega Martina, «noi siamo disponibili a valutare il fatto nuovo se verrà confermato in queste ore....». Pausa, e le ultime frasi sono quelle più pesanti, quelle che restano impresse sui taccuini e nei titoli di agenzia: «.... e cioè», aggiunge, dosando le parole, Martina, « la fine di qualsiasi tentativo di un accordo con la Lega». Di fatto, però, già quando Martina parla sta ponendo una condizione già realizzata. La faccia di Matteo Orfini, in diretta, diventa terrea. Matteo Renzi e il suo stato maggiore, che seguono la diretta in tv fanno un salto sulla sedia: si aspettavano un passo, ma non così deciso. Si scatenano le telefonate, si attivano i social manager, parte il contropiede. In pochi minuti le agenzie e la rete pullulano di dichiarazioni e si trasformano in un cruento campo di battaglia della guerra fratricida dei Dem. messaggio ricevuto Passano poco più di due ore e anche Luigi Di Maio si pronuncia, spingendosi ancora più in là, e lanciando un messaggio inequivocabile: «Se fallisce questo percorso», spiega il capo politico del M5s gettando il cuore oltre l'ostacolo, «per noi si deve tornare al voto non sosterremo nessun altro governo, tecnico, di scopo o del presidente». Anche Di Maio, parla al termine delle consultazioni con Fico, rispondendo, non a caso, alla condizione posta da Martina: «Voglio dire qui ufficialmente che per me qualsiasi discorso con la Lega si chiude qui». Ma la manovra era preparata bene, da ambo i lati. La mattina Dario Franceschini, in cabina di regia, aveva preannuciato e benedetto l'accordo, con una grande intervista che ieri era l'apertura di Repubblica. E le minoranze erano schierate da giorni. Ma è Martina, con uno strattone da leader, che ha dosato l'apertura al M5s, e ha schierato il Pd nel campo dell'area di un possibile governo. Basterebbe la cronaca di queste fasi concitate, che ieri si sono affastellate minuto dopo minuto, per capire come ormai a via del Nazareno sia deflagrata una vera e propria guerra civile, ma anche per capire come il gruppo dirigente che adesso sta guidando il partito, raccolto intorno al reggente, abbia deciso di muovere guerra a Matteo Renzi e alla sua corrente, arroccata intorno alla linea #senzadime, e al dogma del «nessun accordo con il M5s». Appare evidente che entro lunedì si celebrerà il primo atto di questa guerra civile, con una prima conta in Direzione, un voto in un organismo dirigente in cui l'ex segretario conta - apparentemente - su una maggioranza blindata. Sarà quel dato la sede per capire se il grande corpo del Pd si muove o resta fedele al leader sconfitto. Ma torniamo a ieri. Sono passati pochi minuti dalla fine del colloquio tra la delegazione del Pd e il presidente della Camera, con quella fumata bianca che apre la strada a una possibile intesa Pd-M5s quando su Twitter i deputati renziani suonano la carica. alla carica Uno dei primi a dar fuoco alle polveri è Michele Anzaldi, deputato ed ex portavoce della compagnia delle primarie: «Secondo i siti, Martina apre. Davvero qualcuno nel Pd pensa di fare il governo con Di Maio e Casaleggio? Messaggio incomprensibile e umiliante per i nostri elettori, che», attacca Anzaldi, «hanno fatto sentire loro voce con #senzadime, ancora in queste ore», segue a stretto giro di posta Anna Ascani, ancora più dura: «Qualora il reggente Martina, come ha annunciato, sottoponesse qualsivoglia ipotesi di governo Pd-5 Stelle alla direzione del partito io voterò convintamente, senza esitazioni, contro. Senza di me». Secondo l'ex prodiano Sandro Gozi è giusto che si esprima la Direzione sull'eventuale accordo di programma con il Movimento. Ma anche lui, ex ambasciatore del renzismo in Europa ha le idee chiare: «Io voterò contro #senzadime». Anche Ivan Scalfarotto è dello stesso avviso: «Un accordo con il Movimento 5 stelle non è pensabile». A chiudere, ancora una volta, l'hashtag #senzadime. Come reagisce il gruppo dirigente a questa vera e propria offensiva? In primo luogo con prudenza, cercando di abbassare i toni. Martina aveva fissato una ospitata cruciale a Ottoemezzo, da Lilli Gruber - già annunciata nei comunicati stampa - ma all'ultimo momento fa un passo indietro. E curiosamente anche tutti gli altri dirigenti democratici di primo piano contattati, sia di una fazione che dell'altra, fanno un passo indietro. Resta cruciale capire, in queste ore, cosa faranno. Il litigio con Orfini dopo l'incontro è stato duro, e il presidente ha chiesto e ottenuto la Direzione. Il reggente deve strappare un «mandato a trattare». Scorrerà di nuovo il sangue. Luca Telese <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/della-cananea-un-incompetente-per-i-grillini-2562993277.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-lega-non-ci-sta-un-golpe-in-stile-dc-e-dopo-il-friuli-verso-il-liberi-tutti" data-post-id="2562993277" data-published-at="1757981371" data-use-pagination="False"> La Lega non ci sta: «Un golpe in stile Dc». E dopo il Friuli verso il «liberi tutti» LaPresse «Non può esistere un governo senza il centrodestra, un golpe democristiano sarebbe inaccettabile». Dentro la Lega sono tutti convinti: con il suo mellifluo incedere il presidente della Repubblica sta portando il Paese verso quel governissimo che Matteo Salvini teme come la peste. Il leader della Lega ha fiutato la trappola, sa che rischia di essere l'unico a finire all'opposizione. E dalle trincee del Friuli Venezia Giulia dov'è attendato per sostenere Massimiliano Fedriga alle regionali (gli ultimi sondaggi danno il candidato al 43% e il partito verde al 30%) prepara le barricate. Il suo braccio destro Giancarlo Giorgetti mostra olimpico distacco («Oggi siamo in tribuna a vedere la partita, non temiamo niente, male che vada ci va bene»), ma Salvini no e ne ha per tutti. Per Luigi Di Maio, che lo ha accusato di non volersi assumere responsabilità di governo e di fatto lo ha archiviato: «Chi la sta tirando avanti da un mese e mezzo è proprio lui, ma se pensa che i problemi di questo Paese si possano risolvere con Maria Elena Boschi e compagnia, tanti auguri». E poi ha aggiunto: «Il fatto che amoreggi con Renzi e con il Pd pur di andare al potere mi sembra irrispettoso nei confronti degli elettori». Per Sergio Mattarella, senza mai nominarlo: «Come è possibile pensare di fare un governo con chi prende legnate sempre più forti ad ogni occasione elettorale?». E infine punta il dito contro chi auspica il governo del presidente, quindi per proprietà transitiva anche contro l'alleato Silvio Berlusconi: «Sarebbe l'ennesimo governo fantoccio. Monti, Letta, Renzi e Gentiloni: sarebbe il quinto governo in cui gli italiani non hanno avuto voce in capitolo. Un po' troppi, no?». Sarà anche paradossale, ma a tutt'oggi sembra l'esecutivo più probabile, davanti al quale Berlusconi, al debutto di un mini tour elettorale di cinque giorni in Friuli, si limita a ribadire: «Mattarella sa quello che fa». A meno che il capo dello Stato non decida di ascoltare i suoi consiglieri, che caldamente sconsigliano: un esecutivo senza la Lega moltiplicherebbe i consensi del Carroccio, sarebbe per Salvini un investimento dal rendimento pazzesco. Il leader leghista però vorrebbe provare a governare, non ne fa mistero da Trieste e ne spiega anche i motivi. «Non vedo l'ora di arrivare al governo per fare l'esatto contrario di quello che i matti dell'Ue ci hanno imposto di fare negli ultimi anni. L'Italia esce dalla crisi se abbassa le tasse e manda la gente in pensione quando merita di andarci, e dice di no a dei diktat europei che sono la nostra morte. Io voglio andare a Bruxelles a dire: no, grazie. Prima vengono gli italiani e poi vengono le vostre tasse e le vostre regolette. Non voglio che gli italiani abbiano un governo imposto dall'Europa. Temo la voglia di mettere le mani sui conti correnti, di aumentare l'Iva, rimettere l'Imu, di aumentare le tasse sulla benzina». Salvini si guarda attorno e scopre di non avere molti alleati. A Forza Italia il governissimo va bene; Antonio Tajani continua a rassicurare l'Europarlamento e Denis Verdini continua a tessere la tela con Matteo Renzi. Il centrodestra tiene, almeno fino a lunedì quando la parte più movimentista della Lega vorrebbe il «liberi tutti» per tornare a trattare con Di Maio per quell'esecutivo che «sarebbe indispensabile per dare il senso del nuovo e potrebbe lavorare duro cinque anni per risollevare il Paese» (Salvini dixit). Il balletto fra Roberto Fico e il Pd viene visto da Forza Italia come un male necessario. Gli azzurri hanno affidato alla capogruppo alla Camera, Mariastella Gelmini, il compito di bocciarlo: «Un governo 5 stelle-Pd sarebbe un esecutivo fra il secondo e il terzo alle elezioni. Un governo fatto con la calcolatrice, ma che non rispetterebbe le volontà degli italiani». Toni diversi, obiettivi diversi da quelli della Lega. Ben più ruggente la posizione di Marina Berlusconi, che a margine dell'assemblea Mondadori si sente in dovere di fare un'incursione nella politica e stigmatizzare l'uscita di Alessandro Di Battista su suo padre, definito «il male assoluto». «Stiamo parlando di uno dei più grandi imprenditori italiani, che ha creato dal nulla un gruppo che dà lavoro a 20.000 persone, un gruppo che dalla sua nascita ha pagato 10 miliardi di tasse. Mio padre alza il telefono e parla con Vladimir Putin e Angela Merkel, chi lo offende parla al massimo con un comico o un esperto di computer. Mio padre si è conquistato un posto nei libri di storia, dove non credo che troveremo grandi tracce del signor Di Battista». E ancora: «La sua esperienza e saggezza, così come i suoi rapporti con l'Europa e con molti fra i più importanti leader mondiali rappresentano un patrimonio prezioso che va al di là di Forza Italia e della stessa coalizione di centrodestra». Marina Berlusconi critica l'uscita del pm Nino Di Matteo che a margine della sentenza sulla Trattativa Stato-mafia ha sottolineato: «Nel dispositivo viene toccato il Berlusconi politico». Rivela la presidente di Mondadori: «Quella sentenza è stata usata per andare contro mio padre. Quando ricopriva la carica di procuratore antimafia, Pietro Grasso disse che sarebbe stato giusto dare un premio ai risultati raggiunti dai governi Berlusconi nella lotta alla mafia. Questi sono i fatti, ma sembra che i fatti non contino nulla». E sul governo: «Ci vorrebbe una sfera di cristallo, ne auspico uno che possa fare ciò che serve al Paese». Giorgio Gandola
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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