2024-02-05
Il «debanking» arriva in Francia: conti correnti chiusi a chi dissente
Una conferenza tenuta dal gruppo francese Academia Christiana, i cui membri si sono visti bloccare i conti bancari. L’associazione cattolica potrebbe venire sciolta dal governo
Dopo i casi in Usa, Regno Unito e Canada (dove il governo è intervenuto direttamente), anche Oltralpe le banche puniscono le associazioni «scomode». Guarda caso, quelle che si oppongono al governo.François Bousquet, caporedattore di «Éléments»: «I militanti vengono paralizzati finanziariamente. Contro i gilet gialli una repressione mai vista».Circuiti come Visa promuovono piani per orientare agli acquisti «green». Il modello può divenire più invasivo.Lo speciale contiene tre articoli.«Gentilissimo direttore, riscontro la comunicazione email del 7 febbraio u.s. inviata relativamente al blocco inopinatamente operato sul conto aperto presso il vostro Istituto a nome dell’associazione che rappresento». Chi scrive è una delle tante vittime di «debanking», vero e proprio attentato alla proprietà privata che consiste nella brusca e arbitraria chiusura del conto corrente a privati e associazioni da parte del proprio istituto di credito. Nel Regno Unito è ormai un’operazione diffusa: le banche hanno sospeso più di 1.000 conti ogni giorno lavorativo, i conti chiusi sono aumentati da meno di 50.000 nel 2016 a quasi 350.000 nel 2022, secondo i dati della Financial Conduct Authority, che hanno spinto il governo di Rishi Sunak a emanare una legge per arginare il fenomeno.Le banche che, senza autorizzazione, dall’oggi al domani chiudono conti e sequestrano soldi a centinaia di migliaia di persone agiscono ufficialmente in nome della «lotta al riciclaggio», delle «frodi bancarie» e del «finanziamento al terrorismo». Molto spesso, però, ai privati e alle associazioni i conti vengono bloccati senza motivo o, peggio ancora, per motivi politici. È ciò che sta succedendo in Francia dove da qualche anno, in coincidenza con l’elezione di Emmanuel Macron, il «debanking» furoreggia. Basta una semplice lettera e il sistema bancario - con l’implicita compiacenza del tribunale mediatico - blocca i conti correnti dei profili «sospetti», in nome di una rigorosa «etica» che consiste nel rifiutare di gestire i risparmi - di solito piuttosto modesti - di attivisti patrioti e nazionalisti. Poco importa che siano padri di famiglia, artigiani o giovani imprenditori: per le Ppe (persone politicamente esposte) non c’è scampo né carta di credito. La parola d’ordine evocata dagli ignavi funzionari è la «segnalazione». Molte delle associazioni punite subiscono le segnalazioni in coincidenza di ogni apparizione sui media: così è stato per Génération Identitaire (GI), L’Alvarium, Academia Christiana e l’associazione La Citadelle. Il caso di GI è emblematico: dissolta dal ministro degli interni Gérard Darmanin nel 2021, GI si è vista negare la gestione dei fondi associativi dalla piattaforma Stripe, da PayPal e da Banque Populaire, che ha rifiutato i regolari versamenti dei donatori. La procedura è spietata: i soggetti non allineati politicamente passano attraverso le forche caudine dei servizi di «compliance», i cui funzionari monitorano la reputazione sui media. Se i media trasmettono messaggi negativi, i team di conformità creano una regola interna e etichettano l’organizzazione in rosso. Senza neanche che lo Stato si esponga, l’ampio consenso mediatico «antifascista» è sufficiente a incitare gli istituti di credito alla massima prudenza: da quel momento, è finita.Così è successo anche a Nigel Farage, noto conduttore televisivo ed ex europarlamentare del partito della Brexit, l’Ukip. La banca Coutts, del gruppo bancario NatWest, gli ha bloccato a fine giugno 2023 il conto corrente, sostenendo che il politico non era «compatibile» con Coutts date le sue opinioni, «in contrasto con la nostra organizzazione inclusiva». Il politico è riuscito ad entrare in possesso del documento interno in cui era definito «truffatore» ed era evocata come una colpa la sua amicizia con Donald Trump e con il tennista «no-vax» Novak Djokovic. Dopo aver reso pubblico il suo caso, Farage ha fatto dimettere l’amministratore delegato del gruppo NatWest Alison Rose e il Ceo di Coutts, Peter Flavel.Il suo connazionale Philip Cato, falegname di 92 anni, ha avuto più difficoltà nel portare alla ribalta la sua situazione. Cato da quasi cinquant’anni riceveva la sua pensione in Giamaica, dove si era trasferito nei primi anni Novanta per prendersi cura dell’anziana madre. A ottobre 2022 NatWest lo ha avvisato che il suo conto sarebbe stato chiuso.Non ha avuto più fortuna l’avvocato Olga Milanese, presidente dell’associazione Umanità & Ragione (U&R), impegnata dal 2021 nella battaglia civile contro il green pass e l’obbligo di vaccinazione anti Covid. Il conto di Umanità & Ragione è stato operativo per un mese, poi è stato bloccato. Milanese ha provato a contestare la decisione con lettere e diffide: «Tali disposizioni non sono mai state autorizzate dalla titolare del conto e sono, pertanto, arbitrarie ed inaccettabili», ha scritto la professionista salernitana. Ma non c’è stato verso: con la scusa che il suo impegno civile «non rappresenta il core business dell’azienda» la banca le ha comunicato che avrebbe restituito i soldi a chi aveva fatto le donazioni, come fossero di sua proprietà anziché dell’associazione.Stesse dinamiche negli Stati Uniti, dove la mannaia è dichiaratamente politica. All’associazione UsForThem, impegnata contro la Dad in pandemia, PayPal ha sospeso l’account, impedendo l’accesso ai soldi raccolti con le donazioni. Un portavoce della piattaforma di pagamento digitale ha replicato che la società ha «solo» applicato le policies aziendali, che prevedono di sospendere gli account di chi «fa disinformazione sul vaccino Covid». E il conto corrente? Sparito. «Non ci è stato dato alcun preavviso o spiegazione e non abbiamo potuto ritirare il nostro saldo rimanente», ha dichiarato la co-fondatrice Molly Kingsley. Stessa trafila anche per Toby Young, attivista della libertà di espressione Usa e fondatore del sito di notizie Daily Sceptic, cui è stato sequestrato il conto PayPal. La piattaforma si è accanita anche contro l’associazione Gays for Groomers, impegnata contro «la sessualizzazione, l’indottrinamento e la medicalizzazione dei bambini» e, più in generale, contro l’ideologia di genere. Per lo stesso motivo, nel Regno Unito perfino un religioso, il reverendo Richard Fothergill, è stato «debankato» dalla Yorkshire Building Society (Ybs) per le sue critiche alle teorie di genere con la surreale motivazione: «Abbiamo un approccio di tolleranza zero alla discriminazione». Nel «democratico» Canada è stato direttamente il governo di Justin Trudeau a intervenire sui conti correnti dei cittadini del «“Freedom Convoy» che protestavano contro il green pass. «Vi faremo male», ha dichiarato all’epoca il ministro delle finanze Chrystia Freeland, e ha mantenuto la promessa: in totale, le banche canadesi hanno congelato 7,8 milioni di dollari di circa 200 conti correnti collegati ai manifestanti, paralizzando sul nascere il movimento di protesta, mentre la piattaforma GoFundMe ha trattenuto milioni di dollari di donazioni che erano state versate ai manifestanti per esprimere solidarietà. Pochi giorni fa, un giudice federale ha condannato il governo per gli illeciti perpetrati nei confronti dei manifestanti, ma l’esecutivo ha già fatto appello. Dal punto di vista legale, il «debanking» occupa un’area grigia: le banche sono enti privati che non hanno l’obbligo di servire tutti i clienti, ma al tempo stesso i fornitori di servizi non possono basare tali decisioni su discriminazioni di razza, religione o convinzioni politiche. Detto questo, è spesso difficile, per le persone colpite da «debanking», dimostrare che alla base della decisione ci sia effettivamente una discriminazione, perché le banche raramente rivelano i dettagli del processo decisionale e si nascondono dietro la tutela della privacy. Gli stessi dati del «debanking» nel mondo sono poco trasparenti: soltanto nel Regno Unito sono stati resi noti, mentre negli altri Paesi i governi stentano a prendere atto della situazione e ad adottare provvedimenti.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/debanking-arriva-in-francia-2667170979.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="sono-colpiti-i-gruppi-critici-con-macron-oggi-pensare-e-reato" data-post-id="2667170979" data-published-at="1707143178" data-use-pagination="False"> «Sono colpiti i gruppi critici con Macron. Oggi pensare è reato» La Francia di Macron sta diventando una dittatura? Così la pensa la redazione della rivista Éléments, che alla deriva autoritaria transalpina dedica la sua ultima copertina. Ne abbiamo parlato con François Bousquet, caporedattore del magazine francese, nonché direttore della Nouvelle Librairie. In italiano ha pubblicato il libro Coraggio! (Passaggio al bosco). L’ultimo numero di Éléments parla di «dictature en marche» a proposito di Macron. È una formula forte. La Francia non è forse uno Stato di diritto con un governo democratico? «Si tratta di una prima pagina evocatrice per il pubblico francese, dato che En marche! era lo slogan della campagna di Macron nel 2017. Egli ha poi lanciato un’associazione con questo nome. Del resto ne circostanziamo la portata nelle pagine interne. La verità è che è difficile definire la natura del regime che subiamo. La tirannia è greca, la dittatura romana, il dispotismo orientale, l’assolutismo francese, il totalitarismo germano-sovietico, il liberalismo autoritario neoconservatore… Abbiamo optato per il concetto di anarco-tirannia o più esattamente di tirannia anomica, l’anomia essendo l’assenza di leggi. Anarco-tirannia significa avere uno Stato canaglia, lassista con coloro che sono al di sopra delle leggi (la delinquenza in colletto bianco) e al di sotto delle leggi (la delinquenza ordinaria), ma al contempo uno Stato poliziesco, che usa il pugno di ferro solo con le persone normali. Il fenomeno non è specifico della Francia. Pensi a Matteo Salvini, che rischia fino a 15 anni di carcere per aver bloccato un barcone di migranti in mare aperto, mentre questi stessi migranti beneficiano dell’empatia, quando non della clemenza, di giudici e giornalisti». Come funziona la repressione «finanziaria» dei dissidenti tramite la chiusura dei conti di persone non ancora condannate? «Si tratta purtroppo di una pratica “legale”, anche se oltrepassa largamente il suo quadro regolamentare. Si tratta di “debancarizzare” i conti (debanking, in inglese) che presentano dei rischi, per esempio riguardo alla reputazione delle banche. Nella pratica, la sinistra radicale non è mai presa di mira con chiusure simili. Con i dissidenti di destra le cose vanno differentemente. Il caso più famoso resta quello di Nigel Farage, il leader della Brexit, che si è visto chiudere i conti per ragioni politiche. Le altre vittime di queste chiusure abusive non sono altrettanto mediatiche, la loro debancarizzazione avviene nella più grande discrezione, senza possibilità di ricorso. Molti militanti e strutture patriottiche o identitarie sono stati paralizzati finanziariamente in questo modo in Francia negli ultimi mesi. L’ultimo caso è quello di Academia Christiana. E un modo di condannarli alla morte sociale e di imbavagliarli. Austria e Germania in questo sono state “pioniere”. Martin Sellner, cofondatore del movimento identitario austriaco, ha dovuto cambiare conto 70 volte, e in più Paesi europei, fino alla Georgia. Le lascio immaginare i soldi e il tempo che ha perso. Il governo subappalta così la repressione al settore privato, dalle banche ai giganti della Silicon Valley». Con i gilet gialli abbiamo assistito a una repressione particolarmente dura. Questa risposta violenta dello Stato è usuale in Francia o è un fenomeno nuovo? «Cose mai viste in Francia dalla fine della guerra d’Algeria, nel 1962, ma allora il Paese era in guerra, con omicidi politici mirati e una profusione di atti di terrorismo. Al 30 giugno 2019, ovvero 32 settimane dopo l’inizio della crisi, 10.852 manifestanti erano stati arrestati, 3.163 condannati, di cui 1.000 a pene detentive. Per non parlare della brutalità della polizia: più di venti manifestanti hanno perso un occhio, mutilazioni che non hanno portato ad alcuna condanna delle forze di polizia. Mai, dagli anni Sessanta, il potere aveva avuto tanta paura. Nel dicembre del 2018, al picco della crisi, un elicottero si teneva sempre pronto a evacuare Macron dall’Eliseo. La feroce repressione dei gilet gialli da parte di un governo disperato illustra perfettamente la doppia natura dell’anarco-tirannia: forte con i deboli e debole con i forti. Questo è talmente vero che, dal 2017, 26 membri del governo e stretti collaboratori di Macron sono stati incriminati giudiziariamente. Ad oggi, solo due di loro sono stati condannati». Qual è lo stato della libertà di opinione in Francia? «Si sta riducendo rapidamente. Nell’ultimo mezzo secolo, abbiamo perso il conto del numero di leggi liberticide e che ci hanno riportato a prima del XII secolo, quando i chierici distinguevano tra crimine e peccato. Oggi il peccato - il pensiero malvagio - è un crimine. È su questa base che i successivi ministri degli Interni di Macron hanno giustificato le loro richieste di vietare o sciogliere i gruppi politici etichettati come “di ultradestra”». Chi è l’Emmanuel Macron del 2024? È più debole o più forte? C’è una componente psicologica nella sua deriva autoritaria? «Egli è il sottoprodotto di un’élite sradicata, traviata dalla finanza e da un sistema che ha il fiato corto e non vuole rinunciare ai suoi privilegi. È allo stesso tempo un simbolo e un sintomo dello spirito del tempo: narcisismo, senso di onnipotenza, immaturità, arroganza, fantasie onnipresenti (l’“allo stesso tempo” caro alla retorica del macronismo), tutti tratti psicologici che senza dubbio accompagnano la sua deriva autoritaria. Nel momento in cui il “Mozart della finanza” è stato elevato al rango di “Giove” - così lo hanno definito i suoi cortigiani - ha portato il debito francese a livelli stratosferici. In nome della logica manageriale e del clientelismo, ha smantellato il grande corpo dello Stato (diplomatico, prefettizio) per far posto a una “nazione start-up” invertebrata come le società di consulenza americane, i “McKinsey boys”, che lui chiama in causa a ogni occasione e che fanno pagare allo Stato francese, così esternalizzato, cifre esorbitanti per acquistare file PowerPoint intercambiabili da un Paese all’altro. Il nulla con molti zeri». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/debanking-arriva-in-francia-2667170979.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="le-carte-di-credito-rieducano-i-consumatori" data-post-id="2667170979" data-published-at="1707143178" data-use-pagination="False"> Le carte di credito «rieducano» i consumatori In Canada è stato possibile per il premier Justin Trudeau ottenere da parte della piattaforma di donazioni GoFundMe il blocco di 4,5 milioni di dollari destinati ai convogli di camion, dopo la rivolta dei sindacati contro l’uso invasivo del green pass. In Italia un intervento del genere non sarebbe nemmeno immaginabile ma ciò non toglie che una forma di ingerenza nelle transazioni finanziarie è già ravvisabile laddove vengono usati gli strumenti digitali. Non è detto che non sia possibile utilizzare i metodi di pagamento digitale per condizionare comportamenti di acquisto a sostegno della transizione ecologica. La strada l’ha tracciata, anche in questo caso, il Canada. Come riportato su La Verità da Claudio Antonelli, a Vancouver la banca Vancity ha emesso una carta di credito che calcola il livello di CO2 prodotto per ogni spesa effettuata. Alle transazioni si abbina, dunque, una voce grazie a una seconda app fondata a Berlino che si chiama Ecolitiq. Quest’ultima a sua volta ha stretto un accordo con Visa per un programma dal nome Eco Benefit. Lo schema è semplice. Più si usano l’auto endotermica e gli aerei, e maggiore è la carne consumata, più aumenta il saldo negativo. Maggiore invece è la quantità di verdura a chilometro zero o l’uso del bike sharing, più si ottengono punti. Il valore mensile viene confrontato con una sorta di parametro che negli Usa e in Canada si chiama Pca, personal carbon allowance. Un valore prettamente teorico che si prefigge di stabilire la soglia massima di anidride che un cittadino può emettere. Alla fine di tutto questo percorso, il consumatore virtuoso è premiato e i punti accumulati possono essere usati come benefit per spese su marketplace, siti di ecommerce, considerati in linea con l’ideologia green. Se invece il possessore della carta non ha seguito le indicazioni giuste può comunque «salvarsi», facendo donazioni a enti benefici che secondo il circuito Visa aiutano l’ambiente. L’esperimento è stato avviato anche in Australia, in Nuova Zelanda e a breve anche in Germania e Svezia. Le app non solo tracciano le spese ma suggeriscono anche gli acquisti con la mission di educare l’utente a e spendere in modo sostenibile. A pensar male, il Pca potrebbe diventare un parametro finanziario. In un sistema con la valuta digitale, le banche centrali potrebbero anche decidere, sempre con la scusa dell’ambiente, che il costo del denaro e la difficoltà di accesso ai finanziamenti possano essere incrociati con le abitudini dei cittadini. Le banche centrali avrebbero così il controllo della filiera della valuta e i governi potrebbero indirizzare i cittadini verso determinate scelte. In prospettiva se l’app di monitoraggio venisse collegata a una qualche blockchain, tipo il green pass, potrebbero essere bloccati singoli pagamenti. Esperimenti di carte di credito che incentivano i consumi green si stanno sviluppando ovunque. Negli Usa c’è la carta di debito Aspiration Plus che consente di ottenere un rimborso fino al 10% sugli acquisti da marchi attenti al sociale e all’ambiente. Con la carta di credito Aspiration Zero, ogni volta che si fa un acquisto, viene piantato un albero. Inoltre sull’app c’è il monitoraggio di quanta CO2 l’utente emette ogni mese e se il risultato è zero, si può avere fino all’1% di rimborso su tutti gli acquisti. In Svezia la fintech Doconomy ha lanciato la carta di credito DO con MasterCard che calcola l’impronta di carbonio degli acquisti e stabilisce un limite di CO2 per la spesa. La FutureCard Visa Card operativa negli Usa premia gli utenti per gli acquisti rispettosi dell’ambiente con un rimborso del 5% su trasporti pubblici, ricarica elettrica, biciclette e spese online di vestiti usati, e dell’1% per altri prodotti green. Il rimborso sale al 6% se gli acquisti sono effettuati presso partner di Future che promuovono uno stile di vita ecologicamente sostenibile come Just Salade, una catena di ristoranti che serve esclusivamente insalate o Earth Hero, brand di negozi con prodotti a impatto zero. Sempre negli Usa la Treecard Wooden Mastercard consente per gli acquisti green, di guadagnare premi come viaggi sostenibili e abbigliamento di marchi rispettosi dell’ambiente. Sono sistemi che tracciano un determinato tipo di acquisti e con una logica premiale, convincono il consumatore a fare alcune scelte rispetto ad altre.