2022-07-01
Dalla Corte suprema altro schiaffo a Biden
Dopo la Roe, i giudici hanno limitato i poteri dell’agenzia che regola le emissioni delle centrali elettriche. La Casa Bianca ha reagito con rabbia: «Decisione devastante». Ma gli stessi giudici hanno silurato una decisione di Trump sui clandestini.La recente sentenza della Corte suprema sull’aborto continua ad agitare il panorama politico americano. Ieri Joe Biden è tornato all’attacco, definendo il verdetto in questione «destabilizzante», accusando i togati di «comportamento oltraggioso. È necessario trasformare in legge la Roe v. Wade» e sostenendo che il Senato dovrebbe abolire il «filibuster», con l’obiettivo di approvare una legge a tutela dell’aborto. Ricordiamo che il filibuster è uno strumento con cui, alla camera alta, il partito di opposizione può richiedere che, per l’approvazione di un provvedimento, sia richiesta una maggioranza qualificata di 60 voti. Essendo al momento i seggi in senato ripartiti a metà (50 ai dem e 50 ai repubblicani), l’elefantino fa spesso ricorso a questo strumento per bloccare le proposte di legge dell’asinello. Un asinello che, nell’ultimo anno e mezzo, ha pertanto più volte invocato l’abolizione del filibuster. Il punto è che non tutti i senatori dem sono d’accordo sulla sua abrogazione (si tratta, in particolare, di Joe Manchin e Kyrsten Sinema). È chiaro che, con l’esortazione di ieri, Biden punta a tentare di compattare la sua compagine su questo punto. Peccato che si tratti dell’ennesimo tentativo di strumentalizzazione delle istituzioni da parte dei democratici. Il filibuster nasce come dispositivo di garanzia a tutela del partito di opposizione al Senato. Nel corso dei quattro anni della presidenza di Donald Trump, i democratici vi hanno fatto ricorso centinaia di volte: 328 soltanto tra gennaio 2019 e gennaio 2021. Toglierlo di mezzo adesso solo perché l’asinello è tecnicamente maggioranza alla camera alta significherebbe politicizzare ulteriormente le istituzioni, dopo gli attacchi gravissimi che i dem hanno già lanciato alla Corte suprema nei giorni scorsi. La deputata Alexandria Ocasio-Cortez è arrivata a ipotizzare l’impeachment dei togati nominati da Trump, mentre alcuni settori del suo stesso partito sono tornati a chiedere una riforma che aumenti il numero dei supremi giudici (un’idea che Biden non sembra disposto ad accogliere e che venne sonoramente bocciata anche dalla togata liberal Ruth Ginsburg nel 2019). È chiaro che i proponenti di una simile riforma vorrebbero annacquare il peso dei giudici di nomina repubblicana, ma un simile scenario darebbe soltanto in pasto la Corte suprema alla partigianeria politica. Quella stessa Corte suprema che, proprio ieri, ha assestato un ulteriore colpo all’amministrazione Biden. I giudici hanno infatti limitato la capacità dell’Environmental protection agency di regolare le emissioni di gas serra delle centrali elettriche esistenti. In particolare, secondo la Corte, il Congresso non avrebbe delegato all’agenzia questo potere. Si tratta di una clamorosa sconfitta per i democratici. E, non a caso, la reazione è stata furente, con la Casa Bianca che ha parlato di «decisione devastante». Biden, ricordiamolo, era stato eletto anche sulla scia di un’agenda green. Agenda che prima ha contribuito ad aggravare il caro energia che da un anno attanaglia gli Stati Uniti e che poi è finita in pasto a varie contraddizioni (il presidente americano sta infatti andando in ginocchio da Venezuela e Arabia saudita, sperando aiuti in materia petrolifera). «Biden non smettera' di utilizzare i suoi poteri legali per proteggere la salute pubblica e affrontare la crisi del cambiamento climatico», ha aggiunto un portavoce della Casa Bianca: «I nostri avvocati studieranno la sentenza con attenzione». Va da sé che, a un primo sguardo superficiale, i professionisti dello sfregio istituzionale diranno che questa sentenza è l’ennesima riprova di una Corte suprema politicizzata e ostile all’amministrazione Biden. E invece non è così. Perché, sempre ieri, i supremi giudici hanno emesso anche un’altra sentenza, che concede alla Casa Bianca di abrogare, come aveva chiesto, la cosiddetta Remain in Mexico policy: provvedimento, introdotto da Trump, in forza di cui i migranti dovevano attendere in territorio messicano la valutazione della propria domanda di ammissione. L’abrogazione di questa misura è largamente impopolare tra gli elettori americani. E arriva, tra l’altro, in una fase storica in cui la frontiera meridionale degli Stati Uniti si sta rivelando sempre più un colabrodo. Tuttavia questa sentenza smentisce quanti si ostinano a sostenere che la Corte suprema nutrirebbe un pregiudizio contro Biden. Anche perché, pensate un po’, tra i cinque togati che hanno sostenuto questo verdetto figura anche Brett Kavanaugh: uno dei tre giudici nominati proprio da Trump. Un paradosso? Niente affatto. L’allora presidente repubblicano ha nominato tre togati originalisti: giudici, cioè, secondo cui la Costituzione va interpretata nel senso originario in cui fu scritta. Oltre a salvaguardare il ruolo del giudice come garante, l’originalismo assicura anche una pluralità di opinioni in seno alla Corte suprema. Eppure i democratici questo fingono di non saperlo. Perché considerano le istituzioni soltanto uno strumento di lotta politica.