2020-08-10
Dai 200 miliardi del Recovery fund subito un aiuto per chi fa più figli
Uno Stato serio e onesto non dovrebbe mai obbligare a scegliere tra avere un bambino e tenersi l'impiego oppure proseguire gli studi. Ma da decenni la protervia ideologica sopravanza ogni regola di buon senso.Si racconta che il filosofo Diogene di Sinipo fosse solito andarsene in giro per Atene, in pieno giorno, con una lanterna accesa in mano e a chi lo interrogava su che senso avesse un simile atteggiamento, rispondesse: «Hominem quaero». Cercare un uomo, una persona degna di questo nome. Se fu operazione difficile allora, figuriamoci oggi, quando neppure più si riconosce che l'umanità si rappresenta secondo due sessi/generi, complementari e differenti, uomo e donna, maschio e femmina. Parafrasando, oggi dobbiamo dire «Quaero familiam», perché di famiglia si parla poco e male. È diventato necessario addirittura precisare i termini, perché non è per nulla scontato di che cosa oggi si intenda per famiglia, e quell'istituto naturale di carattere sociale fondato su un solido patto che garantisce il susseguirsi delle generazioni, viene sempre più letto come una polverosa definizione di «padri costituenti» che si erano bevuti il cervello. Lo stesso «ordo succedentium generationum» (ordine di generazioni che si succedono), tra uteri in affitto, alchimie manipolative procreatiche, confabulazioni linguistiche e identità di genere fluide e variabili, viene di fatto cancellato con la conseguenza di persone sempre più sole, prive di storia e radici, e dunque facili prede di ogni tipo di lavaggio del cervello. La legge del 2016 sulle unioni civili, omologando la famiglia a qualsiasi tipo di relazione sentimentale, affettiva e sessuale ha aperto la strada al progetto di disarticolazione della famiglia. Ma la brama iconoclasta ora tenta d'imporre la fluidità del genere che recide la radice stessa dell'umano. Non solo tutto è famiglia, ma tutto è naturale e l'identità di genere è come la lista dei vini al ristorante, dove ognuno si inebria come pare e piace. Ora, tutti sappiamo che il nostro Paese è affetto da un virus mortale peggio di Covid 19, che si chiama denatalità: il bilancio negativo fra nascite e morti è impressionante, e ogni anno che passa scopriamo che è sempre peggio. Partono, allora, i titoloni su tutti i media che piangono lacrime di coccodrillo, perché poi, recitato il copione, nulla cambia. Basti pensare il programma di allocazione delle risorse legate al Recovery fund: il nome «famiglia» non è neppure citato. Si sostiene la «green economy» e lo «sviluppo sostenibile», quando di green e sostenibile non c'è nulla se non c'è famiglia e non ci sono figli. Lo stesso Family Act ha tanto il sapore di una promessa a futura memoria, certamente positivo e lodevole, perché a oggi i soldi necessari non ci sono. Allora, forse, è utile fare due conti: si calcola occorrano circa 7 miliardi, il Recovery fund si dice valga più di 200 miliardi, se davvero si crede che la famiglia è il motore della ripresa, perché non destinare subito quei fondi a provvedimenti come l'assegno universale, i contributi figurativi, il quoziente familiare, il sostegno alla natalità? Dovrebbe essere anche una questione di giustizia e di pubblico riconoscimento dell'enorme merito che le famiglie hanno conquistato sul campo durante il lockdown, quando abbiamo tutti visto il ruolo fondamentale giocato dal nucleo famigliare nelle più disparate esigenze di accudimento, cura, sostegno, servizio a beneficio di bambini e anziani. E abbiamo toccato con mano che senza la famiglia la società implode, si sfilaccia come un panno sdrucito. Non ci stancheremo mai di dire che «politiche famigliari» vuol dire «bene» del Paese e rilancio vero. Ma perché si torni ad aprirsi alla vita le misure economiche non bastano. È necessario un «rinascimento» culturale, che parta da due aspetti imprescindibili: la bellezza della vita nascente e la bellezza della maternità. Mettere al mondo un figlio è un evento di un valore straordinario che supera alla grande il ponte San Giorgio, è un regalo enorme fatto alla società intera che supera ogni green economy, è un gesto di una potenza tale che la conquista di Marte impallidisce. Dobbiamo riprendere in mano l'alfabeto della vita, insegnando ai nostri giovani che non c'è nulla di più grande che essere genitori, attori della generazione di un nuovo essere umano, unico, irripetibile, di valore inestimabile. E la bellezza della maternità: la donna porta nel suo corpo la «fabbrica della vita», e che cosa c'è di più grande di sperimentare l'indescrivibile sensazione di essere mamma. In questo rinascimento culturale la figura femminile ha un ruolo di primo piano assoluto. Sappiamo bene che è politicamente scorretto, ma la dignità della donna non si misura con le quote rosa o i posti occupati negli staff dirigenziali, ma togliendosi il cappello e baciando i piedi di quelle donne che hanno il coraggio di andare controcorrente e scelgono di fare le mamme. E uno Stato serio e onesto non dovrebbe mai obbligare a scegliere fra fare un figlio e perdere il lavoro o rinunciare agli studi. L'esigenza di compatibilità tra casa e lavoro è scritta nella Costituzione ma, purtroppo, siamo da tempo abituati a vedere che la protervia ideologica sopravanza e annulla ogni norma e regola. Siamo sulla soglia di un fallimento antropologico e sociale, ben più grave di quello economico. Per cambiare registro è necessaria una vera catarsi intellettuale e morale, un investimento in termini economici ed educativi, che pone al centro il valore della famiglia, perché - come disse San Giovanni Paolo II - stiamo vivendo il «rischio dell'alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto o subdolo, come dimostra la storia». Frase profetica e di un'attualità straordinaria: basta leggersi il ddl Zan.
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