2021-03-16
Da premier fu un vero maestro nei tagli feroci alla sanità pubblica
Enrico Letta (Claire Greenway/Getty Images)
Enrico Letta ereditò da Mario Monti non solo la guida del governo, ma soprattutto la propensione alle sforbiciate. Repubblica le definì «uno scempio da fermare». Ma l'ordine di Bruxelles fu applicato senza pietà.«La salute deve diventare un bene comune globale». Così domenica pomeriggio, Enrico Letta ha scritto su Twitter per lanciare l'idea del «costo del non coordinamento» tra Paesi nell'affrontare la sfida del Covid.Sull'onda dell'entusiasmo per la sua elezione a segretario del Pd, l'ex presidente del Consiglio si è affrettato a indicare la soluzione alla crisi sanitaria che stiamo vivendo: ci vuole più coordinamento tra Paesi. Strano. Noi credevamo ci volessero più risorse finanziarie per aver più medici e più posti in terapia intensiva per gestire il picco dell'epidemia. Purtroppo per Letta, il coordinamento non c'entra nulla con le vite umane perse in questi mesi, così come la famosa amalgama non era un giocatore da acquistare, come invece credeva il presidente del Catania calcio negli anni Ottanta. C'entrano, in modo clamoroso, i tagli e i definanziamenti a cui è stato sottoposto il Servizio sanitario nazionale in due precisi momenti: a metà degli anni Novanta in preparazione dell'ingresso nell'eurozona, e dopo la crisi del 2011 per rispondere alla politica di bilancio restrittiva imposta dalla Ue. In entrambi i periodi, consistenti avanzi primari di bilancio sono stati ottenuti comprimendo la spesa sanitaria pro capite. E in questa seconda tornata il ruolo di Letta è stato innegabile, essendo stato presidente del Consiglio dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014.Ma questo non lo diciamo noi. Lo afferma uno studio pubblicato a giugno 2020 sulla rivista scientifica Intereconomics dagli economisti Franz Prante, Alessandro Bramucci e Achim Truger. La conclusione a cui giungono è che ci siamo presentati a questa crisi con il sistema sanitario e ospedaliero debilitati da 30 anni di tagli, concentrati proprio nei comparti che ora sarebbero stati più utili: quello dei letti in terapia intensiva e in pneumologia. I primi erano pari a 7 per 1.000 abitanti nel 1990 e sono crollati a 2,6 nel 2017. Anno in cui la Germania è attestata a 6 e la media Ue a poco meno di 4. «Pochi Paesi europei hanno ridotto i letti disponibili così tanto e a un livello così basso», commentano i ricercatori. «L'Italia sarebbe stata meglio attrezzata a curare in modo adeguato i pazienti Covid in condizioni critiche, se la dotazione di letti in terapia intensiva non fosse stata ridotta», è la inequivocabile conclusione. Ad aggravare il quadro riportano il crollo del 19% (da 4.414 del 2010 a 3.573 del 2018) dei letti in pneumologia, scelta definita «particolarmente tragica». Proprio in quest'ultimo decennio la spesa pubblica sanitaria pro capite si è ridotta dell'8,2%. Solo la Grecia ha fatto peggio di noi e Portogallo e Spagna hanno fatto segnare decrementi appena inferiori. Tutti finiti sotto la scure del Patto di stabilità. L'entità del danno subito del nostro Paese è resa ancora più evidente osservando l'aumento nel periodo 2008-2018 della spesa sanitaria complessiva, pari al 5,3%, con una riduzione della spesa per gli ospedali, mentre la Germania cresceva del 47%. Gli altri correvano, noi tenevamo a fatica il passo dell'inflazione, pur di non sforare i parametri Ue di cui tutti oggi rivelano la dannosità, ma che all'epoca erano la stella polare del governo Letta.A luglio 2019, uno studio della fondazione Gimbe ha calcolato in 37 miliardi i tagli e i definanziamenti accumulati nel decennio 2010-2019. Dato molto vicino all'incremento che avremmo dovuto avere per restare al passo della Germania. È un taglio calcolato rispetto alla spesa programmata e finanziata, ma poi non realizzata. In effetti è stato proprio Letta l'autore di tagli anche della spesa sanitaria effettiva. Il 14 ottobre 2013 il quotidiano La Repubblica descriveva i tagli alla sanità previsti dalla legge di bilancio in preparazione come «uno scempio da fermare, una scelta irresponsabile, situazione al limite della sostenibilità».Il Def di aprile 2014 riporta il «successo» di Letta nel proseguire impeccabilmente il lavoro del governo Monti: «Con riferimento all'anno 2013, la spesa sanitaria è risultata pari a 109.254 milioni, in riduzione dello 0,3% rispetto al 2012. Tale risultato conferma il sensibile rallentamento della dinamica della spesa sanitaria negli ultimi anni, che per il terzo anno consecutivo registra un tasso di crescita negativo rispetto all'anno precedente […]. La spesa per il personale è pari a 36.024 milioni, con una variazione rispetto al 2012 pari a -1,1%. Blocco del turnover nelle Regioni sotto piano di rientro, politiche di contenimento delle assunzioni messe in atto dalle Regioni non sottoposte ai piani di rientro, riduzione del 10% dei corrispettivi per l'acquisto di beni e servizi e dei corrispondenti volumi di acquisto, fissazione di un tetto alla spesa per l'acquisto di dispositivi medici, rideterminazione del tetto sulla spesa farmaceutica ospedaliera e territoriale, crescita della quota di compartecipazione a carico dei cittadini. Furono questi gli strumenti utilizzati dal governo Letta che fu capace di ridurre a 3,2 i posti letto per 1.000 abitanti, in discesa dai 3,5 del 2011. Quando nel 1997 Letta scrisse il libro Euro sì. Morire per Maastricht fu incredibilmente preveggente. Maastricht ha fornito un contributo determinante a farci morire per Covid.
Palazzo Berlaymont, sede della Commissione europea (Getty Images)
Manfred Weber e Ursula von der Leyen (Ansa)
Il cancelliere tedesco Friedrich Merz (Ansa)
Ursula von der Leyen (Ansa)