L’Ue finanza interlocutori «indipendenti» per sostenere le proprie cause: ecco chi sono.
L’Ue finanza interlocutori «indipendenti» per sostenere le proprie cause: ecco chi sono.Non abbiamo un Elon Musk in Europa che si mette a spulciare i conti di Bruxelles per vedere se sperpera milioni in propaganda travestita da programmi di sviluppo internazionale; la cosiddetta Usaid. In Thomas Fazi, ricercatore indipendente, giornalista e scrittore con un cognome che è il brand della casa editrice fondata e gestita dal padre, ha incrociato un bel po’ di banche dati ed è arrivato ad una prima stima.Sono oltre due i miliardi spesi e ancora da spendere dalla Commissione Ue dal 2007 al 2027 per autopromuoversi agli occhi degli elettori. La macchina da propaganda dell’Ue è il titolo del suo report. Ben 58 pagine in cui, didascalicamente, si descrive come l’Unione europea finanzia alcune organizzazioni non governative (Ong). E ci sarà, comunque, da riflettere sull’usanza di definire non governative quelle organizzazioni che campano dei sussidi dei governi. Il rapporto elaborato per conto del centro studi belga Mcc - questo sì autenticamente indipendente - passa in rassegna il crescente utilizzo da parte della Commissione dei suoi poteri di bilancio per reclamizzare la sua agenda politica con la scusa di promuovere i «valori dell’Ue».In pratica fa leva e sfrutta programmi dai nomi apparentemente innocui come «Cittadini, uguaglianza, diritti e valori» (Cerv) per finanziare Ong e centri studi, esplicitamente allineati con la visione della Commissione; quella di un’Europa sempre più unita. Insomma, quando vedete qualche esperto dire che ci vuole più debito comune, un esercito comune europeo, un bilancio europeo più grosso oppure il superamento del principio del voto all’unanimità, ebbene è molto probabile che quel qualcuno sia a libro paga della Commissione Ue. Pagato proprio per dire quello che vi dice. Se gli Stati Uniti hanno Usaid, l’Ue ha il Cerv. L’Ue innaffia di soldi queste organizzazioni perché si facciano paladini e difensori dei valori dell’Ue. Megafoni dell’agenda politica di Bruxelles. Ed ecco che il confine fra «propaganda istituzionale» e «società civile» diventa labile. Quest’ultima assume spesso il ruolo di quella che il nostro Boni Castellane definisce «agenti di validazione».L’Ue finanzia e autoproduce interlocutori apparentemente indipendenti che all’unisono dicono, scrivono e dimostrano una cosa e una soltanto: ci vuole più Europa. Qualsiasi sia l’argomento. Ci vorrebbe più Europa, fine della discussione. Un’operazione di «imperialismo culturale», così la definisce Fazi, in cui si promuovono i valori liberali e progressisti che sono spesso in contrasto con le opinioni degli elettori in molti paesi europei. Soprattutto a Est. Si promuove una narrativa a senso unico. Chi canta fuori dal coro, è un fan dei regimi autocratici, dispotici e illiberali. Aggettivi, questi ultimi, in combinazione utilizzati per etichettare l’uomo nero per eccellenza: Viktor Orbán. Soldi spesi per promuovere la censura con la scusa della lotta alla disinformazione. Soldi spesi per finanziare Ong che si oppongono ai governi conservatori eletti. Una vera e propria operazione di «interferenza democratica» la definisce Fazi. Trasparenza zero. Perché capire come e a chi questi soldi vadano è complicato, anche se non impossibile. Un’operazione di vera e propria «militarizzazione» della società civile. Ong che diventano pasdaran del verbo «piùeuropeista».I soldi sono tanti. Dal 2007 al 2013, il rapporto stima che siano stati spesi in propaganda circa 215 milioni. Dal 2014 al 2020 altri 229 milioni. Ma è nel bilancio pluriennale che va dal 2021 al 2027, che la Commissione Ue non ha badato a spese. Tanti i soldi sono nostri mica loro. La bellezza di ben 1,8 miliardi «specificamente allocati» in capitoli di spesa dedicati alla promozione di «diritti e valori». Ed ecco che nel bilancio spunta il «Fondo giustizia, diritti e valori». Affiancato dal Cerv di cui parlavamo prima. Nel primo c’è da spendere una montagna di soldi. Circa 1,5 miliardi. Solo per il 2025, sono 236 milioni.Nell’acquario dei beneficiari sguazza la fauna più varia. Programmi «piccoli» come «Chi e come. Affrontare la disinformazione che allontana i cittadini dal progetto europeo». Appena 270.000 euro. Oppure «Comunità europee contro la disinformazione». «Solo» 160.000 euro. Il più scarso è «Una nuova storia europea»: appena 30.000 euro. Ma anche «Giovani abbracciati assieme» con quasi 51.000 euro. «Blues4Eu» 375.300 euro. «Eu Turn 2025» 415.000 euro. E poi il più bello: «Tieni duro Europa», un programma di soli 27.500 euro. Un po’ poco per tenere duro. Diciamolo. E la «Piattaforma contro l’Euroscetticismo»? Altri 21.000 euro.Spiccioli. Ma queste sono le sardine. Perché poi arrivano i pescecani dell’europeismo. L’Unione dei federalisti europei si pappa 1,2 milioni di euro. Come i Giovani federalisti europei. Il Movimento europeo internazionale ha fame, porello: 15 milioni di euro elargiti dalla Commissione Ue. Anche Amici dell’Europa si ingozza 15 milioni. Il Forum della gioventù europea trangugia 40 milioni di euro dei contribuenti. La Fondazione Robert Schuman vicina al Ppe, stranamente europeista chissà com’è, si intasca dieci milioni. Lo European policy center? 30 milioni. Il Consiglio europeo delle relazioni internazionali? Sei milioni. Ma il re rimane il Ceps, il Centro studi politiche europee. Negli ultimi dieci anni si è ingozzato ben 250 milioni. Una vera e propria orca assassina fra i predatori di soldi europei.Tenete conto di queste cifre ogni volta che sentirete un europeista dire in tv che «ci vuole più Europa». Sarà probabilmente, anche se non necessariamente, a libro paga di questi squali. Come ebbe a dire il già presidente del Parlamento europeo, Nicole Fontaine, commentando la bocciatura elettorale inferta dal popolo francese ed olandese alla costituzione europea nel 2005 (poi accantonata) e dal popolo irlandese al Trattato di Lisbona nel 2008: «Non abbiamo spiegato abbastanza bene il progetto europeo. Troppo timidi». Beh, diciamo che da allora, si sono dati da fare dai.
Matteo Zuppi (Ansa)
Il cardinale Matteo Zuppi, in tv, svela la fonte d’ispirazione della sua dottrina sociale sui migranti: gli «industriali dell’Emilia-Romagna». Ai quali fa comodo la manodopera a buon mercato, che riduce le paghe medie. Così poi la sinistra può invocare il salario minimo...
Parafrasando Indro Montanelli, viene da pensare che la Chiesa ami talmente i poveri da volerne di più. Il Papa ha appena dedicato loro un’esortazione apostolica, ma le indicazioni di politica economica ai cattolici non arrivano da Leone XIV, bensì dai capitalisti. E vengono prontamente recepite dai vescovi. Bastava ascoltare, venerdì sera, il presidente della Conferenza episcopale italiana, Matteo Zuppi, intervistato a Propaganda live: l’immigrazione, ha insistito il cardinale su La 7, «è necessaria. Se si parla con qualsiasi industriale in Emilia-Romagna dice che non c’è futuro senza».
Il Carroccio inchioda i sindacati: «Sette mobilitazioni a novembre e dicembre. L’80% delle proteste più grosse si è svolto a ridosso dei festivi. Rispettino gli italiani».
È scontro politico sul calendario degli scioperi proclamati dalla Cgil. La Lega accusa il segretario del sindacato, Maurizio Landini, di utilizzare la mobilitazione come strumento per favorire i cosiddetti «weekend lunghi», sostenendo che la maggioranza degli scioperi generali indetti nel 2025 sia caduta in prossimità di giorni festivi o di inizio e fine settimana.
Giorgia Meloni (Ansa)
L’inquilina del Nazareno prova ad attaccare il premier: «Aiuta i più ricchi». Il leader del M5s però la lascia sola a inseguire Maurizio Landini: «Imposta non all’ordine del giorno». Idea della Lega: flat tax al 5% per gli under 30.
Non pare vero alla sinistra di avere ora un modello Oltreoceano a cui ispirarsi. La vittoria di Zohran Mamdani a New York, con la sua ricetta di tassare i ricchi, ha ridato forza alla Cgil per riaprire il dibattito sulla patrimoniale. Il tema che fa parte del Dna della sinistra torna ciclicamente, fa capolino ogni volta che c’è da cannoneggiare una manovra economica considerata poco generosa con i ceti meno abbienti. E il programma con cui Mamdani è riuscito a conquistare la Grande Mela, che ha come pilastro un prelievo sui grandi patrimoni, è un’occasione troppo ghiotta per lasciarsela sfuggire. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, l’ha colta al volo e, cavalcando l’ondata di entusiasmo che il neo sindaco ha scatenato nella sinistra, ha ritirato fuori dal cassetto la proposta di una patrimoniale. Ovvero, un contributo straordinario dell’1% sui patrimoni superiori ai 2 milioni di euro. Secondo il sindacato, garantirebbe entrate fino a 26 miliardi di euro da destinare a sanità, scuola e lavoro. Il retropensiero di Landini è che se la proposta ha mietuto consensi nella capitale americana del business, si può rilanciarla in Italia, dove i soldi scarseggiano e la coperta dei finanziamenti è sempre corta. Tanto più che, secondo la narrazione del sindacalista, il governo si appresterebbe a stornare le poche risorse disponibili dalla sanità alle spese militari.
Nadia e Aimo Moroni
Prima puntata sulla vita di un gigante della cucina italiana, morto un mese fa a 91 anni. È da mamma Nunzia che apprende l’arte di riconoscere a occhio una gallina di qualità. Poi il lavoro a Milano, all’inizio come ambulante e successivamente come lavapiatti.
È mancato serenamente a 91 anni il mese scorso. Aimo Moroni si era ritirato oramai da un po’ di tempo dalla prima linea dei fornelli del locale da lui fondato nel 1962 con la sua Nadia, ovvero «Il luogo di Aimo e Nadia», ora affidato nelle salde mani della figlia Stefania e dei due bravi eredi Fabio Pisani e Alessandro Negrini, ma l’eredità che ha lasciato e la storia, per certi versi unica, del suo impegno e della passione dedicata a valorizzare la cucina italiana, i suoi prodotti e quel mondo di artigiani che, silenziosi, hanno sempre operato dietro le quinte, merita adeguato onore.





