2021-06-24
Da artista gioisco perché ritrovo il pubblico
Il maestro Uto Ughi (Getty Images)
Ora che l'Italia sta finalmente riaprendo, si riallaccia in presenza quel legame fondamentale tra musicista e uditorio. Un rapporto forte, che può creare ansia, ma senza il quale l'esibizione è monca. Però per essere efficace ci vuole un dialogo, non un monologo. Finalmente sembra che l'Italia possa tornare alla vita, e che gli italiani possano riprendere a uscire con maggiore libertà, anche partecipando a manifestazioni culturali. Sono ripresi anche i concerti dal vivo, ed è senz'altro un'ottima notizia, perché gli artisti potranno tornare a misurarsi con il pubblico e recuperare così una parte fondamentale della loro attività. Per noi artisti, il pubblico in sala è un elemento essenziale dell'esibizione. Spesso si pensa al pubblico come a un giudice impietoso, e un esecutore ha paura di sbagliare qualche nota. In effetti, i primi attimi di un'esecuzione sono i più difficili da superare. Poi, le ragioni musicali prevalgono, ci si dimentica della presenza degli ascoltatori, si entra totalmente nell'opera che si interpreta, e si comunica con il pubblico senza le barriere create dal nervosismo. Ho conosciuto artisti che soffrivano di ansia al punto da stare male per giorni interi prima del concerto, e altri che amavano il contatto con la gente e cercavano di condividere la gioia del pezzo musicale. Non c'è nulla di più gratificante che riuscire a coinvolgere totalmente il pubblico. Penso anche che il contatto tra l'interprete e il pubblico vada creato gradualmente. E uno scambio in cui entrambe le parti devono essere generose: l'interpretazione non deve essere un monologo, ma un dialogo.L'energia che un pubblico coinvolto emana è un tonificante straordinario: annulla la fatica e lo sforzo fisico dell'esecutore. È una ricompensa per la vita di sacrificio che segna inevitabilmente un artista. Io amo il pubblico, amo suonare per donare momenti di gioia a chi ascolta: ricevo affetto a piene mani, e a volte assisto anche a esternazioni simpatiche e divertenti. La spontaneità delle reazioni di un pubblico partecipe ed espansivo mi è gradita: in un mondo ormai globalizzato e sempre più raro trovare caratteri autentici.Un luogo in cui suono molto volentieri è l'abbazia di Staffarda, a Revello, in provincia di Cuneo. Ricordo un episodio, per me piuttosto insolito, avvenuto dopo un concerto tenuto in occasione della manifestazione «La Santità sconosciuta - Piemonte terra di Santi», organizzata dall'associazione culturale Arturo Toscanini di Savigliano dei fratelli Natascia e Ivan Chiarlo. M'invitarono a un pranzo a Barolo e, dopo aver bevuto un solo bicchiere di ottimo vino, fui costretto a farmi riaccompagnare a casa in auto. Dormii per tutto il tragitto, io che soffro d'insonnia: mai feci un sonno più ristoratore. Quando sono a Napoli, città che adoro, mi sento come a casa mia: giro per i quartieri spagnoli, osservo la chiassosa e colorita esposizione delle merci sulle bancarelle, la luce accecante del sole, Posillipo, le sfogliatelle. In mezzo ai napoletani, che sono generosi e geniali, mi sembra di vivere continuamente scene della Commedia dell'arte. Non perdo mai occasione di recarmi a Capri per visitare la villa di Tiberio, Villa Jovis, uno dei siti più incantevoli dell'isola, avvolto dai profumi inebrianti dei fiori e degli aranceti. Una volta arrivai tardi, all'ora di chiusura, ma il custode della villa mi riconobbe e mi disse con molto sussiego: «L'imperatore è onoratissimo della vostra visita. Potete entrare e stare quanto volete, anche tutta la notte».In un'altra occasione, ero in macchina con una mia amica e guidavo con fare allegro sulla tangenziale. Venni fermato dalla polizia stradale: «Alt! Multa per eccesso di velocità». Mentre porgevo i documenti, la mia amica disse con fulminante presenza di spirito: «Ma il maestro ha una prova importante per il concerto di questa sera al San Carlo!». E il poliziotto: «Ah! Quand'è così, vi scortiamo noi». E a sirene spiegate raggiungemmo il teatro. Certe cose accadono solo a Napoli. Il pubblico partenopeo, però, si esprime in modo originale e fantasioso anche nei commenti artistici. Dopo un concerto al San Carlo (avevo suonato il mio Stradivari), alcuni ascoltatori vennero in camerino e mi dissero: «Parevate nu cardillo!». Quando invece usavo il Guarneri, l'apprezzamento era: «Parevate Giove tonante!»Il pubblico siciliano è diverso, meno faceto, più ponderato e orgoglioso. A Palermo, prima di un concerto, mi invitarono a leggere un comunicato contro la mafia per commemorare Giovanni Falcone, la moglie e la sua scorta, che erano stati uccisi appena un mese prima. Non precisarono quando avrei dovuto leggere. Il concerto ebbe inizio: in prima fila c'era la famiglia Falcone al completo, compresa la sorella. A un tratto la musica finì, l'orchestra tacque, si accesero le luci e capii che toccava a me: avevo il foglietto in mano, ma la voce mi si strozzava in gola. Per leggere quelle poche righe dovetti sforzarmi. Il silenzio fu totale. Poi le luci si spensero di nuovo, la musica riprese, mi ripresi anch'io e suonai meglio che all'inizio, con più sentimento e partecipazione.
Antonella Bundu (Imagoeconomica)
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