2024-07-24
Il crollo di Scampia parte da lontano. Quando l’ideologia partorì il mostro
Due morti e 13 feriti nel casermone in frantumi. Fu l’orgoglio dell’architettura di sinistra: solo estetica e niente umanità.Le Vele di Scampia, un quartiere satellite di Napoli, non avrebbero mai dovuto esistere. Sono nate da un’idea sbagliata, sono state concepite malissimo e si sono sviluppate peggio. Il crollo di parte della Vela Celeste è solo la conclusione di una storia dove non c’è nulla di fatto bene. Quei due morti e i 13 feriti, tra i quali sette minorenni, due dei quali in gravi condizioni, sono vittime di questa storia perché è una storia caratterizzata da abbandono, incuria, mancanza totale di manutenzione, mancanza dei requisisti minimi di sicurezza e abitabilità. È una storia triste, anzi tristissima, che purtroppo non riguarda solo Napoli ma molte periferie italiane e molti esperimenti di architetti di sinistra degli anni Settanta come il quartiere Zen di Palermo, architetti poi passati alla storia come paladini di un’architettura ad alta valenza sociale, economica e popolare.In questo caso la sfortuna si è abbattuta sul lotto M del viale della Resistenza di Scampia. Infatti, da tempo sono in corso interventi con un ritardo imperdonabile e che questa tragedia rende anche ingiustificabile e irrimediabile. La giunta dell’amministrazione Manfredi, ad aprile scorso, aveva proprio annunciato un piano di rigenerazione urbana delle Vele di Scampia con i lavori di riqualificazione proprio della Vela B, la cosiddetta Vela Celeste, e aveva destinato a questo piano 18 milioni di euro. Quindi non c’è da attribuire una responsabilità particolare all’attuale amministrazione ma è certa la responsabilità di chi le ha fatte costruire e di chi le ha lasciate nel degrado fino ad oggi. Se non fossimo a conoscenza delle cause del crollo, che è evidentemente di natura strutturale, potremmo dire che su queste Vele di Scampia si è abbattuta una malasorte che riguarda la storia, dall’inizio alla fine tragica, del lotto M della Vela Celeste. Gli edifici sono stati man mano demoliti nel 1997, nel 2000, nel 2003 e nel 2020 e, dei tre rimasti, due saranno demoliti e l’ultimo, come abbiamo detto, sarà riqualificato. La concezione assurda ed inspiegabile, ragionevolmente, della costruzione di quartieri satellite a causa della sovrappopolazione delle città, come nel caso di Napoli, è che si è badato ad aspetti estetici - qualcuno ha parlato addirittura di poetica architettonica del progetto - ma poi non si è fatto niente, o si è fatto poco, o si è fatto malamente, per rendere quei satelliti non più tali ma a pieno titolo città. Sono diventati quelli che venivano chiamati «quartieri dormitorio», come se per una persona fosse sufficiente avere una casa in un palazzo simile a un formicaio ed avere il nulla intorno. Questa è una concezione per la quale la persona vive pienamente solo durante l’orario di lavoro, quando torna a casa si trova in un quartiere sperso alla periferia della città dove nulla può legittimamente farlo definire una parte della città stessa. Come in altre periferie italiane questi quartieri sono, per l’appunto, periferie, non città. Una città per essere tale, soprattutto all’interno della gloriosa tradizione comunale italiana, deve comprendere, oltre ai locali dormitorio, varie funzioni: deve disporre di zone verdi, deve disporre di trasporti che la colleghino al centro della città, deve avere delle piazze e anche dei monumenti come ha la città e che servono ai cittadini a identificarsi con quel luogo, devono disporre di luoghi per i giovani e per gli anziani, di cinema, di teatri. Insomma, devono avere quello che ha una città che possa dirsi tale. Un cittadino di periferia ha il sacrosanto diritto di non doversi spostare in centro per disporre delle funzioni fondamentali che offre una città. Nel tempo, sia il quartiere che le aree comuni divennero presto luoghi di proprietà della malavita, luoghi di ogni traffico illecito. Le Vele presto divennero il simbolo del degrado e della incuria del quartiere della città partenopea. E pensare che questo progetto fu ispirato ad una corrente architettonica urbanistica detta Existenzminimum, dove venivano ridotti gli spazi abitativi all’essenziale (già una scelta astratta, come se lo spazio di una casa non avesse rilevanza e le sue dimensioni non avessero significato) a favore di aree comuni che, come detto, in poco tempo divennero sì delle aree comuni, ma della malavita. È quasi superfluo parlare dei problemi di sicurezza che hanno afflitto i cittadini di questo quartiere che sono andati crescendo fino ai limiti dell’intollerabile. Io le ho visitate due volte le Vele di Scampia e posso assicurarvi che un cane in un canile come si deve vive in una condizione molto migliore a quella degli abitanti delle Vele. Quest’ultima tragedia è solo l’epilogo di una brutta storia che dovrebbe spingere ad occuparsi di tutte le periferie italiane, non perché questa tragedia può ripetersi, ma per onorare questi morti e questi feriti innocenti (due bambini sono in gravissime condizioni) e rendere umano il luogo dove le persone vivono la maggior parte del loro tempo: la casa e ciò che sta intorno ad essa.
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Un uomo ha travolto pedoni e ciclisti gridando «Allahu Akbar» sull’isola d’Oléron, nella Francia occidentale. Dieci feriti, tre gravi. Arrestato dopo aver tentato di incendiare l’auto con bombole di gas. Indagine per tentato omicidio, esclusa per ora la pista terroristica.