2025-02-02
Nonostante le promesse, fatturato in calo con la gestione francese. Pesano, oltre alle quattro ruote, i ritardi nei componenti per l’Ia. In arrivo tagli al personale e agli investimenti: la situazione rischia di peggiorare.A un approccio superficiale viene facile associare la crisi di Stm, il colosso europeo dei microchip, al collasso dell’auto in Europa. I semiconduttori prodotti dal gruppo che deve le sue origini a un’intuizione di Adriano Olivetti alla fine degli anni Cinquanta servono soprattutto a rifornire l’industria dell’automotive e dell’elettronica da consumo (smartphone per esempio) e se le vetture nel Vecchio continente non si vendono diventa tutto estremamente difficile. Le cose sono in realtà più complicate. Stm è controllata con il 27,5% da una holding olandese che è partecipata al 50% dal ministero dell’Economia italiano e per l’altra metà dallo Stato francese. E questo è già un primo elemento di complessità. Anche negli ultimi mesi sono emersi più o meno ufficialmente dissidi sulla governance e la gestione di Jean-Marc Chery che guida l’azienda dal 2018 vive un momento di evidente appannamento. Ancora nella primavera del 2024, il manager transalpino che ha trascorso una vita nei semiconduttori si diceva certo che Stm avrebbe raggiunto quota 20 miliardi di dollari di ricavi nel 2027. Pochi mesi dopo ha fatto un passo indietro, o meglio temporalmente in avanti, spostando il termine al 2030. Il problema è che nella comunicazione del 30 gennaio il gruppo prevede un ulteriore calo del fatturato rispetto ai tre mesi precedenti. Morale della favola: se il trend dovesse confermarsi, il 2025 si chiuderà tra i 10 e 11 miliardi di dollari, in netta flessione rispetto al bilancio 2024 che parlava di ricavi per 13 miliardi. Come pensa Chery di raddoppiare il fatturato in cinque anni?C’è poi la questione dei tagli. Bloomberg parla di una riduzione del 6% dell’organico, tra prepensionamenti e incentivi andrebbero via tra i 2.000 e i 3.000 lavoratori in Italia (da noi il gruppo conta circa 12.500 dipendenti) e in Francia. E non è un caso che in Borsa il titolo abbia perso quasi il 50% nell’ultimo anno e che solo dopo l’ultima trimestrale il calo (poi leggermente attutito con gli acquisti di venerdì) sia stato del 9%. Del resto senza una strategia chiara diventa difficile diradare le nuvole. È vero che tutto il settore dei chip in Europa soffre, ma l’azienda franco-italiana soffre più degli altri. Ed è vero che anche gli altri gruppi del Vecchio continente sono indietro anni luce sui chip che servono per l’Intelligenza artificiale, il nuovo Eldorado, ma se gli investimenti diminuiscono anziché aumentare, si fa fatica a capire in che modo questo gap possa essere colmato. I numeri sono impietosi: per l’intero 2025 i vertici di Stm prevedono di investire tra 2 e 2,3 miliardi di dollari di spese in conto capitale, in riduzione rispetto ai 2,53 miliardi di dollari del 2024 e ai 4 miliardi di dollari del 2023. In un modo che si basa sulla ricerca dimezzare o quasi le risorse finalizzate all’innovazione equivale a un segnale di resa. «Il ceo Chery», evidenzia Massimiliano Nobis, segretario nazionale della Fim Cisl, «conferma l’ambizione di raggiungere i 20 miliardi di dollari di ricavi nel 2030. Con i dati avuti nel 2024 e confermati al ribasso nel primo quadrimestre del 2025, le nostre perplessità sull’effettiva realizzazione di questo auspicabile risultato aumentano. Questo management ha le competenze adeguate di strutturare un piano industriale che in cinque anni dovrebbe raddoppiare il fatturato quando non è riuscito prevedere un calo di fatturato di 4 miliardi nell’arco di quattro mesi? Il governo in qualità di rilevante azionista insieme al governo francese intende intervenire sulle politiche di governance o vuole assistere colpevolmente a un lento declino di un in settore industriale strategico per l’intera manifattura italiana?». In buona sostanza, il sindacato chiede l’apertura di un tavolo e che il governo faccia pressione sul management francese. Anche perché il ruolo dell’italiano Lorenzo Grandi nel board è più finanziario che strategico. Del resto, è vero che il 2024 si è chiuso con ricavi in calo del 23% e che il 2025 non è partito bene, ma comunque parliamo di un’azienda che fa profitti, seppur in discesa, da 1,5 miliardi all’anno e che opera in uno dei settori cruciali per l’economia globale. Cosa si fa? C’è un progetto per invertire la rotta e investire sui chip per l’Intelligenza artificiale? O più verosimilmente si pensa di aver perso il treno e di stringere alleanze con i colossi americani e di Taiwan? Che succederà nei siti di Agrate e Catania dove l’obiettivo è migliorare la capacità produttiva di semiconduttori in silicio da 300 millimetri e dei semiconduttori al carburo di silicio da 200 millimetri? Aumenteranno i volumi? E tutto ciò come si tiene con la riduzione della forza lavoro?Domande che pretendono risposte, possibilmente, in tempi brevi. Perché lo stallo in un settore iper strategico che corre alla velocità della luce e dove dall’altro lato del mondo si combattono guerre politiche che coinvolgono l’Fbi (si veda l’intrigo Nvidia-Deepseek) è un altro segnale evidente della decadenza di quest’Europa.
La maxi operazione nella favela di Rio de Janeiro. Nel riquadro, Gaetano Trivelli (Ansa)
Parla Gaetano Trivelli, uno dei leader del team Recap, il gruppo che dà la caccia ai trafficanti che cercano di fuggire dalla legge.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Su un testo riservato appare il nome del partito creato da Grillo. Dietro a questi finanziamenti una vera internazionale di sinistra.
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Nel 1937 l’archeologo francese Fernand Benoit fece una scoperta clamorosa. Durante gli scavi archeologici nei pressi dell’acquedotto romano di Arles, la sua città, riportò alla luce un sito straordinario. Lungo un crinale ripido e roccioso, scoprì quello che probabilmente è stato il primo impianto industriale della storia, un complesso che anticipò di oltre un millennio la prima rivoluzione industriale, quella della forza idraulica.
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Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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