2024-02-09
A Berlino si affronta il tabù della permanenza nell’Ue. Scholz: «Ci ha fatto comodo...»
Il Bundestag a Berlino (IStock)
Crollo della produzione industriale e Bce che parla di aziende tedesche vulnerabili: in Germania si parla di Dexit. E il Cancelliere dice l’ovvio: l’euro? Vantaggio per noi.È davvero scuro il cielo sopra Berlino. I dati pubblicati mercoledì sulla produzione industriale tedesca a dicembre 2023 vanno a completare un quadro a tinte fosche già dall’inizio della guerra in Ucraina, cui si aggiunge un fresco report della Bce secondo cui la Germania divide con l’Italia il record di «aziende vulnerabili» nei quattro big dell’Europa. E non a caso nel dibattito pubblico tedesco si è affacciata prepotentemente la parola «Dexit» - cioè un referendum sull’uscita della Germania dalla Ue -, finora sconosciuta e perfino tabù. Che però ha costretto esponenti dell’establishment - con ammirevole onestà intellettuale - a spiegare ai tedeschi quale gigantesco affare siano stati e siano tuttora la Ue e l’euro per l’economia tedesca.I dati di dicembre sono una sequenza di segni negativi: -1,6% su novembre; -3% su dicembre 2022; -1,5% 2023 sul 2022. Allargando l’osservazione su base trimestrale non cambia nulla: -1,8% nel quarto trimestre rispetto al terzo. Da agosto è in corso uno smottamento. I settori più energivori guidano la discesa (-10,2% sul 2022). In testa c’è la chimica con un calo del 7,6%, che diventa -10,2% per l’intero 2023 rispetto al 2022, quando c’era già stato un significativo ulteriore arretramento. La produzione nel settore chimico è addirittura tornata ai livelli del 1995. Il settore delle costruzioni, in relativa crescita dopo il lockdown, ha fatto segnare un -3,4%. Si è distinto solo l’automotive con un +4% giustificato dalla necessità di smaltire un portafoglio ordini ancora gonfio dal 2022, ma oggi in preoccupante assottigliamento.La politica ovviamente non è indifferente a questo stato di cose, ed è arrivata a osare ciò che appariva fino a poco tempo fa inosabile. Il sasso nello stagno l’ha gettato il 22 gennaio Alice Weidel, leader del partito di destra Alternative für Deutschland (Afd, nato nel 2013), con un’intervista al Financial Times. Di buoni studi e con una carriera nella finanza prima di entrare in politica, la Weidel ha dichiarato che, se Afd andasse al governo, lavorerebbe per riformare la Ue, malata di deficit di democrazia, e cercherebbe di sottrarre potere alla Commissione. Si tratterebbe di restituire sovranità agli Stati membri e, se proprio fosse impossibile farlo, si dovrebbe affidare la scelta di restare nella Ue al popolo sovrano con un referendum. Esattamente come accaduto nel Regno Unito, anche i tedeschi dovrebbero avere il diritto di scegliere di lasciare la Ue. Si tratta di un’uscita dirompente in un Paese dove tuttora i sondaggi mostrano solo un 10% dei voti a favore dell’uscita ma, tra i votanti per Afd, si sale al 45%.Con il partito della Weidel al 20-22% dei voti nei sondaggi e con un cruciale appuntamento elettorale previsto a settembre in Sassonia, Brandeburgo e Turingia - regioni a est dove Afd è ancora più forte - sono affermazioni che non potevano passare inosservate e hanno fatto aprire il vaso di Pandora da cui è uscito di tutto. Il primo a battere un colpo - quasi banale ma al contempo clamoroso - è stato il quotidiano Die Welt, dove il 26 gennaio campeggiava in prima pagina, senza alcun pudore, la domanda «Fuori dalla Ue?». La risposta non poteva che essere negativa per un motivo molto semplice: «l’uscita della Germania dall’Ue e quindi dall’Unione Monetaria comporterebbe un immediato apprezzamento della futura moneta tedesca. Con conseguente crollo non solo delle esportazioni verso i paesi già partner Ue ma verso tutto il mondo».Poche righe sufficienti a spiegare cosa siano stati e siano tuttora la Ue e l’euro per la Germania, che fanno strame di tutta la tanto decantata straordinaria competitività tedesca. La moneta sottovalutata è stata condizione necessaria, ancorché non sufficiente, per il ventennio d’oro della Germania che non è stata locomotiva ma solo vagone al traino della domanda e dei consumi prima dei partner dell’eurozona e poi dei Paesi non euro. Perfino sulla Welt arrivano ad ammettere che respingere il referendum «non significa che non ci sia bisogno di riforme nella Ue. Al contrario, una burocrazia in parte prepotente e con regole che difficilmente possono essere comprese, sta creando problemi [...] ma lasciare l’Ue significherebbe gettare il bambino con l’acqua sporca».Solo il giorno prima, era toccato nuovamente al Financial Times mettere in guardia il governo «semaforo» circa la necessità di allentare il «freno» al bilancio e finanziare generosamente gli investimenti pubblici. Pena l’ulteriore rafforzamento di Afd. Ma la vera e propria «confessione» e prova inconfutabile è arrivata settimana scorsa ad opera del Cancelliere Olaf Scholz, impegnato davanti al Bundestag nell’affannosa rincorsa per approvare la legge di bilancio 2024. Di fronte all’inabissarsi dei consensi per il suo governo, Scholz ha dovuto ammettere ciò che i tedeschi non hanno voluto mai ammettere - ricordiamo Angela Merkel che ha spesso esaltato la superiorità tecnologica tedesca - cioè la dipendenza della ricchezza tedesca dalla costruzione istituzionale europea, moneta inclusa. «La Dexit distruggerebbe la ricchezza della Germania», che «è stato il Paese che più di ogni altro ha beneficiato dalla Ue». Accadrebbe quanto accaduto in Uk con la Brexit, causa di un «disastro economico». Avere a disposizione un mercato interno come quello della Ue, senza rischio di cambio, è stato un Bengodi per gli imprenditori tedeschi. Che non hanno atteso un attimo per confermare le parole del Cancelliere, per voce del presidente della Confindustria tedesca (Bdi), Siegfried Russwurm. «La Germania è stato uno dei più grandi beneficiari del mercato unico e dell’euro» e «una nazione esportatrice come la nostra trae profitto dai mercati aperti più di qualsiasi altro Paese».Soprattutto quando ha sottratto al proprio competitor italiano la leva del cambio e, simmetricamente, quella leva bloccata su un livello favorevole, ha conferito un indubbio vantaggio competitivo ai tedeschi. Ammissioni che dovrebbero suscitare molte riflessioni in Italia, sia per il coraggio di dibattere di un argomento tabù sia per il merito delle risposte tedesche. Verità a lungo negate dai sognatori del paradiso della Ue che vivono a sud del Brennero.
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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