Secondo una ricerca pubblicata su «ScienceDirect», le iniezioni nelle case di cura hanno contribuito a ridurre i decessi degli anziani solo fino a settembre 2021. Nei periodi successivi, invece, a tassi di profilassi più elevati è associata maggiore mortalità per Covid.
Secondo una ricerca pubblicata su «ScienceDirect», le iniezioni nelle case di cura hanno contribuito a ridurre i decessi degli anziani solo fino a settembre 2021. Nei periodi successivi, invece, a tassi di profilassi più elevati è associata maggiore mortalità per Covid.Due economisti dell’Università di Nottingham hanno pubblicato uno studio sul numero di novembre di ScienceDirect che mette in dubbio l’utilità di somministrare dosi ripetute di vaccino anti Covid nelle residenze per anziani al fine di ridurre la mortalità. Non solo questa vaccinazione ha fornito un’efficacia limitata e di breve durata contro l’infezione, come altre indagini hanno dimostrato, ma il nuovo studio afferma che qualsiasi impatto è stato limitato al ciclo primario, al periodo di distribuzione iniziale del vaccino, mentre si sono trovate «alcune prove che tassi di vaccinazione più elevati sono associati a una maggiore mortalità». Lo studio pubblicato su ScienceDirect ricorda che il programma nazionale inglese di vaccinazione contro il Covid-19 era stato il primo al mondo e venne lanciato l’8 dicembre 2020. L’obiettivo iniziale puntava a ridurre la mortalità e la pressione sul Servizio sanitario nazionale (Nhs), perciò tra i gruppi prioritari da vaccinare c’erano gli anziani nelle residenze, assieme al personale che vi lavorava. L’adesione tra i residenti fu rapida e alta per le prime due dosi, raggiungendo infine circa il 96% di copertura, mentre la somministrazione del primo booster risultò molto più lenta. Il secondo richiamo non superò il 40% della copertura.I professori hanno esaminato l’impatto dei tassi differenziali di vaccinazione Covid-19 sui decessi degli anziani inglesi nelle strutture di 148 autorità locali, ciascuna delle quali ha una media di 75 Rsa. L’analisi di quanto avvenne in più di 11.000 strutture in un arco di tempo compreso tra la cinquantesima settimana del 2020 e la settimana 26 del 2022, è stata compiuta grazie ai dati forniti dal dipartimento per la Salute e l’Assistenza sociale relativamente alle dosi distribuite nelle residenze, e in base al numero dei decessi settimanali totali forniti dall’Office of national statistics (Ons), oltre che su quelli in cui il Covid-19 è menzionato come causa sul certificato di morte. È il primo studio che utilizza a riguardo il doppio debiased machine learning (Ddml). Si tratta di una tecnica che stima in modo più accurato gli effetti casuali, riducendo il bias (errore sistematico) che potrebbe influenzare le stime: riesce da sola a vedere quali variabili sono correlate. È un sottocampo dell’intelligenza artificiale che permette di eseguire compiti complessi e di risolvere problemi in un modo simile a quello degli umani, facendo analisi che umanamente sono dispendiose. I ricercatori hanno avuto accesso a dati dettagliati sull’evoluzione della copertura vaccinale tra personale e residenti nelle case di cura in Inghilterra e hanno scoperto che la vaccinazione potrebbe aver ridotto in una certa misura la mortalità correlata al Covid solo fino a settembre 2021. Durante i successivi periodi di distribuzione del richiamo non si riescono a identificare «prove solide» che siano calati i decessi, nemmeno per effetto della vaccinazione al personale. Non sorprende, dichiarano, dal momento che «la vaccinazione ha impatti modesti sulla contagiosità e, quindi, sulla trasmissione». Nel periodo successivo, cioè dopo settembre 2021 affermano: «Troviamo alcune prove che tassi di vaccinazione più elevati sono associati a una maggiore mortalità per Covid». L’intera analisi mette in dubbio l’ipotesi che alti tassi di vaccinazione siano stati un fattore particolarmente importante nel ridurre la mortalità da Covid dopo le ondate iniziali. Certo, alcuni studi clinici randomizzati (Rct) indicano che la vaccinazione contro il Covid riduce il rischio di gravi malattie e morte, ma i ricercatori di Nottingham ricordano che «è ben nota la difficoltà di controllare gli effetti dei vaccinati sani anche all’interno degli Rct e che ciò può portare a sopravvalutare l’efficacia». Inoltre, anche all’inizio della distribuzione del vaccino nel Regno Unito, molti residenti e personale nelle case di cura erano precedentemente guariti da un’infezione da Covid. Si sa «che un’infezione precedente riduce in modo molto significativo la possibilità sia di un’infezione successiva, sia di mortalità a causa di una seconda infezione. Di conseguenza, il potenziale per qualsiasi impatto benefico sulla mortalità della vaccinazione in questo gruppo sarà corrispondentemente inferiore».La conclusione è che «ciò ha implicazioni per la politica pubblica relativa alla vaccinazione contro il Covid. In particolare, potrebbe essere opportuno riesaminare la questione prima di continuare a spendere risorse per offrire dosi di richiamo regolari di vaccinazione a popolazioni vulnerabili come gli ospiti delle Rsa». Obiettivo ancora prioritario, invece, secondo l’Oms e per il nostro ministero della Salute che l’ha espressamente raccomandato nell’ultima circolare sulla campagna autunno e inverno, prevedendo il richiamo annuale con il nuovo vaccino aggiornato anche alle persone di età pari o superiore ai 60 anni, alle donne in gravidanza e che allattano, oltre che per i bambini dai 6 mesi di età. Addirittura in co somministrazione del vaccino antinfluenzale.
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