2024-09-18
Il vero no vax è chi ha spacciato farmaci inefficaci per vaccini sicuri
Tutti i nodi, anche quelli sul Covid-19, vengono al pettine (iStock)
Oltre 40 milioni di italiani hanno ricevuto tre o più dosi, ma il virus circola ancora. I sieri a mRna sono infatti inadeguati contro le varianti. È ora che medici e Ordini facciano autocritica per aver sostenuto il contrario.Apprendiamo che, data la recrudescenza dei casi Covid-19 negli Stati Uniti, la Fda (Food and Drug Administration) ha già approvato i nuovi «vaccini» anti-Covid-19 di Pfizer e Moderna tarati sulla variante Omicron KP2 del Sars-CoV2, variante che circolava a maggio e che nel frattempo è stata soppiantata dalla variante KP.3.1.1. Entrambe le aziende produttrici assicurano che il nuovo «vaccino» che sarà somministrato in autunno proteggerà anche contro le nuove varianti che arriveranno, e noi ci fidiamo, anche se fino ad ora non è stato così. Intanto da noi iniziano a circolare varianti anomale con nomi improbabili come Xec, che prenderanno il posto delle varianti KS.1.1. e KP.3.3. Si continua a rincorrere un virus che per sua natura muta e che, curiosamente, muta e si seleziona sempre più frequentemente proprio nei Paesi con il più alto tasso di vaccinazione. Ma non c’è correlazione, dicono. Non sappiamo più a quale vaccino votarci. Anche questa estate, come già lo scorso anno e quello precedente, si ripresenta puntuale la pandemia Covid-19. Un fenomeno che si ripete da tre anni e che curiosamente riguarda solo il Sars-CoV2, ma non gli altri virus influenzali. A oggi abbiamo vaccinato con tre e più dosi oltre 40 milioni di italiani: sarà mica la pandemia dei vaccinati? Che i vaccini a mRna codificante la Spike modificata non impediscono l’infezione, né la re-infezione, né la diffusione del virus era stato dichiarato esplicitamente dai produttori stessi sin da subito e lo si è poi sperimentato sulla pelle degli italiani obbligati a vaccinarsi ciononostante. L’Aifa lo ha ammesso di recente. Questi vaccini al più possono soltanto attenuare la sintomatologia della malattia. Non è da poco conto, comunque. Tre anni fa, in piena pandemia, con gli ospedali affollati di pazienti con gravissima insufficienza respiratoria e in gran parte purtroppo destinati a esito fatale, la mitigazione dei sintomi prodotta dalla vaccinazione è stata vista come la salvezza. Comprensibilmente. Ma poi è subentrato un altro fatto: la «protezione» precipitava al 20-30% nel giro di pochi mesi dopo la seconda e terza dose. Una cosa mai vista prima per un vaccino. E questo come ce lo spieghiamo?Facciamo una precisazione. I vaccini anti-virali tradizionali (ad esempio per morbillo, rosolia, varicella, poliomielite, epatite A) utilizzano il virione intero inattivato o fortemente attenuato e quando inoculati inducono una risposta immunitaria sia anticorpale che cellulare contro molteplici parti (antigeni) del virus. Ciò assicura che il vaccino funzioni anche se una parte del virione dovesse mutare. I cosiddetti «vaccini» anti-Covid-19 sono fatti in modo diverso e «funzionano» in modo diverso. In questo caso, il messaggio genetico codificante la proteina Spike del virus dentro nanoparticelle di grasso viene veicolato all’interno delle nostre cellule muscolari e qui viene prodotto l’antigene che stimolerà la risposta immunitaria. In altre parole, il «vaccino» è fabbricato direttamente dal soggetto inoculato. L’mRna vaccinale è stato modificato per renderlo più stabile e per fare sintetizzare la proteina Spike nella conformazione aperta, ovvero con esposta la porzione contro cui devono agire gli anticorpi neutralizzanti (che poi è anche quella che lega il recettore ACE2). Ma in questo caso la risposta immunitaria è diretta contro solo una porzione antigenica del virus, che è quella più soggetta a mutazioni. Ciò rende il «vaccino» inefficace contro le varianti, e dato che i coronavirus mutano e si adattano con elevata frequenza, ecco la necessità di fare continue e ravvicinate vaccinazioni. Ma le ripetute «vaccinazioni» possono mandare in confusione il sistema immunitario, perché si ritrova ogni 4-6 mesi di fronte a una proteina estranea (antigenica) che però è prodotta dalle cellule che dovrebbe difendere dalle aggressioni esterne. A questo punto, il sistema immunitario comincia a produrre una classe di anticorpi che «tollera» la Spike e questo spiegherebbe perché i plurivaccinati sono più suscettibili a reinfettarsi. Ma perché chiamarli vaccini, allora? I vaccini per definizione «salvano le vite da infezioni invalidanti e mortali» e sono «sicuri».E, dunque, chiamandoli «vaccini» gli si è garantita l’immunità, anche se non l’hanno garantita loro. In pratica, il Cdc (Center for Disease Control) statunitense con un cambio della definizione di «vaccino» ha fatto fuori Jenner con le sue mucche e messo al rogo il libro di Janeway, la Bibbia dell’immunologia, che a proposito della definizione di vaccino dice «il vaccino deve proteggere dalla malattia» (e non semplicemente attenuarne i sintomi), «la protezione deve durare molti anni (non pochi mesi!)» e «il vaccino deve avere pochi e lievi effetti collaterali». Ma come abbiamo potuto accettare tutto ciò? In piena pandemia questi «vaccini» hanno rappresentato una soluzione per allentare la morsa sugli ospedali ed evitare tante vittime. Concediamo che un po’ per disperazione e un po’ per eccesso di fiducia, larga parte di medici, sanitari e scienziati bio-medici ha creduto che fossero davvero «vaccini» e che fosse ben accertata l’efficacia e la sicurezza (sulla sicurezza qualche dubbio c’era, ma non lo si poteva dire pena il marchio «no -vax» e l’allontanamento dalla comunità scientifica e lavorativa, e sociale). E qui torna il problema del nome sbagliato. Vien da chiedersi allora chi è il vero no vax: quello che crede ai veri vaccini (tradizionali) che funzionano, o quello che li ha sostituiti con questi pro-farmaci genici immunomodulanti che vorrebbero esserne copia mal funzionante? È giunto il momento per noi scienziati e medici di fare autocritica, perché abbiamo delle grosse responsabilità verso i pazienti che abbiamo vaccinato e che continuiamo a vaccinare, e non possiamo trincerarci dietro la lotta al no vaxismo rigettando a priori anche solo il dubbio che qualcosa sia andato diversamente da come credevamo e ci avevano fatto credere. Dobbiamo recuperare la stima e la fiducia dei nostri pazienti, che sono comprensibilmente disorientati e si sentono abbandonati. In questo, un ruolo importante spetta all’Ordine dei medici, che deve farsi garante della professionalità dei medici a tutela della salute dei pazienti, garantendo ai medici il sostegno per l’esercizio dell’arte medica in piena autonomia secondo «scienza e coscienza» e senza conflitti di interessi, che essere organo sussidiario dello Stato non significa essere subalterno alle decisioni prese da un comitato ministeriale. Le prossime elezioni di rinnovo dei Consigli degli Ordini dei medici e odontoiatri provinciali sono l’occasione per dare nuova linfa e vigore a questa stupenda missione che è la professione medica.*Biologo, ordinario di Patologia generale e Immunologia all’Università Piemonte Orientale
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