2018-07-23
Elisabetta Trenta: «Così proteggo l’Italia dalle vere minacce (di cui nessuno vi parla)»
Il ministro della Difesa: «Oggi il pericolo non sono solo gli eserciti: possibili attacchi di ogni tipo. Dobbiamo adeguarci. Tra breve vado in Libia: ecco cosa faremo».Ministro Trenta, di terrorismo si parla poco negli ultimi tempi. L'allarme è finito?«No, anzi. Siamo di fronte a uno scenario che definirei volatile».Perché volatile?«Ci sono situazioni fluide, un quadro geopolitico mutevole. L'immigrazione incontrollata crea instabilità». Lei è responsabile della Difesa. L'Italia rischia?«L'Italia è un Paese sicuro, l'abbiamo visto. Abbiamo difese immunitarie più forti di altri. Ma non possiamo abbassare la guardia. La minaccia è sempre in agguato. E spesso è una minaccia che la gente non percepisce come tale».Per esempio?«Oggi la minaccia può venire dagli eserciti ma non solo».Cosa intende? «Oggi la Difesa dev'essere concepita in modo diverso da prima. Pensi alla minaccia cibernetica».Come spiego la minaccia cibernetica a mia mamma?«Diciamo così: sarebbe possibile oggi attraverso un attacco cibernetico bloccare l'energia di uno Stato intero».Possibile anche per l'Italia?«Direi che è improbabile, ma noi dobbiamo continuare a difendere le nostre infrastrutture critiche».Occorrono investimenti?«In questo settore sì».E invece dov'è che il suo ministero taglierà?«Più che la parola tagliare mi piace la parola ottimizzare».Allora: dove ottimizzerà?«Per esempio nelle infrastrutture».Le caserme?«Le caserme, gli immobili, le strutture abitative per il personale. Bisogna gestirle in modo migliore».E gli F35?«È un programma che va avanti da quasi 20 anni. Non possiamo intervenire con uno schiocco di dita. Ho chiesto agli uffici tecnici approfondimenti sul dossier per fare una valutazione accurata».Per il futuro esclude altri acquisti di F35?«Sì».Ma nel loro complesso le spese militari devono aumentare o no?«Annosa questione. Non è importante quanto si spende ma come si spende». Troppo facile così…«Dobbiamo tenere conto dell'interesse del Paese, delle ricadute in termini di industria e di occupazione. E anche delle alleanze nelle quali operiamo».A proposito: Trump chiede di aumentare le spese Nato al 4% del Pil.«La soglia decisa era quella del 2%, da raggiungere nel 2024. E mi sembra già piuttosto impegnativa».Ma la raggiungeremo?«Noi vorremmo che nel 2% venissero inserite alcune spese che non sono direttamente militari. Come alcune spese civili».Quali per esempio?«Per esempio quello che le dicevo prima sulla resilienza cibernetica».Cioè (sempre per la mia mamma) se un Paese investe per proteggere la sua rete di energia, è un investimento civile che va conteggiato nelle spese militari.«Sì, l'ho detto anche al summit della Nato. Dobbiamo pensare all'interesse nazionale».Questo cambia un po' la prospettiva del famoso Libro bianco della Difesa, approvato nel 2015 e mai attuato…«Ovvio che va rivisto e aggiornato. Sono cambiate tante cose».Lo metterà da parte?«Quello che è stato fatto di buono non va buttato, ma cambia la prospettiva».In che senso?«Se guardiamo ai prossimi 30 anni avremo sempre la possibilità di essere attaccati dagli eserciti, ma sono ancora più probabili attacchi di altro tipo. Dunque il concetto di difesa deve essere allargato a 360 gradi. E integrato».Se ho capito bene lei sta pensando di scrivere un nuovo Libro bianco?«Non so se si chiamerà così». Libro giallo?«Non scherziamo. Qualcuno parla di National security strategy. A me piace di più chiamarla Sicurezza collettiva integrata. Un documento strategico che metta insieme competenze anche di altri ministeri come Interno, Esteri, Trasporti, Economia».Torniamo a un campo che le è caro: le missioni all'estero. Quella in Afghanistan sarà ridimensionata?«Il nostro contingente in Afghanistan ha portato avanti per molti anni un lavoro encomiabile e ancora lo sta facendo. Il ridimensionamento ci sarà, ma sarà calibrato sulla necessità di mantenere il livello operativo».Si parla di 200 persone in meno entro l'anno.«Preferirei non fare numeri. Ripeto: è importante mantenere la capacità operativa».E le altre missioni?«Dovremo ridurre quella in Iraq: il lavoro sulla diga è stato completato, quindi la nostra presenza in quell'area ora non è più così essenziale». La missione in Libano?«È un modello di stabilità che porta il marchio italiano, va mantenuta».E quella nel Niger annunciata e mai partita?«Vorremmo riuscire a farla partire. È molto importante per controllare i flussi dell'immigrazione».A proposito: rischiamo infiltrazioni di terroristi sui barconi? «Il rischio esiste perché la maggior parte degli immigrati viene da zone ad alta infiltrazione jihadista. Per questo dobbiamo gestire bene i flussi».Lei pensa che l'Europa possa davvero difendere i suoi confini nel Mediterraneo?«Quando il premier Giuseppe Conte ha ottenuto che fosse riconosciuto il principio per cui i confini dell'Italia sono i confini dell'Europa ha determinato un cambio di prospettiva importante. Sembra una piccola cosa, invece è fondamentale».Il ministro Salvini chiede che gli immigrati recuperati dalle navi delle missioni europee non siano più sbarcati tutti in Italia. Giusto o sbagliato? «Giusto, per questo per prima ho chiesto di rivedere l'accordo sottoscritto dal governo precedente».Ma le missioni europee devono continuare.«Certo. Sophia fa cose importanti: controlla i traffici di armi, petrolio, uomini. Sarebbe un peccato se le nostre posizioni forti scoraggiassero l'Europa e portassero a interrompere la missione».Vede questo rischio?«Non è un rischio reale. Però bisogna tener conto di tutte le possibilità». Che cosa pensa del ruolo svolto dalle Ong nel Mediterraneo?«Non sono per la demonizzazione delle Ong. Però è vero che l'azione di alcune ha destato alcuni sospetti ed è vero che la loro presenza nel Mediterraneo è stata un fattore di attrazione degli immigrati, in alcuni momenti. Ci sono anche delle inchieste della magistratura in corso».Le Ong accusano la Guardia costiera libica. Dicono che non sono in grado di gestire le attività di soccorso…«Noi siamo al fianco dei libici e stiamo facendo di tutto per supportarli nel gestire la loro area». Tutto cosa?«Formiamo il personale, doniamo equipaggiamenti. È stato appena deciso di donare altre motovedette. Potremmo anche donarne di più».Servirà?«Sì, servirà non solo per controllare il flusso di migranti ma anche come elemento di stabilizzazione del Paese».E poi che cosa bisogna fare per stabilizzare la Libia?«È essenziale risolvere il problema delle milizie. Senza risolvere il problema delle milizie, nessun risultato elettorale produrrebbe stabilità».Le milizie vanno disarmate?«Non entro nel merito, dico solo che il popolo libico deve tornare a camminare da solo sulle proprie gambe».A proposito: lei andrà in Libia?«Sì, ci vado tra poco».Che cosa può fare là l'Italia?«Il nostro ruolo è riconosciuto. Io penso che noi dobbiamo dare un contributo nella ricostruzione delle istituzioni. A cominciare dalle istituzioni locali».Non ci scontreremo con i francesi?«E perché dobbiamo scontrarci?». Beh, la crisi è partita proprio da loro…«Nella crisi sono entrati vari fattori. Ma l'Italia deve essere elemento di ponte». Gli hotspot libici possono diventare luoghi per lo smistamento dei profughi? «In un mondo ideale mi piacerebbe ma non credo che sia molto semplice farlo in Libia. Però dobbiamo potenziare quei centri di accoglienza, farli diventare umani e aumentare le capacità degli organismi internazionali. Sempre con l'obiettivo di creare stabilità».Lei crede nell'esercito europeo?«Mi piacerebbe, ma non credo che sia facilissimo in questo momento».Perché?«Perché per avere un esercito europeo bisognerebbe avere una politica estera europea».Con Donald Trump e Vladimir Putin stanno cambiando assetti internazionali. Rischio o opportunità?«Un'opportunità. Il nostro ruolo è quello di fare da ponte tra Est e Ovest».È ministro da due mesi, quasi. Qual è stato il momento più difficile?«La cosa più difficile per me è abituarsi alle fake news pubblicate da alcuni giornali. Ma non si può fare nulla». A parte quello?«Sono molto contenta, soprattutto per il rapporto con il personale».Ma essere ministro tecnico e non politico non le ha creato anche qualche difficoltà? «Ma io sono un ministro politico, sono iscritta al Movimento 5 stelle dal 2013». Tecnico e politico insieme?«Ci tengo molto: le due cose non sono inconciliabili. Nell'immaginario collettivo un politico è uno che non sa far nulla».E invece?«Invece può esserci un politico che ha una sua professionalità, no?».
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Dopo l'apertura dei lavori affidata a Maurizio Belpietro, il clou del programma vedrà il direttore del quotidiano intervistare il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, chiamato a chiarire quali regole l’Italia intende adottare per affrontare i prossimi anni, tra il ruolo degli idrocarburi, il contributo del nucleare e la sostenibilità economica degli obiettivi ambientali. A seguire, il presidente della Regione Lombardia, Attilio Fontana, offrirà la prospettiva di un territorio chiave per la competitività del Paese.
La transizione non è più un percorso scontato: l’impasse europea sull’obiettivo di riduzione del 90% delle emissioni al 2040, le divisioni tra i Paesi membri, i costi elevati per le imprese e i nuovi equilibri geopolitici stanno mettendo in discussione strategie che fino a poco tempo fa sembravano intoccabili. Domande cruciali come «quale energia useremo?», «chi sosterrà gli investimenti?» e «che ruolo avranno gas e nucleare?» saranno al centro del dibattito.
Dopo l’apertura istituzionale, spazio alle testimonianze di aziende e manager. Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, dialogherà con Belpietro sulle opportunità di sviluppo del settore energetico italiano. Seguiranno gli interventi di Maria Rosaria Guarniere (Terna), Maria Cristina Papetti (Enel) e Riccardo Toto (Renexia), che porteranno la loro esperienza su reti, rinnovabili e nuova «frontiera blu» dell’offshore.
Non mancheranno case history di realtà produttive che stanno affrontando la sfida sul campo: Nicola Perizzolo (Barilla), Leonardo Meoli (Generali) e Marzia Ravanelli (Bf spa) racconteranno come coniugare sostenibilità ambientale e competitività. Infine, Maurizio Dallocchio, presidente di Generalfinance e docente alla Bocconi, analizzerà il ruolo decisivo della finanza in un percorso che richiede investimenti globali stimati in oltre 1.700 miliardi di dollari l’anno.
Un confronto a più voci, dunque, per capire se la transizione energetica potrà davvero essere la leva per un futuro più sostenibile senza sacrificare crescita e lavoro.
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