
Lite tra l'ad dell'Inter Beppe Marotta e il presidente di Lega, Paolo Dal Pino. Che ha agito da Ponzio Pilato.«Così il campionato è falsato». Ci voleva il pragmatismo rude di Gennaro Gattuso, serviva un'entrata a scivolone da cartellino giallo ma onesta, per dare il senso di smarrimento e di disillusione che la Lega Calcio è riuscita a infondere nel tifoso che vive di emozioni ancor prima che di alchimie, nell'italiano medio che rispetta il codice della strada e i divieti di sosta, ma non capisce quando l'istituzione si muove per complicare l'esistenza con l'opacità e il sotterfugio. In quattro giorni i padroni del pallone, travolti dall'emergenza coronavirus (un po' più importante di un tocco di mano involontario), hanno fatto di tutto per perdere credibilità e affondare dentro il marasma del dubbio. Primo fra tutti il neopresidente Paolo Dal Pino - manager con i gradi, ex Gedi, Telecom, Fininvest, Mondadori - eletto da meno di due mesi con i voti decisivi del presidente della Lazio Claudio Lotito e già in bilico. Sembra impegnato a fraintendere l'ordinanza ministeriale: lavarsi le mani non significa farlo alla Ponzio Pilato e scappare dalle responsabilità. Il cuore del problema è il derby d'Italia, perché secondo la legge di Murphy se qualcosa può andare male lo fa. E se lo fa, ti mette fra i piedi Juventus-Inter potenzialmente decisiva da gestire. In quattro giorni quattro decisioni: prima si gioca a porte chiuse, poi non si gioca, poi si gioca lunedì senza tifosi lombardi (come Juventus-Milan di Coppa Italia), infine si gioca il 13 maggio. Un pasticcio insensato. E se non ha torto il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, a chiedere di poter disputare il big match con le porte aperte per incamerare cinque milioni di incasso, ha pure ragione l'ad dell'Inter Giuseppe Marotta nel far notare due anomalie. Passare dal «si gioca a porte chiuse» come aveva chiesto il ministero della Salute al «non si gioca» e poi «si gioca lunedì a porte aperte» è una dimostrazione di isteria immotivata. E spostare a maggio una sola partita (non tutta la giornata) significa tecnicamente mettere le due squadre in condizioni diverse dalle altre.La debolezza della Lega e del suo presidente si notano proprio nel balbettio decisionale, quasi paragonabile a quello del premier Giuseppe Conte davanti al contagio. Quando Dal Pino dice «giochiamo lunedì a porte aperte» mostra una fragilità di pensiero senza giustificazione. Perché se il provvedimento serve per tutelare la salute degli spettatori, che differenza può esserci fra la domenica e il lunedì? Nel momento in cui si scopre che la donna contagiata a Fiumicino, un reporter spagnolo e un tifoso croato positivo al coronavirus erano a San Siro a vedere Atalanta-Valencia, di fatto si indica quel luogo e quell'evento come potenziale focolaio. Il calcio vuole adeguarsi ai protocolli sanitari oppure ritiene di essere al di sopra della legge?Il presidente di Lega si difende dalle accuse di indecisionismo e di subalternità con un argomento di marketing: «Devo vendere il prodotto calcio italiano sempre meglio. E se la partita più importante dell'anno dovesse essere vista in mondovisione a porte chiuse, per noi sarebbe un disastroso boomerang». Vero, ma ci sono priorità sanitarie irrinunciabili davanti alle quali il pallone può essere fermato. Ieri pomeriggio si è svolto un summit straordinario per trovare una soluzione che ha confermato la spaccatura fra i club (Marotta ha parlato di «proposta impraticabile e quasi provocatoria») e l'incapacità del presidente Dal Pino di tenere in mano il timone. Si è deciso di non decidere. Si rivedranno fra qualche giorno, intanto tutto rimane in bilico, Juventus-Inter per ora non si gioca e il pallone italiano si dimostra una volta di più poco serio. Nell'aria aleggiano solitarie le parole di responsabilità di Gattuso detto Ringhio: «Non sono d'accordo, il campionato è falsato, le gare o si giocano tutte oppure si ferma il campionato. Giocare una partita il 13 maggio è diverso che giocarla oggi. A me piace che le gare si giochino con i tifosi, se non si può ci si ferma». Quando una vita da mediano serve più di un master alla Bocconi.
In Svizzera vengono tolti i «pissoir». L’obiettivo dei progressisti è quello di creare dei bagni gender free nelle scuole pubbliche. Nella provincia autonoma di Bolzano, pubblicato un vademecum inclusivo: non si potrà più dire cuoco, ma solamente chef.
La mozione non poteva che arrivare dai Verdi, sempre meno occupati a difendere l’ambiente (e quest’ultimo ringrazia) e sempre più impegnati in battaglie superflue. Sono stati loro a proporre al comune svizzero di Burgdorf, nel Canton Berna, di eliminare gli orinatoi dalle scuole. Per questioni igieniche, ovviamente, anche se i bidelli hanno spiegato che questo tipo di servizi richiede minor manutenzione e lavoro di pulizia. Ma anche perché giudicati troppo «maschilisti». Quella porcellana appesa al muro, con quei ragazzi a gambe aperte per i propri bisogni, faceva davvero rabbrividire la sinistra svizzera. Secondo la rappresentante dei Verdi, Vicky Müller, i bagni senza orinatoi sarebbero più puliti, anche se un’indagine (sì il Comune svizzero ha fatto anche questo) diceva il contrario.
iStock
L’episodio è avvenuto a Lucca: la donna alla guida del bus è stata malmenata da baby ubriachi: «Temo la vendetta di quelle belve».
Città sempre più in balia delle bande di stranieri. È la cronaca delle ultime ore a confermare quello che ormai è sotto gli occhi di tutti: non sono solamente le grandi metropoli a dover fare i conti con l’ondata di insicurezza provocata da maranza e soci. Il terrore causato dalle bande di giovanissimi delinquenti di origine straniera ormai è di casa anche nei centri medio-piccoli.
Quanto accaduto a Lucca ne è un esempio: due minorenni di origine straniera hanno aggredito la conducente di un autobus di linea di Autolinee toscane. I due malviventi sono sì naturalizzati italiani ma in passato erano già diventati tristemente noti per essere stati fermati come autori di un accoltellamento sempre nella città toscana. Mica male come spottone per la politica di accoglienza sfrenata propagandata a destra e a manca da certa sinistra.
Zohran Mamdani (Ansa)
Le battaglie ideologiche fondamentali per spostare i voti alle elezioni. Green e woke usati per arruolare i giovani, che puntano a vivere le loro esistenze in vacanza nelle metropoli. Ma il sistema non può reggere.
Uno degli aspetti più evidenti dell’instaurazione dei due mondi sta nella polarizzazione elettorale tra le metropoli e le aree suburbane, tra quelle che in Italia si definiscono «città» e «provincia». Questa riflessione è ben chiara agli specialisti da anni, rappresenta un fattore determinante per impostare ogni campagna elettorale almeno negli ultimi vent’anni, ed è indice di una divisione sociale, culturale ed antropologica realmente decisiva.
Il fatto che a New York abbia vinto le elezioni per la carica di sindaco un musulmano nato in Uganda, di origini iraniane, marxista dichiarato, che qualche mese fa ha fatto comizi nei quali auspicava il «superamento della proprietà privata» e sosteneva che la violenza in sé non esista ma sia sempre un «costrutto sociale», così come il genere sessuale, ha aperto un dibattito interno alla Sinistra.
Jean-Eudes Gannat
L’attivista francese Jean-Eudes Gannat: «È bastato documentare lo scempio della mia città, con gli afghani che chiedono l’elemosina. La polizia mi ha trattenuto, mia moglie è stata interrogata. Dietro la denuncia ci sono i servizi sociali. Il procuratore? Odia la destra».
Jean-Eudes Gannat è un attivista e giornalista francese piuttosto noto in patria. Nei giorni scorsi è stato fermato dalla polizia e tenuto per 48 ore in custodia. E per aver fatto che cosa? Per aver pubblicato un video su TikTok in cui filmava alcuni immigrati fuori da un supermercato della sua città.
«Quello che mi è successo è piuttosto sorprendente, direi persino incredibile», ci racconta. «Martedì sera ho fatto un video in cui passavo davanti a un gruppo di migranti afghani che si trovano nella città dove sono cresciuto. Sono lì da alcuni anni, e ogni sera, vestiti in abiti tradizionali, stanno per strada a chiedere l’elemosina; non si capisce bene cosa facciano.






