
La società tedesca che ha in gestione gli aeroporti turistici incassa gli utili e scarica su Atene i debiti grazie all'accordo capestro favorito dalla Troika. Il premier ellenico dice basta alla (finta) solidarietà europea e rifiuta Mes e Recovery fund.Mes e recovery fund? No, grazie. Costretta fino a pochi anni fa a elemosinare gli aiuti internazionali per scongiurare il default, oggi la Grecia sembra determinata a rifiutare ogni mano tesa da Bruxelles a seguito della crisi scatenata dalla pandemia di Covid. Che si tratti di una posizione dettata dall'orgoglio e dal pregiudizio, oppure c'è dell'altro? Nonostante nel 2011 l'ex premier Mario Monti l'abbia definita il «grande successo dell'euro», la Grecia si sta ancora leccando le ferite causate dal terremoto che ha letteralmente stravolto i connotati del suo panorama economico e sociale. Da culla della civiltà a Caporetto dell'Unione europea, il passo è stato breve ma assai doloroso. L'uscita del Paese dal programma di aiuti nell'agosto del 2018 è stata salutata come una conquista storica, ma il calvario per Atene non si è interrotto due anni fa. Rimangono il debito pubblico da ridimensionare, gli aiuti da restituire e l'avanzo primario (cioè differenza positiva tra entrate e uscite dello Stato, ndr) da garantire al 3,5% fino al 2022, e al 2,2% di media fino al 2060. Oltre alla strettissima sorveglianza post-programma, che pur non avendo condizioni comporta il fiato sul collo costante da parte dell'Ue, rimane minaccioso all'orizzonte l'appuntamento del 2032, data nella quale l'Eurogruppo valuterà se risultino necessarie «misure aggiuntive per il debito».Una cosa è certa: la Grecia ha toccato con mano la dura realtà della Troika, e di certo non desidera fare il bis. Atene, infatti, sa perfettamente che gli strascichi dell'austerità non si risolvono nel semplice rispetto dei (durissimi) obiettivi di bilancio imposti dai creditori. Uno dei disastrosi corollari della folle estate del 2015 fu il capitolo riguardante le privatizzazioni. Durante quelle concitate settimane, una fronda piuttosto consistente del Bundestag si oppose ferocemente alla concessione di nuovi aiuti al governo ellenico. C'era bisogno, dunque, di un tributo di sangue ancora più significativo per convincere l'opinione pubblica tedesca. Senza contare che l'esposizione delle banche teutoniche nei confronti del debito pubblico greco non permetteva passi falsi di sorta.Fu così che, per tranquillizzare Berlino, il premier Alexis Tsipras cedette al ricatto forse più umiliante, e cioè quello di svendere alcuni asset nazionali dal valore strategico. Una condizione messa nero su bianco a luglio del 2015, quando la Troika specificava che fosse «previsto che la Grecia attui un programma di privatizzazioni», i cui fondi sarebbero serviti per il rimborso della ricapitalizzazione delle banche e altre attività, la riduzione del rapporto debito/Pil e per gli investimenti. In prima fila per accaparrarsi il bottino, ovviamente, non potevano mancare i tedeschi. Già a dicembre del 2015, la tedesca Fraport chiudeva un accordo che, in cambio di appena 1,2 miliardi di euro, le garantiva il controllo di 14 importanti aeroporti regionali – tra questi Rodì, Corfù, Kos, Santorini e Zakynthos – per ben 40 anni. Potenzialmente, una miniera d'oro per i decenni a venire. Basti pensare che solo questi cinque scali nel 2019 hanno movimentato più di 15 milioni di passeggeri.Poi però è arrivato il Covid e la relativa crisi del turismo. Complessivamente, tra gennaio e maggio 2020 nel Paese il flusso di passeggeri è diminuito dell'84%, con punte del 99% per i voli internazionali. Ovviamente il crollo delle presenze ha colpito anche Fraport, che negli anni ha sempre fatto leva sugli ingressi dall'estero per incrementare i propri ricavi e che, peraltro, non ha mai versato i 22,9 milioni di euro di canone di concessione ad Atene. C'è il libero mercato, penserete voi. Sbagliato. Perché, come riportato ieri da Italia Oggi, oltre al prezzo di vendita stracciato, il contratto siglato tra Tsipras e la società tedesca di gestione degli aeroporti prevedeva un'altra postilla capestro. Ovvero che le perdite «causate da eventi di forza maggiore» – e l'emorragia di passeggeri legata al Covid rientrerebbe tra queste – vadano ripianate dal governo greco. E dunque, in ultima istanza, dai contribuenti ellenici. Più che di privatizzazione, nel caso di Fraport sarebbe forse corretto parlare di cannibalizzazione. Secondo il quotidiano Kathimerini, che cita fonti riservate ma attendibili, per gli effetti della clausola di «condivisione del rischio» Fraport avrebbe presentato all'attuale premier Kyriakos Mitsotakis un conto da ben 175 milioni di euro. Per il momento, la vicenda è ancora in una fase di negoziato, ma pare che Mitsotakis non voglia sganciare nemmeno un euro.Conoscendo i suoi polli, il primo ministro ellenico ha bocciato sin da subito il ricorso a misure salva-Stati. Da buon patriota, Mitsotakis sa perfettamente che aver consegnato le chiavi di casa ai creditori non ha significato solo la perdita dell'autonomia finanziaria, ma anche aver aperto a investitori senza scrupoli. Forse qualcuno dei nostri governanti farebbe bene a riflettere bene prima di buttarsi tra le braccia di Bruxelles. Come suggeriscono le vicende che giungono dalla Grecia, la scelta di ricorrere al Mes e al recovery fund rischia di mettere un'ipoteca sul futuro del nostro Paese.
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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