2021-03-17
Così funziona la sanità in Toscana. «Il prof è leghista: detronizziamolo»
Nell'inchiesta sui concorsi truccati all'azienda ospedaliera di Careggi emergono le trame del direttore generale: chi non è stato messo lì dalla sinistra deve perdere il posto. Fdi: «La Regione chiarisca»Da una parte c'erano le carriere degli amici da facilitare, dall'altra gli avversari da «detronizzare». Esperienza e curriculum rischiavano di finire alle ortiche se a sbarrare la strada c'era la cricca ospedaliero-universitaria scoperta dalla Procura di Firenze. L'ex direttore generale pro tempore del Careggi, il principale polo sanitario toscano, Monica Calamai, in una conversazione telefonica, del 6 marzo 2018 (dunque a ridosso delle ultime elezioni politiche), sembra non gradire proprio i medici identificati come in quota Lega, camici che con lei paiono destinati alla rottamazione. Prima di continuare apriamo una parentesi: «Lady nomina», grossetana, 58 anni, è una dottoressa specializzata in igiene e medicina preventiva, con una lunga esperienza nelle aziende sanitarie locali, specialmente in quelle toscane: Siena, Arezzo, Livorno, dal 2013 fino al 2018 Careggi, mentre dal giugno 2020 è alla guida della Usl di Ferrara, città, ironia della sorte, guidata dal leghista Alan Fabbri. Torniamo all'intercettazione. La donna è a telefono con Paolo Bechi, pro rettore dell'Ateneo fiorentino in pensione. Terminati i convenevoli la donna confida: «E… diglielo... ho detto io alla Titti (Teresita Mazzei, ex ordinaria di Farmacologia, ndr) di Gallo (Oreste Gallo, professore di otorinolaringoiatria, ndr) che era stato nominato dalla Lega… te lo volevo… ti volevo già avvisare, ma poi non sono proprio stata… […] non ho avuto tempo! Quando mi telefonasti… […] Lo chiamai subito Cecchi: “Ti sei impazzito?"». L'uomo risponde a monosillabi. Ma l'invettiva di Calamai, che cita diversi esponenti del mondo della Sanità toscana (non tutti identificati dagli investigatori), non è finita: «Invece no! C'erano le nomine del consiglio […] della terza commissione, capito?». L'ex braccio destro del rettore conferma: «Sì… sì… certo… certo…». Calamai non si contiene e parte con le elucubrazioni di geografia politica: «Per cui si sono fatti nominare la Torricelli da sinistra (incomprensibile ndr)… dottor Vichi… il Maciocco sempre da una lista di sinistra e lui dalla Lega… che non gli depone a favore, però, siamo organizzati per vedere di detronizzare». Calamai deve aver anche già fatto un giro di telefonate. Tant'è che precisa: «Stefania (verosimilmente Saccardi, vicepresidente della Regione ed ex assessore regionale alla Sanità ndr) si è arrabbiata […] Insomma ci garba poco l'andamento. Non ti fidare… eh… di questa roba anche eh… e mi raccomando! Né di Gabbani e né…». Poi, l'ultima rivelazione: «[…] Ho scoperto che la Torricelli… Gabbani la aveva portata per raccomandarla alla Stefania». Appartenenze politiche a parte, però, gli investigatori annotano che Calamai è «[…] principalmente interessata alla posizione accademica in favore di Adriano Peris, nel suo ruolo di capo struttura pro tempore (febbraio 2018-aprile 2019) della Regione Toscana nella “Direzione diritti di cittadinanza e coesione", con specifiche funzioni nelle politiche per la tutela del diritto alla salute». Gli investigatori scrivono che Calamai «“minaccia" esplicitamente Paolo Bechi di tagliare i fondi a favore dell'ateneo fiorentino se la manovra non andrà in porto, come da lei voluto». Calamai, però, non è l'unica che negli atti depositati dai magistrati fiorentini sui 39 indagati (nell'inchiesta si ipotizzano, avario titolo, le accuse di associazione per delinquere finalizzata alla corruzione, abuso di ufficio e induzione indebita a dare e promettere utilità) sembra essersi lasciata andare a commenti caustici a proposito di presunte parentele politiche. Dei e Bechi a un certo punto affibbiano a un collega un pedigree che affonderebbe le radici nel vecchio Partito repubblicano: «(inc.) Lo sanno loro chi sono i bravi, chi non sono i bravi (inc.), “quello non sa far nulla…", “io sono il più grande farmacologo del mondo!"… manca solo il premio Nobel! È così, capito?», afferma il rettore. Replica il suo braccio destro: «Mmm… certo! E questo… capito? […] dice: “Sai io sono…io sono… sono un self made men". Lui è…(ride, ndr) è parente di Spadolini, questa è la realtà delle cose (inc.) capito?». Ma sfogliando le carte, che, come ha svelato ieri La Verità, tirano in ballo più di un esponente politico (Eugenio Giani, governatore toscano, e il suo predecessore Enrico Rossi oltre alla già citata Saccardi), si legge anche il nome di un'altra formazione che porta l'orologio indietro fino alla Prima Repubblica: si tratta del Partito socialista. Che compare nei tabulati telefonici del rettore dell'Università fiorentina Luigi Dei. È il 3 dicembre 2018 quando vengono registrati una decina di contatti: i messaggi vengono scambiati tre le 9.51 e le 10.25; poi ci sono due chiamate nel giro di 20 minuti (10.29 e 10.49). Dunque quel giorno Dei, a quanto risulta alla Verità, potrebbe aver chiacchierato con Riccardo Nencini, presidente del Psi, già viceministro delle Infrastrutture e trasporti nel governo Renzi e che, non bisogna dimenticare, ha permesso, grazie alle recenti modifiche del regolamento, la creazione del gruppo Italia viva Psi al Senato. Nel 2018 è stato candidato nel collegio uninominale di Arezzo (quello di Maria Elena Boschi) dalla coalizione di centrosinistra. Le rivelazioni sull'inchiesta non hanno lasciato indifferente l'opposizione. Il rappresentante di Fratelli d'Italia in Regione, Francesco Torselli, tuona: «Non vogliamo neppure pensare che Giani e Saccardi usino questi metodi per favorire le carriere degli amici, per questo, auspichiamo che vi sia un'immediata e netta smentita di quanto scritto dalla Verità. Viceversa, saremo costretti a chiedere che Giani e Saccardi vengano a relazionare in aula». Sulla vicenda è intervenuta anche la presidente dei consiglieri in Regione del Carroccio Elisa Montemagni: «Stiamo parlando, presumibilmente, di una fitta rete di favori che avrebbero agevolato diversi professionisti, insomma una “concorsopoli" in piena regola. Come Lega non possiamo che vigilare, con l'auspicio, per il bene dei toscani, che gli inquirenti agiscano in modo rapido ed incisivo».
L'ex amministratore delegato di Mediobanca Alberto Nagel (Imagoeconomica)
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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