2022-05-10
La sinistra Usa sposa l’assedio alle case dei giudici anti aborto
Manifestazione di sostenitori dell'aborto a Washington DC. (Getty Images)
Dopo gli spifferi sulla sentenza pro nascite, tre toghe supreme sono assaltate dai manifestanti. E i dem fanno finta di nulla.Si comincia invocando il progresso sociale e si finisce nella barbarie. È quanto sta accadendo ad alcuni settori della sinistra americana, che stanno fomentando proteste al limite dell’assedio davanti alle abitazioni private di alcuni giudici delle Corte suprema. Il contesto, ormai noto, è quello della divulgazione a mezzo stampa di una bozza di verdetto, secondo cui il massimo organo giudiziario statunitense sarebbe pronto ad annullare Roe v Wade: la sentenza del 1973, che rese l’interruzione di gravidanza protetta dalla Costituzione. Ebbene, nei giorni scorsi, frotte di attivisti pro aborto si sono radunate davanti alle case dei giudici John Roberts e Brett Kavanaugh, per metterli sotto pressione. Nbc News riferiva inoltre che, per la serata di ieri, era in fase di organizzazione un’altra manifestazione davanti all’abitazione del giudice Samuel Alito. Neanche a dirlo, Roberts, Kavanaugh e Alito sono tutti e tre togati di nomina repubblicana. Domanda: è normale che si organizzino proteste davanti alle abitazioni private dei giudici, per cercare di influenzare una loro sentenza? I democratici, così solerti nello stigmatizzare (giustamente, per i toni e la degenerazione violenta) l’a presa di Capitol Hill, che cosa hanno da dire? Ben poco, a quanto pare. Basti pensare che la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, ha a lungo evitato di condannare le manifestazioni davanti alle case dei togati. Interpellata giovedì sulla questione, ha infatti replicato: «Penso che il punto di vista del presidente sia che c’è molta passione, molta paura, molta tristezza da molte persone in tutto il Paese per ciò che hanno visto in quel documento trapelato», ha detto. «Ovviamente vogliamo che la privacy delle persone sia rispettata», ha proseguito, per poi concludere: «Non ho una posizione ufficiale del governo degli Stati Uniti su dove le persone protestano». Soltanto ieri la Psaki si è alla fine decisa a prendere una posizione un tantino più dura. «I giudici svolgono una funzione incredibilmente importante nella nostra società e devono essere in grado di svolgere il proprio lavoro senza preoccuparsi della propria sicurezza personale», ha dichiarato. Parole comunque molto blande, se paragonate a quelle pronunciate pochi giorni fa da Joe Biden sul movimento trumpista, da lui definito «l’organizzazione politica più estremista che sia esistita nella storia americana recente». Del resto, che il senso delle istituzioni di Biden facesse un po’ acqua era emerso già la settimana scorsa, quando - dopo la divulgazione della bozza di sentenza - era intervenuto a gamba tesa contro quello che sembrerebbe essere l’orientamento dei supremi giudici sull’aborto, violando così il principio di separazione dei poteri. Stesso discorso vale per la sua vice, Kamala Harris, che ha criticato un eventuale annullamento di Roe, e per la Speaker della Camera, Nancy Pelosi, che ha definito un «abominio» il contenuto della bozza. Insomma, i vertici del potere esecutivo e legislativo si sono indebitamente intromessi nel processo decisionale di una questione spettante esclusivamente alla massima espressione del potere giudiziario, quale è la Corte suprema. Non è comunque la prima volta che si verificano episodi simili a quelli di questi giorni. Era marzo 2020, quando il capogruppo dem al Senato, Chuck Schumer, arringò una folla davanti alla Corte suprema, minacciando i giudici nominati da Trump proprio in materia di aborto. «Voglio dirvi, giudice Kavanaugh e giudice Gorsuch, che avete scatenato un turbine e ne pagherete il prezzo», tuonò. Era invece ottobre 2018, quando centinaia di manifestanti fecero irruzione nell’atrio dell’Hart Senate Building (che ospita gli uffici del Senato americano), per protestare contro la ratifica parlamentare della nomina dello stesso Kavanaugh: ci furono 293 arresti. È questo il senso delle istituzioni della sinistra americana? Ma soprattutto: quei giornalisti e commentatori che puntano costantemente il dito contro un fatto indubbiamente grave e deprecabile come l’irruzione in Campidoglio, perché tacciono quando è la sinistra a macchiarsi di violenza contro le istituzioni? E non si venga a tirare in ballo la «difesa dei diritti». Punto primo: la difesa di un diritto non giustifica la violenza. Punto secondo: l’eventuale annullamento di Roe non renderebbe l’aborto ipso facto illegale, rimetterebbe semmai le decisioni su questa materia ai parlamenti statali, che sono eletti dai cittadini. Ma questo non interessa ai democratici che, non certo da oggi, considerano le istituzioni come mero strumento di lotta politica. Non a caso, l’asinello sta tornando alla carica con la deleteria proposta di aumentare il numero dei giudici alla Corte suprema: un’idea bocciata nel 2019 persino dalla togata liberal Ruth Ginsburg, che paventava (giustamente) concreti rischi di politicizzazione. Questo per dire che il senso delle istituzioni i dem lo hanno, sì. Ma sotto i tacchi delle scarpe.
Giorgia Meloni e Donald Trump (Ansa)