2024-01-04
La Corte dei conti intanto si assicura trattamenti economici privilegiati
Ai suoi membri andrà una percentuale fissa di ogni manovra. E mai sotto i 325 milioni.Colpaccio dei magistrati contabili nella finanziaria 2024. Un emendamento alla manovra ha ancorato per i prossimi anni all’ammontare della legge annuale di bilancio l’entità dello stanziamento per il funzionamento della Corte dei Conti. Con l’effetto un po’ paradossale che più i controllori della spesa pubblica stringeranno i cordoni della borsa e più si taglieranno le risorse a propria disposizione. L’emendamento all’articolo 67 presentato in Senato dai relatori della manovra (Dario Damiani, Guido Liris ed Elena Testor) è passato con l’approvazione del governo ed è un capolavoro di galleggiamento delle alte magistrature, capaci di cadere sempre in piedi con qualunque maggioranza e qualunque esecutivo. Anche con quello criticato più aspramente. Il codicillo prevede che le risorse finanziarie assegnate annualmente alla Corte dei Conti, che ha piena autonomia gestionale e di bilancio, «sono determinate in misura pari, complessivamente, allo 0,41 per mille per l’anno 2024, allo 0,437 per mille per l’anno 2025 e allo 0,45 per mille a decorrere dall’anno 2026, delle spese finali previste in sede di presentazione del disegno di legge di bilancio». Dall’ammontare della finanziaria andranno comunque tolte «le spese per interessi e quelle relative al Pnrr». Considerando la media delle ultime leggi di Bilancio, si tratta di alcune centinaia di milioni l’anno. In ogni caso, la norma prevede una clausola di salvaguardia per le toghe contabili, laddove si dispone che «le risorse finanziarie definite ai sensi del presente comma non possono essere inferiori a 325 milioni annui a decorrere dall’anno 2024». Una cifra in linea con i costi medi della Corte nell’ultimo decennio, costi che viaggiano intorno ai 350 milioni l’anno, sostenuti per i tre quarti a beneficio del personale togato e non. Ovviamente qui non è in discussione l’esigenza di sostenere con i soldi dei contribuenti l’attività di controllo della spesa pubblica da parte della Corte, che è anche garante della trasparenza di tutte le pubbliche amministrazioni. Però colpisce il modo scaltro in cui si è portato a casa il risultato, con il classico emendamento-sommergibile, e il fatto che il budget della Corte dei Conti sia legato in modo automatico alle dimensioni della spesa pubblica. A rigore, anziché essere direttamente proporzionale alle manovre, forse avrebbe dovuto essere inversamente proporzionale. Tra la magistratura contabile e l’esecutivo di Giorgia Meloni i rapporti non sono stati sempre distesi. Un primo braccio di ferro è andato in scena sui controlli sul Pnrr, dove la Corte dei Conti avrebbe voluto intervenire ex ante, e un secondo scontro è avvenuto proprio sulla finanziaria per il prossimo anno. Il presidente Guido Carlino, parlando alle Camere lo scorso 14 novembre, ha affermato che «la manovra finanziaria per il prossimo triennio si muove all’interno di un sentiero molto stretto in cui devono trovare un difficile equilibrio spinte ed esigenze diverse: rispondere alle difficoltà delle famiglie di fronte alla forte crescita dei prezzi; adeguare gli stipendi pubblici senza innescare una spirale negativa prezzi-salari; rafforzare un sistema dei servizi sanitari, assistenziali ma non solo […]; assicurare una maggiore flessibilità nelle scelte previdenziali; mantenere adeguati ritmi di investimento nel processo di ammodernamento infrastrutturale del Paese». Il tutto continuando a garantire «il percorso di riequilibrio dei conti e un graduale rientro del rapporto debito Pil». Insomma, una posizione che andava dalla Cgil alla Bce. Ma in quell’occasione, il presidente della Corte dei Conti, palermitano doc, aveva attaccato il progetto del Ponte sullo Stretto, caro a Matteo Salvini, e aveva definito la manovra «complessivamente poco incisiva». Poi, al momento degli emendamenti, qualcuno ha magicamente inciso per lui e per i suoi colleghi.