2025-09-17
Il green serviva a pulire la coscienza tedesca
Dieci anni fa scoppiò il Dieselgate, la truffa di Volkswagen sulle emissioni scoperta dagli statunitensi, già in guerra commerciale con Berlino. Per riprendersi, l’azienda puntò sull’elettrico e ottenne il sostegno di Ursula. Ma ad approfittarne sono stati i cinesi.Sarà un caso, ma le parole di Mario Draghi sulla scomparsa dei presupposti che hanno ispirato il Green deal giungono proprio in corrispondenza del decimo anniversario del Dieselgate. Un avvenimento che rappresenta uno dei principali motivi per cui l’Unione europea, dal 2019, ha imposto la svolta del Green deal e dell’auto elettrica. Venerdì 18 settembre 2015: con una cortese lettera di sei pagine, l’Agenzia per la protezione ambientale degli Stati Uniti (EpaA) emette un avviso di violazione del Clean air act americano da parte di Volkswagen Ag, Audi Ag, e Volkswagen group of America (collettivamente, Vw). L’accusa è di avere manipolato i controlli sulle emissioni delle auto diesel attraverso un software. L’ingegnoso programma installato sulle macchine Vw con motore diesel «capiva» quando l’auto si trovava sul banco di prova per i test e attivava al massimo i dispositivi antinquinamento, in particolare quelli sulle NOx. Finiti i test, una volta su strada, il software disattivava i filtri, che riducevano le prestazioni. Un diesel di Volkswagen era come due auto in una: pulita in laboratorio, spinta sulla strada.In seguito alla lettera dell’Epa, il 21 settembre 2015, alla riapertura dei mercati, il titolo Volkswagen crolla del 20%. I vertici dell’azienda ammettono la manipolazione e il 23 settembre l’amministratore delegato Martin Winterkorn si è già dimesso. Lo choc in Germania è fortissimo. Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti definisce quello di Vw «uno dei crimini aziendali più sfacciati della storia», l’opinione pubblica tedesca è scioccata, l’azienda inizia ad accantonare riserve per pagare multe e danni. La questione si allarga a Mercedes e Bosch.Gli Stati Uniti stavano reagendo all’invadenza dell’automobile tedesca erigendo una barriera non di prezzo. Vw stava infatti surclassando le case automobilistiche americane proprio sulla questione del diesel «pulito», che sembrava imbattibile. La truffa del Dieselgate consisteva in dichiarazioni false alle autorità (Epa e Carb in California), deliberata elusione delle norme antinquinamento con un software progettato per imbrogliare ai test e pubblicità ingannevole verso i clienti. Lo scandalo è costato oltre 32 miliardi di euro alla Volkswagen tra multe, transazioni e compensazioni con una decina di condanne per vari reati, mentre alcuni processi (tra cui quello all’ormai anziano Winterkorn) sono ancora aperti.La figuraccia planetaria minò alla base la reputazione dell’industria tedesca. Volkswagen entrò in crisi e iniziò a cambiare strategia: dovendo ripulire il proprio marchio, iniziò a spingere sull’auto elettrica, forte della sua partnership più che trentennale con le case automobilistiche cinesi. La partnership tedesca con le case automobilistiche cinesi risaliva al 1983 e la Cina stava abbracciando il nuovo corso di Xi Jinping sull’espansione industriale, di cui l’auto elettrica era elemento importantissimo. È storia: nel giugno 2016 il nuovo ad Matthias Müller annunciò la Together strategy, che prevedeva il lancio di oltre 30 nuovi modelli elettrici e plug-in entro il 2025. Nella presentazione, Müller disse: «Dobbiamo ancora superare le conseguenze dello scandalo che ci ha coinvolto, ma sta nascendo una nuova Volkswagen. […] Saremo un leader tecnologico e un modello di comportamento quando si tratta di ambiente, sicurezza e integrità». Nel novembre 2016 la Together strategy diventa Transform 2025+, che doveva portare alla soppressione di 30.000 posti di lavoro e a un milione di auto elettriche vendute nel 2025. Nel marzo del 2019 gli obiettivi di Vw diventano di lanciare 70 nuovi modelli elettrici di cui 14 nuovi modelli di Suv in Cina entro il 2025.Dunque, ben prima del lancio del Green deal, nella primavera 2019, Vw ha completato la sua transizione, decidendo di focalizzarsi sull’auto elettrica. I piani tedeschi erano, come sempre, grandiosi, ma avevano bisogno di un piccolo aiuto. L’industria automobilistica tedesca, infatti, aveva segnalato alla politica che questo passaggio della principale realtà produttiva della Germania necessitava di un forte sostegno politico. A rischio vi era tutto il Paese. Ecco quindi spuntare dal cilindro il Green deal europeo, che nel dicembre 2019 viene presentato a Bruxelles dalla tedesca Ursula von der Leyen, neopresidente della Commissione europea, sino ad allora semisconosciuta in Europa. Nel settore dell’auto, il Green deal imponeva forti riduzioni delle emissioni nei trasporti, dettagliate nel piano Fit for 55 presentato nel 2021 e che diventeranno poi, nell’ottobre 2022, il Regolamento (UE) 2023/851. Entrato in vigore nell’aprile 2023, il regolamento impone che dal 2035 le auto nuove debbano emettere zero CO2 allo scarico. Il che significa che da quella data le auto elettriche saranno le sole immatricolabili. Si tratta di una enorme operazione di rottamazione forzata dell’intero parco auto europeo, circa 250 milioni di veicoli. Un mercato obbligatorio del valore di migliaia di miliardi di euro, a disposizione dei marchi dominanti.Ma le cose non sono andate come speravano in Germania. I cinesi hanno imparato in fretta a fare bene le automobili e hanno surclassato tutti, essendo soprattutto padroni incontrastati delle materie prime e delle tecnologie per le batterie. In Europa i clienti non gradiscono il prodotto e lo comprano poco o per nulla. Ora i marchi cinesi sono leader mondiali nell’auto elettrica, con le case europee in crisi, che devono inseguire attraverso accordi per minimizzare i danni, ormai in gran parte irrecuperabili.