2024-06-30
Ritratto della toga che «risarcisce» i migranti
La nave mercantile Asso 29
Corrado Bile, che ha condannato Stato e Asso 29 per aver riportato dei naufraghi in Libia, viene considerato un battitore libero. Con le sue sentenze ha interpretato la legge, apparentemente ispirandosi a una concezione «evoluzionista» della giurisprudenza.C’è un insegnamento che Franco Bile, toga d’altri tempi su posizioni progressiste che è mancata due anni fa ultranovantenne, ha affidato a suo figlio Corrado, il giudice del Tribunale di Roma che l’altro giorno ha bastonato la presidenza del Consiglio, i ministeri della Difesa e dei Trasporti, il comandante della nave mercantile Asso 29 e il suo armatore, per aver consegnato ai libici dei migranti che nel 2018 erano stati salvati da un naufragio, piazzando una mina sotto il Piano Mattei: «La verità, figlio mio», ha ricordato Corrado scrivendo un articolo commemorativo su Questione Giustizia, la rivista della corrente di Magistratura democratica, «è che in diritto si può dire tutto, ma a un certo punto è la storia che cambia. È una cosa che si sente, una sensazione che si avverte. Occorre coglierla e farsene interpreti». Parole ricche di concetti filosofici, che paiono assegnare al giudice una funzione quasi politico-legislativa; rappresentazione contrapposta all’originalismo che, invece, vuole che il giudice applichi la norma senza «creare» nuovi diritti. Ovvero che si attenga fedelmente alla legge, lasciando al legislatore il compito di cambiare se ciò è ritenuto necessario. Ma se papà Bile dai colleghi era considerato un progressista, il figlio viene indicato come un battitore libero, tanto da finire, come esperto, a lavorare per gli Affari giuridici della presidenza del Consiglio ai tempi del governo di Silvio Berlusconi (2010). Il suo essere fuori dalle correnti, infatti, ha portato quelli di Magistratura indipendente più volte a chiedergli il voto. Le parole del papà, però, in qualche modo probabilmente devono aver forgiato la struttura delle sue convinzioni filosofiche e giuridiche, al punto che le sentenze a volte sembrano proprio riflettere il concetto che «in diritto si può dire tutto, ma a un certo punto è la storia che cambia».In un caso che riguardava un cittadino tunisino che lavorava da molti anni in Italia e che aveva chiesto il ricongiungimento con la moglie, per esempio, la prefettura, siccome nella produzione documentale mancava il certificato di idoneità alloggiativa, condizione essenziale per l’ammissibilità della domanda, l’aveva rigettata. Ma il certificato c’era. E il tunisino ha impugnato il provvedimento. Quando l’istanza è stata riesaminata, la prefettura ha evidenziato altri impedimenti, come l’assenza di capacità economica, ritenendo i redditi insufficienti (8.378 euro annui invece dei 9.119 stabiliti per legge). Il tunisino ha, però, spiegato che aveva subito un incidente e che non aveva potuto lavorare, quindi il reddito risultava inferiore. Ed è su questo punto che è intervenuto il Bile pensiero: «Dal momento che l’estensione dei bisogni può variare molto a seconda degli individui, l’autorizzazione deve essere interpretata nel senso che gli Stati membri possono indicare un importo di riferimento, ma non nel senso che essi possano imporre un importo di reddito». Secondo il giudice «il quadro reddituale si presenta sufficiente e idoneo, in virtù di una valutazione prospettica, a ottenere il nulla osta. Le mancanze reddituali risultano giustificate dall’incidente». Ancora più informate alla linea di pensiero del giudice appaiono le motivazioni di una seconda sentenza. Il caso riguardava un ragazzo nato in Italia da genitori della Bosnia Erzegovina che aveva dichiarato la volontà di acquisire la cittadinanza entro un anno dal compimento della maggiore età. Ma risultava un periodo di irreperibilità lungo quasi 12 mesi. E la norma prevede che debba essere accertata la residenza ininterrotta fin dalla nascita. Ecco invece le valutazioni del giudice: «Vero che emergono alcuni periodi di irreperibilità. Tuttavia si tratta di una circostanza del tutto conforme alla condizione di nomade». Ma non è finita. Una rom che ha vissuto in Italia sin dalla nascita aveva acquisito la cittadinanza, perché il padre era stato riconosciuto come figlio di un italiano e aveva quindi trasmesso a lei il diritto iure sanguinis. Il permesso di soggiorno, quindi, diventato ormai superfluo, le era stato ritirato. Per via giudiziaria, però, era stata poi accertata la falsità del riconoscimento di paternità. E con un decreto il gip di Roma ha invitato il Comune a non rilasciare più alcun documento alla donna e anche al padre. Che si sono ritrovati senza cittadinanza e senza identità. Nel frattempo, dopo una serie di interventi chirurgici, la donna è rimasta invalida e ha chiesto il riconoscimento della protezione internazionale «stante il rischio di discriminazione legato all’appartenenza rom» e anche per le condizioni di salute. La commissione territoriale le ha riconosciuto, quindi, lo status di rifugiata. A quel punto ha chiesto di nuovo la cittadinanza. Ma il Comune di Roma le ha ricordato che era ormai trascorso più di un anno dal compimento della maggiore età e non avrebbe potuto più pretenderla. Bile ha così superato la questione: «All’interessato non sono imputabili inadempimenti riconducibili ai genitori o alla pubblica amministrazione [...]. La ricorrente si è trovata nell’impossibilità di esercitare tempestivamente il diritto». Ultimo caso: a un egiziano era stata respinta la richiesta di protezione internazionale. Si era dichiarato cristiano copto e, per questo, era stato perseguitato dai Fratelli musulmani. La commissione territoriale aveva ritenuto credibili gli elementi relativi alla nazionalità e all’appartenenza religiosa, ma non il racconto sulla persecuzione. E qui interviene Bile: «La fede religiosa professata dal ricorrente rappresenta di per sé, in un contesto come quello di provenienza del ricorrente, in cui lo Stato non è in grado di assicurare adeguata protezione, motivo di fondato timore di un rischio di persecuzione». Ma l’Egitto è un Paese partner di tutti gli Stati occidentali, Italia compresa, ed è del tutto in grado di garantire la sicurezza dei propri cittadini. La prova delle persecuzioni? Bile la rintraccia in alcuni rapporti elaborati da Ong. Benvenuti in Italia. Dove il diritto a volte si applica e a volte si interpreta.
«The Iris Affair» (Sky Atlantic)
La nuova serie The Iris Affair, in onda su Sky Atlantic, intreccia azione e riflessione sul potere dell’Intelligenza Artificiale. Niamh Algar interpreta Iris Nixon, una programmatrice in fuga dopo aver scoperto i pericoli nascosti del suo stesso lavoro.