2025-02-20
La contromisura flop dell’Ue alle sanzioni americane: fondi alle gigafactory cinesi
Un report stronca la scelta di dare quasi 1 miliardo ai produttori di batterie del Dragone. E ora arriva la riforma degli aiuti di Stato: sussidi agli efuel solo se fatti con rinnovabili. La revisione della disciplina sugli aiuti di Stato in preparazione a Bruxelles servirà a eliminare un po’ di sprechi e a calibrare meglio gli interventi. La Commissione, in questo momento, finanzia con quasi 1 miliardo di euro le gigafactory cinesi in Europa senza alcuna garanzia sulla sostenibilità ambientale e nemmeno sui diritti dei lavoratori. Inoltre le alleanze con i giganti asiatici non stanno producendo i benefici tecnologici attesi. A rivelarlo è un recente studio presentato da Transport & Environment (T&E), la federazione che raggruppa una cinquantina di organizzazioni non governative che si occupano della transizione energetica nel settore dei trasporti. La rilassatezza dei controlli potrebbe essere una risposta indiretta ai dazi minacciati da Donald Trump. Un modo probabilmente per trovare una sponda a Pechino per rispondere alle tariffe Usa. L’analisi spiega che fabbriche di batterie cinesi, come quella della Catl in Ungheria e quella della Lg energy solution in Polonia, hanno ricevuto almeno 900 milioni di euro in aiuti pubblici da parte dei governi locali attingendo ai fondi europei. Nonostante gli ingenti finanziamenti, questi impianti registrano significative violazioni delle normative in particolare per quanto riguarda le emissioni tossiche e la gestione delle acque. In Ungheria, per esempio, la produzione di catodi ha comportato il superamento dei limiti di Nmp (un composto chimico tossico) e si teme anche un aumento significativo dei consumi di gas per alimentare le nuove fabbriche, a discapito delle energie rinnovabili che invece il Green deal europeo vuole a tutti i costi promuovere. In Polonia la situazione non sembra migliore: sono emersi dubbi sulla gestione delle acque nei processi industriali, e le condizioni per i lavoratori sono oggetto di segnalazioni negative. La Commissione europea, pur consapevole di queste problematiche, non ha imposto vincoli alle aziende beneficiarie, spiega l’analisi di T&E.Le dimensioni dello spreco diventano ancora più evidenti se si guarda alla situazione in altre regioni del mondo. In Cina, così come negli Stati Uniti, le alleanze tra imprese locali e straniere sono soggette a rigide regole che impongono il trasferimento di tecnologia, la creazione di posti di lavoro e il rispetto dei diritti dei lavoratori. Al contrario, le partnership delle imprese cinesi in Europa, come quelle tra Volkswagen e Gotion in Germania o tra Stellantis e Catl in Spagna non solo mancano di questi requisiti, ma si limitano a soddisfare la domanda di batterie senza promuovere un vero sviluppo tecnologico a lungo termine per l’Europa. Il caso dell’impianto della Gotion in Germania è significativo: nonostante un investimento di 1,1 miliardi di euro il ruolo di Volkswagen nella produzione delle batterie sembra essere marginale, con una fornitura che si riduce sostanzialmente a batterie Lfp (litio-ferro-fosfato) senza un significativo trasferimento di competenze o di tecnologie. Lo stesso vale per la joint venture tra Stellantis e Catl in Spagna, che ha beneficiato di circa 300 milioni di euro di aiuti pubblici, senza benefici tecnologici a lungo termine per l’industria europea. L’assenza di regole chiare rende la situazione ancora più critica. Mentre Bruxelles continua a finanziare queste gigafactory, non esiste una disciplina né sugli investimenti cinesi e sudcoreani in Europa, né per proteggere le industrie locali dalla concorrenza sleale. Di fatto, l’Europa rischia di trasformarsi in un semplice «polo di assemblaggio», perdendo competitività a livello globale, proprio mentre l’industria delle batterie, elemento chiave per la transizione energetica, diventa sempre più strategica. Una costosa contraddizione che rende indispensabile la revisione immediata di tutta la disciplina sugli aiuti di Stato. Esther Marchetti, che ha curato l’edizione italiana del rapporto, ha sottolineato che «le partnership con l’Asia sono state presentate come strumenti per condividere conoscenze e permettere all’industria europea di recuperare terreno rispetto ai concorrenti asiatici. Ma non stanno dando i frutti sperati». Transport & Environment nello studio ha chiesto che la Commissione europea presenti una strategia globale nell’ambito del piano d’azione per l’industria automobilistica. Oggi il 90% delle batterie per auto elettriche, in Europa, è fabbricato da produttori asiatici. Inoltre, il 40% dei progetti di gigafactory annunciati nel continente è cinese o sudcoreano. Esther Marchetti aggiunge: «Serve un’indagine sui sussidi all’industria delle batterie in Cina e di una disciplina rigida sugli aiuti di Stati in Europa».A questo proposito c’è già una novità. La bozza del nuovo sistema dei contributi pubblici all’industria dell’auto preparata dalla Commissione impone l’utilizzo di energia rinnovabile per la produzione di combustibili sintetici.