2019-12-12
Conto alla rovescia per salvare l’Ilva. Lo stop all’altoforno inizia domani
Le operazioni di spegnimento imposte dal tribunale cominceranno fra 24 ore: una volta che l'impianto avrà smesso di funzionare sarà impossibile riaccenderlo. I commissari annunciano il ricorso al Riesame.La sentenza si è basata sulla relazione di Barbara Valenzano, custode giudiziaria dell'area a caldo, che per anni si è espressa a favore di interventi drastici sul sito.Lo speciale contiene due articoli.È tutt'altro che d'acciaio la speranza di salvare l'altoforno 2 (Afo2) dell'ex Ilva di Taranto dopo il disco rosso del giudice Francesco Maccagnano alla richiesta di proroga, avallata dalla Procura, che era stata avanzata dai commissari straordinari nei giorni scorsi. L'azienda presenterà ricorso al tribunale del riesame per ribaltare l'ordinanza del magistrato della seconda sezione penale del tribunale del capoluogo pugliese, ma i tempi sono strettissimi. E minimi sono gli spiragli di manovra: l'impugnazione davanti al collegio giurisdizionale si basa, infatti, su una diversa interpretazione (in chiave ottimistica, diciamo così) della relazione del custode giudiziario dell'impianto siderurgico, Barbara Valenzano. Un dossier che offre più ombre che luci sulle contromisure adottate da Arcelor Mittal per annullare i rischi per i lavoratori impegnati nel piano di colata. Gli avvocati di Ilva chiederanno ai magistrati di concedere la proroga di nove mesi anche alla luce del piano di bonifica del sito già approvato nel recente passato. L'aspettativa è che il Riesame decida quasi immediatamente, considerato che domani, 13 dicembre, inizieranno le operazioni per lo spegnimento di Afo2. Se le toghe dovessero impiegare più tempo, a quel punto il processo diventerebbe irreversibile e si aprirebbe uno scenario fosco per il complesso industriale che occupa, ad oggi, oltre 10.000 dipendenti.Il giudice Maccagnano ha bocciato l'istanza dell'amministrazione straordinaria dell'azienda perché, ha scritto nel provvedimento, un nuovo rinvio dello spegnimento dell'altoforno 2 avrebbe violato la Costituzione e il testo unico sulla sicurezza dei lavoratori. Afo2 in questi anni è stato sequestrato e dissequestrato in diverse occasioni dopo che il 12 agosto 2015 un operaio di 35 anni, Alessandro Morricella, rimase vittima di una fiammata mista a ghisa incandescente mentre misurava la temperatura di colata. Secondo il magistrato, l'azienda ha avuto oltre quattro anni di tempo per mettersi in regola, ma non l'ha fatto. Altre dilazioni avrebbero comportato, a suo dire, una «ulteriore compressione dell'interesse alla tutela dell'integrità psicofisica dei lavoratori operanti presso l'altoforno». Per il giudice tarantino, la perdurante attività del piano di colata rappresenta un pericolo non più tollerabile. «Dalla documentazione in atti non pare emergere che siano state formalmente emesse o aggiornate specifiche pratiche operative tali da attenuare l'esposizione dei lavoratori al rischio di essere investiti improvvisamente da gas e polveri ad alta temperatura», come accaduto al povero Morricella. «La pluriennale opera di bilanciamento di interessi» che è stata di volta in volta evocata per «tutelare la continuità produttiva e i livelli occupazionali di uno stabilimento industriale di interesse strategico nazionale», scrive il giudice Maccagnano, non può «essere ulteriormente proseguita» violando le disposizioni del testo unico sulla sicurezza sul lavoro e, in particolare, della Costituzione che (articolo 41) prescrive che l'iniziativa economica è libera, ma «non può svolgersi [...] in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Per ottenere il differimento di nove mesi, i commissari avevano offerto garanzie riguardo all'implementazione dei sistemi di sicurezza e annunciato di aver già pagato all'azienda Paul Wurth, incaricata delle opere, ben 3,5 milioni di euro degli 11 messi a budget per finanziare l'automazione della Mat, la «macchina a tappare», una sorta di scudo nel campo di colata a tutela degli operai. Garanzie che avevano peraltro convinto anche la Procura che, esprimendo parere positivo alla istanza dei commissari, aveva tuttavia insistito su un miglioramento complessivo delle misure di prevenzione già analizzate nella relazione del custode giudiziario Valenzano.Il giudice Maccagnano ha invece rimesso di nuovo tutto in discussione. Come aveva già fatto nel luglio scorso quando, con l'impianto sequestrato per la seconda volta, bocciò il ricorso di Ilva sulla facoltà d'uso; ricorso che, anche in quel caso, aveva ottenuto l'ok della magistratura inquirente. L'Afo2 fu poi dissequestrato dal Riesame solo due mesi dopo. Questa volta, i tempi per la decisione dovranno essere necessariamente più brevi considerato anche che Arcelor Mittal (gestore del complesso) ha annunciato la cassaintegrazione per 3.500 operai (oltre 2.000 in più dei 1.273 per cui era già stata chiesta) a partire, non a caso, da domani, quando cioè l'Altoforno sarà sottoposto alle prime manovre di spegnimento. Indignati, i sindacati hanno parlato di una «provocazione». Che, in ogni caso, ci sarebbe stato - ha ribadito in più occasioni la multinazionale indiana - nel 2023 per conclusione naturale del ciclo di vita, dopo un precedente «tagliando» avvenuto nel 2007. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conto-alla-rovescia-per-salvare-lilva-lo-stop-allaltoforno-inizia-domani-2641572327.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="dietro-la-scelta-la-fedele-di-emiliano" data-post-id="2641572327" data-published-at="1758062603" data-use-pagination="False"> Dietro la scelta la fedele di Emiliano La lady di ferro della saga siderurgica tarantina si chiama Barbara Valenzano e dal 2012 è custode giudiziario dell'area a caldo dell'ex Ilva su nomina del gip Patrizia Todisco. Pochi mesi fa, ha ottenuto dal giudice Francesco Maccagnano, che sta celebrando il processo per la morte dell'operaio Alessandro Morricella (2015), pure l'incarico di redigere una perizia di valutazione dell'analisi del rischio presentata dai commissari dell'azienda in amministrazione straordinaria. Un documento che, sulla base di valutazioni tecniche condensate in 2.500 pagine, dimostrerebbe che il pericolo di incidenti è di uno preceduto da otto zeri, ovvero uno su 100 milioni. Malgrado l'ottimismo dei commissari, l'ingegner Valenzano ha usato la mano pesante nel suo dossier. Ha dato sì atto a Ilva di aver depositato il documento come da ordine, entro il 13 novembre scorso, ma ha pure evidenziato come due delle sette prescrizioni sono state disattese completamente mentre per altre non sono stati adottati comportamenti gestionali coerenti. Il che ha offerto il destro al giudice Maccagnano di rigettare la richiesta di proroga contro lo spegnimento dell'altoforno 2. La Valenzano è anche direttore del dipartimento ambiente della Regione Puglia dal 2015 su indicazione diretta del governatore Michele Emiliano, suo grande estimatore. Tanto da averle affidato la redazione del piano rifiuti regionale, tuttora inapplicato, e la conduzione della battaglia contro l'ipotesi di installazione del gasdotto Tap in Puglia. Sia lei sia Emiliano sarebbero convinti sostenitori - ma hanno sempre smentito le ricostruzioni giornalistiche al riguardo - della chiusura dell'Ilva. Addirittura, nel corso di un incontro pubblico la donna, dopo aver illustrato la proposta di decarbonizzazione del siderurgico, avrebbe avanzato l'ipotesi di un «referendum costituzionale» per sancire la cessazione delle attività nel sito oggi gestito da Arcelor Mittal. Su cui, oltre alla Procura di Taranto, ha acceso i riflettori anche la magistratura inquirente di Milano in una sorta di braccio di ferro giudiziario che rischia di avere effetti imprevedibili sia penali sia industriali. Tutto nasce dalla scelta dei commissari ex Ilva di presentare nel capoluogo pugliese un esposto a carico di Arcelor Mittal con l'ipotesi di reato di «distruzione di mezzi di produzione». Contestualmente la Procura di Milano, che aveva messo sotto processo i vecchi gestori Riva per bancarotta (incassando però un'assoluzione completa perché «il fatto non sussiste») ha aperto a sua volta un fascicolo per «verificare l'eventuale sussistenza di ipotesi di reato» come false comunicazioni al mercato e false comunicazioni sociali. Una «duplicazione» processuale che comporta la paralisi totale dell'attività industriale. Se continuasse a operare nelle attuali condizioni, Arcelor Mittal verrebbe infatti perseguita dalla Procura di Taranto. Se si fermasse, dovrebbe fare i conti con quella di Milano che ha intimato alla società di non «porre in essere ulteriori iniziative e condotte in ipotesi pregiudizievoli per la piena operatività e funzionalità degli impianti». Peraltro, proprio venerdì 20 dicembre, si terrà una udienza nel capoluogo lombardo relativa al filone d'indagine sul complesso siderurgico decisiva per la continuazione dell'avventura italiana della società indiana. La strategia del governo, che sta lavorando di uncinetto per costruire una possibile via d'uscita alla crisi che travolgerebbe il colosso tarantino con l'abbandono di Arcelor Mittal, era di arrivare con gli impianti funzionanti a quella data e di incrociare poi le dita. Speranza che pare a questo punto svanita. Tanto più dopo la decisione del gabinetto Conte di cancellare lo scudo penale voluto dall'esecutivo Renzi per tutelare i nuovi gestori. Condizione che, insieme alla piena operatività dell'Afo2, era ritenuta strategica da Arcelor Mittal per investire i miliardi di euro promessi.