2020-06-13
Conte tenta un altro scaricabarile. Ma la Costituzione parla chiaro
Quella dei pm di Bergamo non è stata una vacanza romana. Giunti a Palazzo Chigi alle nove del mattino, i magistrati titolari dell'inchiesta sul mancato isolamento della Bassa Val Seriana, una delle zone in cui si è registrato il maggior numero di vittime di coronavirus, hanno interrogato per tre ore il presidente del Consiglio, per due il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese, e per un'altra il ministro della Salute Roberto Speranza. Non capita tutti i giorni che alcuni tra più importanti esponenti di un governo finiscano tutti insieme davanti ai pubblici ministeri. A memoria di cronista, più volte le toghe hanno bussato alla porta dell'esecutivo o di singoli responsabili di dicasteri. (...)(...) Una delle ultime è stata quando il pm di Agrigento ha voluto ascoltare Matteo Salvini prima di indagarlo per sequestro di persona a causa del ritardato sbarco di un centinaio di migranti. Però, mentre a un ministro capita di essere interrogato e di finire alla sbarra, che davanti ai magistrati si ritrovi mezzo governo è altamente improbabile. Certo, questa volta non ci sono di mezzo immigrati rimasti qualche giorno in attesa su una nave in mezzo al mare. Qui ci sono centinaia di vittime che, forse, si potevano evitare o ridurre se Alzano e Nembro, due popolosi centri alle porte di Bergamo, fossero stati dichiarati per tempo zona rossa, come si fece con Codogno e Vo' quando furono scoperti i primi casi di coronavirus. In percentuale, nei due comuni si sono avute più vittime che a Wuhan, che pure del Covid è stato l'epicentro, ed è facile supporre che i contagiati della Val Seriana abbiano infettato il resto della provincia e pure quelle vicine. Quindi, quante persone si sarebbero potute salvare se alla fine di febbraio o al più tardi all'inizio di marzo quella zona fosse stata messa in quarantena? Chi decise di non isolare i due centri a Nordest di Bergamo, e perché?Ecco, ieri i pm si sono presentati a Palazzo Chigi per chiedere direttamente a Giuseppe Conte, l'uomo che il 30 gennaio aveva avocato a sé poteri straordinari, dichiarando lo stato di emergenza contro l'epidemia. Il presidente del Consiglio ovviamente non si è fatto cogliere impreparato dalla visita dei magistrati. Da giorni, sui quotidiani a lui vicini, aveva già lasciato capire quale sarebbe stata la sua linea di difesa, facendo riesumare una legge del 1978 che assegna poteri di intervento in casi di urgenza anche alle Regioni. In sintesi, per il premier toccava alla Lombardia dichiarare la zona rossa o comunque, se avesse voluto farlo, il governatore Attilio Fontana avrebbe potuto firmare un'ordinanza di blocco della circolazione dell'intera Bassa Val Seriana. La sostanza è che per Conte la responsabilità della mancata decisione non è sua, perché a lui al massimo si può addossare la colpa di non aver prevaricato la Lombardia, ma nulla di più.La tecnica dello scaricabarile, del resto, è una specialità del capo del governo: la sfoderò quando i pm bussarono alla porta di Matteo Salvini, ormai non più alleato di governo, la riusa ora. Tuttavia, la linea di difesa di Giuseppe Conte appare fragile per almeno cinque motivi. Il primo risiede nell'articolo 120 della Costituzione che, essendo la tavola della legge, come è noto scavalca tutte le altre leggi, compresa quella del 1978. Che dice la carta su cui si fonda la nostra Repubblica? «La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni». Chiaro? La Regione non può impedire che i cittadini viaggino liberamente. Già questo taglierebbe la testa al toro. Ma poi viene un secondo motivo. A Codogno e Vo' chi istituì la zona rossa? La Regione o il governo? L'esecutivo: a firmare fu Roberto Speranza. Il terzo motivo lo spiega benissimo Carlo Cambi qui sotto. Quando il governatore delle Marche, Luca Ceriscioli, provò a chiudere le scuole e il confine della sua regione preoccupato dai focolai della Romagna, che cosa fece Conte? Minacciò un intervento dall'alto, come la limitazione delle prerogative dei governatori. Come dire: comando io. C'è un quarto motivo. A Bergamo furono spediti all'inizio di marzo pattuglioni di carabinieri e dell'esercito. Chi ce li mandò? Non certo il presidente Fontana o l'assessore Giulio Gallera, che non hanno il potere di comandare né i militari né la polizia. Infine, l'ultima ragione per cui difficilmente Giuseppe Conte potrà sostenere di non entrarci nulla con la mancata chiusura è la lettera dell'Istituto superiore della sanità che chiedeva di dichiarare la zona rossa. A chi era indirizzata? Al premier, non certo al governatore della Lombardia. Ma se doveva essere Fontana a chiudere Alzano e Nembro, perché l'Iss scriveva a Conte? Forse non avevano l'indirizzo del Pirellone? O forse c'è un furbone che vuole continuare a governare nascondendosi dietro a comitati di esperti, pletore di consulenti, passerelle da Stati generali e altro? Anche in questo caso, la risposta pare la seconda.
Cristian Murianni-Davide Croatto-Andrea Carulli