2018-11-08
Conte si svegli dal suo torpore forlaniano
Il premier, ospite da Giovanni Floris, si mostra timido e privo di proposte: un brodino tiepido che è in contraddizione con i presupposti del suo stesso esecutivo. Prenda piuttosto esempio da Donald Trump: solo rischiando e mettendoci la faccia si sconfiggono le élite.Non è tanto il dato Auditel che colpisce. Non è tanto il fatto che il premier Giuseppe Conte non sfondi in tv. Non è tanto il fatto che per tutta la prima parte della sua intervista al (bravo) Giovanni Floris su La 7 venga surclassato da Mauro Corona che duetta con la Bianca Berlinguer su Rai 3. E non è nemmeno il fatto che i giornali abbiano dovuto fare i salti mortali per tirare fuori una notizia da 40 minuti d'intervista, nonostante le domande incalzanti del conduttore. Il problema è che il premier Giuseppe Conte, nella sua prima importante apparizione in uno studio tv, ha regalato meno emozioni di un carciofo lesso al pranzo di Natale. Ha sopito, cucito, rimandato, insabbiato. Ma non ha convinto per nulla. Non è entrato con forza in nessuno dei temi affrontati. E, soprattutto, non è riuscito a far sentire quella passione che dovrebbe animare chi affronta una sfida così difficile come quella del cambiamento.Ero lì presente, ospite della trasmissione, e vi debbo confessare che sono rimasto basito. Come sapete alla Verità abbiamo sempre guardato e continuiamo a guardare questo governo senza nessuno di quei pregiudizi che animano la quasi totalità dell'informazione italiana. Pensiamo che gli italiani abbiano espresso una forte volontà di invertire la rotta rispetto alle precedenti esperienze, rispetto ai Monti, ai Renzi, agli esecutivi inginocchiati a Bruxelles, ai ministri più sensibili alle esigenze della finanza che a quelle dei cittadini. E pensiamo che questa maggioranza, pur composita e difficoltosa, abbia il diritto di provare a dare una risposta a queste attese, come su alcuni punti sta facendo, e bene (basti pensare alle politiche sull'immigrazione). Ma per andare avanti su una strada così difficile e complicata, così piena di insidie e avversari, occorrono una grinta, una forza, una convinzione e un coraggio ben diversi da quelli espressi da Conte l'altra sera.Lo so che cosa penseranno molti: «Ma è Conte». Sottinteso: i veri leader sono Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Non è un caso se, il giorno dopo l'infelice esibizione tv del premier, i suoi due vice siano usciti allo scoperto con una campagna mediatica a tutto spiano, dalle dirette Facebook alle apparizioni nei principali salotti televisivi. Ma resta il fatto che è Conte quello che incarna l'unità di questo governo. È lui che va all'estero a rappresentarci. Ed è lui che ha deciso ufficialmente di metterci la faccia l'altra sera. Dunque, se uno ci mette la faccia, deve essere convincente. Non si scappa. Deve dare una prospettiva, deve indicare un obiettivo. Avere vigore, respiro. Deve cercare di mantenere viva quella fiammella di speranza ancora accesa nella maggioranza degli italiani. E che, se si spegne, poi non si riaccende più.Un governo che si propone un cambiamento così radicale come quello proposto da questa maggioranza, un governo che ha un progetto così ambizioso, può sbagliare per eccesso di coraggio. Non per mancanza di palle. Non è data in natura la figura del populista forlaniano, come quella che ha cercato di interpretare l'altra sera il premier Conte, spargendo circonlocuzioni in perfetto slang diccì e perifrasi da convergenze parallele, attorno a progetti politici che, al contrario, dovrebbero avere una forza dirompente. Ci sta la cautela, per carità. Ci sta la prudenza. Ma tu, premier, me lo devi dire che succede davvero alle pensioni. Me lo devi dire se si apre una finestrella per un anno a quota 100 o se si va poi avanti a demolire pezzo a pezzo tutta la Fornero. Me lo devi dire se quel piccolissimo assaggio di riduzione fiscale è un passo verso la rivoluzione flat tax oppure no. Me lo devi dire cosa pensi di fare con la giustizia, con l'Europa, con il reddito di cittadinanza. Ti devi prendere il rischio di indicare una strada, una direzione, e non solo perché un'intervista del genere la si fa soltanto se si ha qualcosa da dire. Ma anche perché gli italiani che sperano nel cambiamento sono disposti a perdonare molte cose a questa maggioranza: sono disposti a perdonare le inesperienze, le incertezze, le difficoltà a scontrarsi con i poteri della burocrazia e di Bruxelles. Ma non sono disposti a perdonare se, anziché il cambiamento, viene loro propinato un brodino caldo di nulla. Risulta, quest'ultimo, oltremodo indigesto.Dopo la trasmissione sono tornato a casa, c'erano le dirette sulle elezioni di mid term negli Usa. E pensavo che Donald Trump lì ha giocato duro. Fino in fondo. Ha rischiato, ci ha messo la faccia. Volevano fargli la pelle e lui ha rilanciato, più forte, più in alto, ha girato gli Stati Uniti per riaccendere gli entusiasmi, per ridare fiato a chi si aspetta un'America great. Perché è inevitabile: se qualcuno vuole rappresentare la riscossa dei cittadini troppo spesso schiacciati dalle élite, ebbene, a quei cittadini deve continuare a dare speranza. Non illudendoli, sia chiaro. Non raccontando balle. Ma gettando il cuore oltre l'ostacolo con un po' di energia. E un po' di vigore. La performance del premier Conte in tv è stata invece, secondo me, il campanello di allarme di un governo che rischia di perdersi non per eccesso rivoluzionario, come molti hanno temuto per settimane e settimane, ma per eccesso di timidezza. E sarebbe davvero il colmo. Se le inevitabili divergenze tra due partiti diversi, se gli scontri sulla giustizia, i mal di pancia reciproci e le ripetute ripicche lasceranno questo strascico di tentennamenti, se si trasformeranno in debolezze assortite o nella fuffa neodemocristiana che abbiamo sentito l'altra sera, sarebbe la fine. Perché la fiducia, come diceva quella famosa réclame, è una cosa seria: non basta votarla nelle Camere, bisogna averla fra i cittadini. E per averla fra i cittadini bisogna prima averla in sé. E dimostrarla. «Chi è per lei il popolo?», ha chiesto l'altra sera Floris. E Conte: «L'insieme degli azionisti di questo governo». Roba da far cadere le braccia. E non solo quelle.