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2018-06-29
Conte ribalta il tavolo dell’ipocrisia europea
ANSA
Nessun passo indietro sulle richieste italiane. Il premier Giuseppe Conte ha tenuto il punto fino alla fine sul tema dell'immigrazione. Conte ieri sera ha bloccato l'adozione delle conclusioni della prima parte del vertice europeo di Bruxelles, spiegando che l'Italia intende dare un voto sull'intero documento, compresa la parte dei migranti. La conferenza stampa del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, prevista al termine della prima giornata del vertice di Bruxelles, è stata quindi cancellata perché «uno Stato membro (l'Italia, ndr)», ha fatto sapere il portavoce di Tusk, «ha messo la riserva sull'intero progetto di conclusioni, quindi non c'è stato accordo sulle conclusioni stesse. Il Consiglio europeo ha avuto uno scambio di vedute con il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, nonché discussioni su sicurezza, difesa, lavoro, crescita, competitività, innovazione digitale e allargamento. Visto che uno stato membro ha messo la riserva sull'intero progetto di conclusioni, non ne sono state adottate. Per questo», ha aggiunto il portavoce di Tusk, «la conferenza stampa dei rappresentanti delle istituzioni Ue è stata cancellata e avrà luogo domani (oggi per chi legge, ndr) alla fine dell'Eurosummit».
La linea dura era stata annunciata da Conte già al suo arrivo a Bruxelles: «Oggi», aveva detto Conte, «toccheremo con mano se la solidarietà europea esiste o meno. Se dalle parole si vuole passare ai fatti. Questo Consiglio europeo potrà essere uno spartiacque tra un prima e un dopo nell'approccio del fenomeno migratorio».
L'Europa è sul punto di implodere: si ipotizzano accordi solo tra alcuni stati membri che fanno risaltare ancora di più la mancanza di una volontà comune di affrontare il problema sollevato, in particolare, dall'Italia. Ciò che manca all'Unione è un governo forte a Berlino, capace di imporre una linea. La cancelliera tedesca Angela Merkel è arrivata a Bruxelles in una condizione di inedita debolezza, stretta in una tenaglia micidiale: da una parte le pressioni del suo ministro degli interni, Horst Seehofer, che chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo stato di «primo approdo»; dall'altra la volontà di tenere unita l'Europa, per evitare che la linea dura dei paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), contrari a ogni ipotesi di accogliere immigrati sbarcati in altri Paesi, produca un effetto-domino spostando a destra l'equilibrio politico dell'Unione.
Conte incontra Angela Merkel, il bilaterale dura circa mezz'ora. Nessuna indiscrezione sui contenuti, ma la cancelliera tedesca, alcune ore prima, aveva fatto scattare l'allarme rosso: «I Paesi che ricevono molti rifugiati», aveva detto la Merkel, «hanno bisogno di sostegno, ma i rifugiati e i migranti non possono scegliere in quale Paese chiedere asilo». È il segnale che la Merkel non può tirare più di tanto la corda con Seehofer. Per mantenere le redini del governo tedesco, la cancelliera deve portare tornare a Berlino con qualche accordo sui «movimenti secondari» degli immigrati, quelli tra i vari stati dell'Unione. Chi sbarca in Italia , viene registrato in Italia e poi si trasferisce in Germania va rispedito nel Paese di primo approdo: è la linea di Seehofer, uno schiaffo all'Italia. La Merkel si attiva per dare vita a intese con stati «volenterosi» e punta a un accordo con Francia e Spagna. A metà pomeriggio fonti di Parigi fanno trapelare che la Francia è pronta a rafforzare l'accordo franco-tedesco che consente di respingere in uno dei rispettivi Paesi un richiedente asilo, nel caso in cui la cancelliera tedesca dovesse chiederlo. Anche l'Ungheria guidata dal «duro e puro» Viktor Orban, a sorpresa, fa sapere di essere disponibile a intese con Berlino. La Francia provoca l'Italia, proponendo la creazione di hotspot «più moderni» sul nostro territorio, sul modello della Grecia.
Il presidente francese, Emmanuel Macron, incontra i leader del gruppo Visegrad, poi tenta di organizzare un bilaterale con Conte, ma non c'è tempo e il vertice salta. Il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, espone la sua proposta di mediazione: «Ho proposto al Consiglio europeo», dice Tajani, «di investire 6 miliardi di euro per risolvere il problema del corridoio libico».
Le residue possibilità di un'intesa che mantenga l'Europa unita sembrano legate alla realizzazione di piattaforme al di fuori dell'Unione dove far attraccare le navi piene di disperati. Le ipotesi sono Marocco, Albania, Tunisia, Libia, Bosnia, Montenegro. La Merkel sottolinea che «dobbiamo prima discuterne con loro, non possiamo decidere da soli. Anche l'accordo con la Turchia», ricorda la cancelliera, «era reciproco». Il ministro degli Esteri del Marocco, Nasser Bourita, dice no: «Il Marocco», spiega Bourita, «respinge e ha sempre respinto questo genere di metodi per gestire la questione dei flussi migratori». Il leader proseguono la discussione a cena, poi una lunga notte di trattative. L'Italia, almeno per il momento, tiene il punto e non accenna ad arretrare di un solo millimetro. Oggi è il giorno della verità.
Carlo Tarallo
L’Italia rifiuta il compromesso renziano del più flessibilità in cambio di immigrati
L'Italia tiene il punto, rifiuta la logica del baratto (immigrati tutti da noi in cambio di soldi) capovolgendo quanto avevano fatto negli ultimi anni da Renzi in poi, e mette l'Europa di fronte alle proprie responsabilità . Il «no» alle conclusioni del Consiglio europeo era prevedibile. Il governo italiano aveva fatto capire con grande chiarezza ai partner dell'Unione di non essere disposto a cedere sulle richieste sull'immigrazione. «Oggi», aveva detto il premier Giuseppe Conte, «toccheremo con mano se la solidarietà europea esiste o meno. Se dalle parole si vuole passare ai fatti. Questo Consiglio europeo potrà essere uno spartiacque tra un prima e un dopo nell'approccio del fenomeno migratorio. Capiremo se davvero l'Europa vuole gestire in maniera solidale il fenomeno migratorio. Compromessi al ribasso non li accetteremo. L'Italia», aveva aggiunto Conte, «la sua buona volontà l'ha sempre dimostrata. Se questa volta non dovessimo trovare disponibilità da parte degli altri Paesi europei, potremmo chiudere questo Consiglio senza approvare conclusioni condivise».
Giornata convulsa, quella di ieri a Bruxelles. Il premier italiano Giuseppe Conte, al suo arrivo, non esclude la possibilità di un veto italiano sulle conclusioni del vertice in merito all'immigrazione: «È una possibilità che non voglio considerare», dice Conte, «ma se dovessimo arrivare a questo vorrà dire che non ci saranno conclusioni condivise. L'Italia ha elaborato una proposta che riteniamo ragionevole e conforme allo spirito e ai principi su cui è fondata l'Unione Europea», aggiunge Conte, «io stesso negli ultimi incontri ho ricevuto manifestazione di solidarietà adesso aspettiamo che le parole diventino fatti concreti». Da fonti italiane trapela anche che, contrariamente a quanto accaduto con i governi della sinistra, non ci sarà alcun cedimento sull'immigrazione in cambio di un po' di flessibilità sulle questioni di bilancio.
L'intera giornata di febbrili trattative vede l'Italia al centro di ogni discorso. Qualcuno ipotizza che, in cambio di un po' di flessibilità sui conti, il governo possa cedere sull'immigrazione. C'è chi sospetta che la prospettiva del veto sia un bluff. In serata, fonti del governo italiano spazzano il campo da questa illazione: «L'Italia», filtra dalla delegazione, «vuole dall'Europa un segnale chiaro sull'emergenza migranti e l'ipotesi di non approvare il documento conclusivo, se ciò non dovesse accadere, non è un bluff».
Nessun passo indietro e nessun «baratto»: «È importante», riferiscono le fonti del governo italiano in serata, «che ci si ponga anche il problema economico, ma questo tentativo si fa da un po' e noi abbiamo sempre detto che la soluzione non può essere che ci dicano: teneteveli voi, vi diamo i soldi. Non siamo nel 2014». Ha assunto il gusto amaro della provocazione la proposta trapelata dal governo francese in serata, basata anch'essa sulla logica del baratto. La Francia, si è appreso, vuole proporre all'Italia la creazione di «hotspot di nuova generazione, più europei», sul modello di quanto fatto in Grecia dal 2016. Lo fanno sapere fonti dell'Eliseo a margine dei lavori del Consiglio Ue. Su questa proposta, secondo Parigi, «si può avere il finanziamento e l'appoggio europeo». Il governo francese fa trapelare di riconoscere «che l'idea dei centri chiusi sia un punto sensibile» per l'Italia, ma è convinto che il governo Conte potrebbe accettare se questi centri saranno finanziati dall'Ue. Secondo la proposta francese, negli hotspot dovrebbe essere filtrati i richiedenti asilo da ridistribuire tra alcuni paesi europei, e i migranti economici, che dovrebbero essere rimpatriati sempre con i fondi dell'Ue. «Se c'è solidarietà europea rapida e capace di rimpatriare chi non ha diritto all'asilo», aggiungono le fonti francesi, «questa soluzione potrebbe essere accettabile per l'Italia, è esattamente ciò che aveva accettato la Grecia». Un paragone che non ha bisogno di commenti.
Carlo Tarallo
Anche Malta chiude i porti alle Ong. Ma allora si può fare per davvero
Li hanno accusati di essere dei fanatici, degli ideologizzati, gente senza rispetto alcuno per le regole. Loro, per smentire le malelingue, sono approdati a Malta mostrando il dito medio, intonando «siamo tutti antifascisti», per poi attaccare i governi di mezza Europa. Se non ci fossero, quelli di Lifeline bisognerebbe inventarli. Nel loro modo di agire, nelle loro dichiarazioni, persino nel loro aspetto fisico hanno finalmente mostrato il vero volto delle Ong.
Il comandante della Lifeline, Klaus Peter, ieri è stato interrogato di nuovo a Malta, dopo essere finito sotto indagine per aver disobbedito alle indicazioni della Guardia costiera italiana. È libero, ma non ha il permesso di lasciare l'isola. Dovrebbe comunque essere incriminato lunedì per la registrazione della nave, che batte bandiera olandese ma, secondo le autorità dei Paesi Bassi, non sarebbe iscritta nei registri come richiesto dalle norme. Gli altri componenti dell'equipaggio sono tutti liberi e non sono stati denunciati. La nave, invece, resta sequestrata. Nel frattempo, da Berlino, la portavoce dell'Ong, Marie Naass, tuonava contro tutti.
Soprattutto contro la Germania, paradossalmente riecheggiando, nel suo sfogo, alcuni temi cari proprio al governo italiano. «Il comportamento del governo tedesco è scandaloso, anche perché la Germania è fortemente responsabile del fatto che l'Italia sia stata lasciata sola. Non è possibile da un lato bloccare la soluzione europea, come ad esempio sul sistema di Dublino, e dall'altro venire meno alla cooperazione e rifiutare la solidarietà». Berlino ha voltato le spalle a Roma? Sembra di sentire Matteo Salvini. Anche se l'ascia di guerra, nei confronti del ministro italiano, non è certo stata sotterrata: «Le accuse che ci ha rivolto il ministro dell'Interno italiano ci hanno scioccato», ha detto Naass. Aggiungendo, tuttavia, che «è sbagliato chiudere i porti, ma è comprensibile che l'Italia prenda delle misure per disperazione se il resto d'Europa non agisce».
Insomma, alla fine persino all'Ong antifascista è scappato di bocca che l'Italia ha agito in modo «comprensibile». Non è l'unico, né il più importante segnale che il vento sia cambiato. Tutta una serie di luoghi comuni che fine a qualche tempo fa punteggiavano l'intero discorso ufficiale sull'immigrazione stanno velocemente venendo meno. Che le Ong siano pericolose e irresponsabili o che l'immigrazione non sia il nostro destino, fino a qualche tempo fa lo dicevano solo i tanto vituperati «populisti». Oggi lo dicono (quasi) tutti e chi non lo dice comunque si comporta di conseguenza. Basti solo vedere il cambio di passo di Malta, che ieri, con una decisione senza precedenti, ha deciso di chiudere il proprio porto a tutte le navi delle Ong, «finché non sarà fatta chiarezza sulle loro operazioni». In una nota, l'esecutivo maltese ha precisato che «alla luce degli ultimi eventi, Malta deve accertarsi che le operazioni condotte da entità che utilizzano i suoi servizi portuali e operanti nell'area della responsabilità maltese siano conformi alle leggi nazionali e internazionali».
Fino a quando non saranno chiarite le questioni, su cui si sta indagando, con particolare riferimento al caso Lifelive, «Malta non può consentire alle entità, la cui struttura potrebbe essere simile a quella oggetto di indagini, di utilizzare Malta come loro porto di operazioni, e per entrare o uscire dal porto». Una decisione anticipata dalla chiusura dei porti a Proactiva Open Arms, che su Twitter si era lamentata dei divieti apposti alla sua barca da Malta e Italia, anche se «fonti qualificate» hanno riferito all'agenzia Ansa che non ci sarebbe stata alcuna richiesta di entrare nelle acque territoriali o nei porti italiani da parte di Open Arms.
Nel giro di pochi giorni, il governo isolano ha anche negato il rifornimento di carburante all'aereo di Pilotes Volontaires e tenuto fuori dalle sue acque la Aquarius. Una linea dura, culminata nella decisione definitiva di ieri. Va da sé che se vengono meno la sponda maltese e quella italiana, per le Ong la vita si fa dura, durissima. Anche perché, nel frattempo, senza che molti ci abbiano fatto caso, la Libia ha dichiarato ufficialmente una sua zona di Search and Rescue (Sar). La notizia è arrivata ieri dall'Organizzazione marittima internazionale (Imo). Quest'ultima ha comunicato: «Il governo libico adesso ha inserito delle informazioni rilevanti nel Gisis global Sar plan», ovvero la directory relativa al piano Sar globale. E «tra queste vi è anche la definizione di una regione di ricerca e soccorso». Il portavoce della Marina libica, Ayoub Qassem ha già dichiarato che questo aiuterà la Guardia costiera del paese nordafricano a salvare i migranti e allo stesso tempo prevenire l'ingresso di altre organizzazioni. In caso di difficoltà, infatti, un'imbarcazione che passi in queste acque ora dovrà rivolgersi in via preventiva ai libici. Era proprio l'assenza della zona Sar a far sì che i natanti facessero riferimento al centro di coordinamento di Roma. Ora non sarà più così. E se l'espressione è stata ritenuta offensiva per i migranti, almeno per le Ong forse si può finalmente dire che la pacchia è finita.
Adriano Scianca
Il piano di Vienna: Ue a sbarchi zero
Obbiettivo numero uno: «L'arresto dell'immigrazione illegale in Europa». Il governo austriaco, che da domenica guiderà il semestre di presidenza dell'Ue, rompe quello che fino a pochi mesi fa era un tabù: non si tratta più di come accogliere e come distribuire, ma di non accogliere più. L'immigrazione, insomma, non è più una fatalità a cui arrendersi sperando in un vago «arricchimento culturale» futuro. Tutto bene, almeno sul piano delle petizioni di principio.
Che i fatti seguano le parole, come sappiamo, è tutt'altro paio di maniche. Ma intanto il punto è stato fissato. Il governo di Sebastian Kurz presenterà lunedì al Cosi, il Comitato per la sicurezza interna dell'Unione europea, un documento in cui spiegherà le linee direttive che intenderà seguire per affrontare il tema dell'immigrazione. Secondo La Stampa, che ha avuto accesso al paper di 7 pagine, Vienna si dirà ostile a qualsiasi ipotesi di quote di migranti da redistribuire fra i vari Paesi: «In caso di ulteriori crisi migratorie, che purtroppo sono prevedibili», si legge, «la distribuzione dei migranti negli Stati Ue potrebbe portare a un'ulteriore destabilizzazione della situazione». Il che è un bene o un male per l'Italia? Dipende. Il modello seguito finora da Bruxelles era semplice: sì all'accoglienza, non alla redistribuzione. In pratica, l'unica frontiera che era stata abolita nell'Ue era il mar Mediterraneo. Porte girevoli a sud, porte sbarrate a nord. In mezzo, l'Italia a fare da campo profughi per l'Unione.
Il no alla redistribuzione unito al principio anche solo ideale degli ingressi illegali a quota zero, invece, ha tutt'altro senso. Nel documento austriaco, il fenomeno migratorio è criticato senza mezzi termini: «La crisi migratoria», si legge, «ha avuto un impatto negativo sia sulla fiducia delle persone nella sicurezza, sia sulla sicurezza in quanto tale». Gli immigrati, inoltre, «a causa di fattori legati al loro background e alle loro scarse prospettive, hanno problemi a vivere in società libere o addirittura nel rigettarle», quindi «molti di questi sono particolarmente suscettibili alle ideologie ostili alla libertà e/o inclini a rivolgersi al crimine». Toni mai sentiti, nelle stanze dei bottoni europee.
E ancora: «Non sono principalmente i più bisognosi che vengono in Europa, ma soprattutto le persone che possono permettersi di pagare i trafficanti e che si sentono abbastanza forti da intraprendere viaggi pericolosi». Si propone quindi «un cambiamento di paradigma completo nella politica di asilo Ue». Ovvero: va sviluppato un «nuovo e migliore sistema di protezione in base al quale nessuna richiesta di asilo viene presentata sul territorio dell'Ue».
In ogni caso, per le domande comunque da esaminare, «in caso di decisione negativa, la persona deve essere trasferita nel suo Paese di origine oppure - opzione che deve essere esaminata - in un centro di rimpatrio in un Paese terzo». L'idea austriaca è quella di allestire campi in uno Stato extra Ue in cui mandare i migranti espulsi. Per Vienna bisogna «dare priorità alla protezione il più vicino possibile alle regioni in crisi». L'asilo in Europa, infatti, va «concesso solo a coloro che rispettano i valori europei e i diritti e le libertà sostenuti nell'Ue». Insomma, una secchiata di acqua gelata in faccia all'Europa. Che questa riesca poi a svegliarsi, è tutto da vedere.
Fabrizio La Rocca
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Riduci
Niente conferenza stampa per il veto di Roma, che chiede prima un'intesa sugli immigrati: trattative notturne. Emmanuel Macron vuole imporci gli hotspot come in Grecia. Angela Merkel apre a chiunque accetti accordi bilaterali. Il blocco di Visegrad vacilla. È tutto un grande suk.L'Italia rifiuta il compromesso renziano del più flessibilità in cambio di immigrati. L'azzardo del premier sposta gli equilibri, certo dell'appoggio strategico dell'America.La Valletta: «Finché non c'è chiarezza, non entrano». Il comandante della Lifeline verso l'incriminazione. La Libia dichiara la zona Sar: nelle sue acque, i soccorsi spettano solo alla Guardia costiera di Tripoli.Il governo austriaco da domenica guiderà il semestre di presidenza europeo. Per gestire l'emergenza migranti, Sebastian Kurz punta sulla protezione delle frontiere.Lo speciale contiene quattro articoliNessun passo indietro sulle richieste italiane. Il premier Giuseppe Conte ha tenuto il punto fino alla fine sul tema dell'immigrazione. Conte ieri sera ha bloccato l'adozione delle conclusioni della prima parte del vertice europeo di Bruxelles, spiegando che l'Italia intende dare un voto sull'intero documento, compresa la parte dei migranti. La conferenza stampa del presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, e del presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, prevista al termine della prima giornata del vertice di Bruxelles, è stata quindi cancellata perché «uno Stato membro (l'Italia, ndr)», ha fatto sapere il portavoce di Tusk, «ha messo la riserva sull'intero progetto di conclusioni, quindi non c'è stato accordo sulle conclusioni stesse. Il Consiglio europeo ha avuto uno scambio di vedute con il presidente del Parlamento Ue, Antonio Tajani, e il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, nonché discussioni su sicurezza, difesa, lavoro, crescita, competitività, innovazione digitale e allargamento. Visto che uno stato membro ha messo la riserva sull'intero progetto di conclusioni, non ne sono state adottate. Per questo», ha aggiunto il portavoce di Tusk, «la conferenza stampa dei rappresentanti delle istituzioni Ue è stata cancellata e avrà luogo domani (oggi per chi legge, ndr) alla fine dell'Eurosummit». La linea dura era stata annunciata da Conte già al suo arrivo a Bruxelles: «Oggi», aveva detto Conte, «toccheremo con mano se la solidarietà europea esiste o meno. Se dalle parole si vuole passare ai fatti. Questo Consiglio europeo potrà essere uno spartiacque tra un prima e un dopo nell'approccio del fenomeno migratorio». L'Europa è sul punto di implodere: si ipotizzano accordi solo tra alcuni stati membri che fanno risaltare ancora di più la mancanza di una volontà comune di affrontare il problema sollevato, in particolare, dall'Italia. Ciò che manca all'Unione è un governo forte a Berlino, capace di imporre una linea. La cancelliera tedesca Angela Merkel è arrivata a Bruxelles in una condizione di inedita debolezza, stretta in una tenaglia micidiale: da una parte le pressioni del suo ministro degli interni, Horst Seehofer, che chiede che i richiedenti asilo registrati in un altro paese dell'Unione europea e poi arrivati in Germania debbano essere rispediti allo stato di «primo approdo»; dall'altra la volontà di tenere unita l'Europa, per evitare che la linea dura dei paesi del blocco di Visegrad (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria), contrari a ogni ipotesi di accogliere immigrati sbarcati in altri Paesi, produca un effetto-domino spostando a destra l'equilibrio politico dell'Unione.Conte incontra Angela Merkel, il bilaterale dura circa mezz'ora. Nessuna indiscrezione sui contenuti, ma la cancelliera tedesca, alcune ore prima, aveva fatto scattare l'allarme rosso: «I Paesi che ricevono molti rifugiati», aveva detto la Merkel, «hanno bisogno di sostegno, ma i rifugiati e i migranti non possono scegliere in quale Paese chiedere asilo». È il segnale che la Merkel non può tirare più di tanto la corda con Seehofer. Per mantenere le redini del governo tedesco, la cancelliera deve portare tornare a Berlino con qualche accordo sui «movimenti secondari» degli immigrati, quelli tra i vari stati dell'Unione. Chi sbarca in Italia , viene registrato in Italia e poi si trasferisce in Germania va rispedito nel Paese di primo approdo: è la linea di Seehofer, uno schiaffo all'Italia. La Merkel si attiva per dare vita a intese con stati «volenterosi» e punta a un accordo con Francia e Spagna. A metà pomeriggio fonti di Parigi fanno trapelare che la Francia è pronta a rafforzare l'accordo franco-tedesco che consente di respingere in uno dei rispettivi Paesi un richiedente asilo, nel caso in cui la cancelliera tedesca dovesse chiederlo. Anche l'Ungheria guidata dal «duro e puro» Viktor Orban, a sorpresa, fa sapere di essere disponibile a intese con Berlino. La Francia provoca l'Italia, proponendo la creazione di hotspot «più moderni» sul nostro territorio, sul modello della Grecia. Il presidente francese, Emmanuel Macron, incontra i leader del gruppo Visegrad, poi tenta di organizzare un bilaterale con Conte, ma non c'è tempo e il vertice salta. Il presidente del parlamento europeo, Antonio Tajani, espone la sua proposta di mediazione: «Ho proposto al Consiglio europeo», dice Tajani, «di investire 6 miliardi di euro per risolvere il problema del corridoio libico». Le residue possibilità di un'intesa che mantenga l'Europa unita sembrano legate alla realizzazione di piattaforme al di fuori dell'Unione dove far attraccare le navi piene di disperati. Le ipotesi sono Marocco, Albania, Tunisia, Libia, Bosnia, Montenegro. La Merkel sottolinea che «dobbiamo prima discuterne con loro, non possiamo decidere da soli. Anche l'accordo con la Turchia», ricorda la cancelliera, «era reciproco». Il ministro degli Esteri del Marocco, Nasser Bourita, dice no: «Il Marocco», spiega Bourita, «respinge e ha sempre respinto questo genere di metodi per gestire la questione dei flussi migratori». Il leader proseguono la discussione a cena, poi una lunga notte di trattative. L'Italia, almeno per il momento, tiene il punto e non accenna ad arretrare di un solo millimetro. Oggi è il giorno della verità.Carlo Tarallo<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-ribalta-il-tavolo-dellipocrisia-europea-2582172637.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="litalia-rifiuta-il-compromesso-renziano-del-piu-flessibilita-in-cambio-di-immigrati" data-post-id="2582172637" data-published-at="1765403110" data-use-pagination="False"> L’Italia rifiuta il compromesso renziano del più flessibilità in cambio di immigrati L'Italia tiene il punto, rifiuta la logica del baratto (immigrati tutti da noi in cambio di soldi) capovolgendo quanto avevano fatto negli ultimi anni da Renzi in poi, e mette l'Europa di fronte alle proprie responsabilità . Il «no» alle conclusioni del Consiglio europeo era prevedibile. Il governo italiano aveva fatto capire con grande chiarezza ai partner dell'Unione di non essere disposto a cedere sulle richieste sull'immigrazione. «Oggi», aveva detto il premier Giuseppe Conte, «toccheremo con mano se la solidarietà europea esiste o meno. Se dalle parole si vuole passare ai fatti. Questo Consiglio europeo potrà essere uno spartiacque tra un prima e un dopo nell'approccio del fenomeno migratorio. Capiremo se davvero l'Europa vuole gestire in maniera solidale il fenomeno migratorio. Compromessi al ribasso non li accetteremo. L'Italia», aveva aggiunto Conte, «la sua buona volontà l'ha sempre dimostrata. Se questa volta non dovessimo trovare disponibilità da parte degli altri Paesi europei, potremmo chiudere questo Consiglio senza approvare conclusioni condivise».Giornata convulsa, quella di ieri a Bruxelles. Il premier italiano Giuseppe Conte, al suo arrivo, non esclude la possibilità di un veto italiano sulle conclusioni del vertice in merito all'immigrazione: «È una possibilità che non voglio considerare», dice Conte, «ma se dovessimo arrivare a questo vorrà dire che non ci saranno conclusioni condivise. L'Italia ha elaborato una proposta che riteniamo ragionevole e conforme allo spirito e ai principi su cui è fondata l'Unione Europea», aggiunge Conte, «io stesso negli ultimi incontri ho ricevuto manifestazione di solidarietà adesso aspettiamo che le parole diventino fatti concreti». Da fonti italiane trapela anche che, contrariamente a quanto accaduto con i governi della sinistra, non ci sarà alcun cedimento sull'immigrazione in cambio di un po' di flessibilità sulle questioni di bilancio.L'intera giornata di febbrili trattative vede l'Italia al centro di ogni discorso. Qualcuno ipotizza che, in cambio di un po' di flessibilità sui conti, il governo possa cedere sull'immigrazione. C'è chi sospetta che la prospettiva del veto sia un bluff. In serata, fonti del governo italiano spazzano il campo da questa illazione: «L'Italia», filtra dalla delegazione, «vuole dall'Europa un segnale chiaro sull'emergenza migranti e l'ipotesi di non approvare il documento conclusivo, se ciò non dovesse accadere, non è un bluff».Nessun passo indietro e nessun «baratto»: «È importante», riferiscono le fonti del governo italiano in serata, «che ci si ponga anche il problema economico, ma questo tentativo si fa da un po' e noi abbiamo sempre detto che la soluzione non può essere che ci dicano: teneteveli voi, vi diamo i soldi. Non siamo nel 2014». Ha assunto il gusto amaro della provocazione la proposta trapelata dal governo francese in serata, basata anch'essa sulla logica del baratto. La Francia, si è appreso, vuole proporre all'Italia la creazione di «hotspot di nuova generazione, più europei», sul modello di quanto fatto in Grecia dal 2016. Lo fanno sapere fonti dell'Eliseo a margine dei lavori del Consiglio Ue. Su questa proposta, secondo Parigi, «si può avere il finanziamento e l'appoggio europeo». Il governo francese fa trapelare di riconoscere «che l'idea dei centri chiusi sia un punto sensibile» per l'Italia, ma è convinto che il governo Conte potrebbe accettare se questi centri saranno finanziati dall'Ue. Secondo la proposta francese, negli hotspot dovrebbe essere filtrati i richiedenti asilo da ridistribuire tra alcuni paesi europei, e i migranti economici, che dovrebbero essere rimpatriati sempre con i fondi dell'Ue. «Se c'è solidarietà europea rapida e capace di rimpatriare chi non ha diritto all'asilo», aggiungono le fonti francesi, «questa soluzione potrebbe essere accettabile per l'Italia, è esattamente ciò che aveva accettato la Grecia». Un paragone che non ha bisogno di commenti.Carlo Tarallo <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-ribalta-il-tavolo-dellipocrisia-europea-2582172637.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="anche-malta-chiude-i-porti-alle-ong-ma-allora-si-puo-fare-per-davvero" data-post-id="2582172637" data-published-at="1765403110" data-use-pagination="False"> Anche Malta chiude i porti alle Ong. Ma allora si può fare per davvero Li hanno accusati di essere dei fanatici, degli ideologizzati, gente senza rispetto alcuno per le regole. Loro, per smentire le malelingue, sono approdati a Malta mostrando il dito medio, intonando «siamo tutti antifascisti», per poi attaccare i governi di mezza Europa. Se non ci fossero, quelli di Lifeline bisognerebbe inventarli. Nel loro modo di agire, nelle loro dichiarazioni, persino nel loro aspetto fisico hanno finalmente mostrato il vero volto delle Ong. Il comandante della Lifeline, Klaus Peter, ieri è stato interrogato di nuovo a Malta, dopo essere finito sotto indagine per aver disobbedito alle indicazioni della Guardia costiera italiana. È libero, ma non ha il permesso di lasciare l'isola. Dovrebbe comunque essere incriminato lunedì per la registrazione della nave, che batte bandiera olandese ma, secondo le autorità dei Paesi Bassi, non sarebbe iscritta nei registri come richiesto dalle norme. Gli altri componenti dell'equipaggio sono tutti liberi e non sono stati denunciati. La nave, invece, resta sequestrata. Nel frattempo, da Berlino, la portavoce dell'Ong, Marie Naass, tuonava contro tutti. Soprattutto contro la Germania, paradossalmente riecheggiando, nel suo sfogo, alcuni temi cari proprio al governo italiano. «Il comportamento del governo tedesco è scandaloso, anche perché la Germania è fortemente responsabile del fatto che l'Italia sia stata lasciata sola. Non è possibile da un lato bloccare la soluzione europea, come ad esempio sul sistema di Dublino, e dall'altro venire meno alla cooperazione e rifiutare la solidarietà». Berlino ha voltato le spalle a Roma? Sembra di sentire Matteo Salvini. Anche se l'ascia di guerra, nei confronti del ministro italiano, non è certo stata sotterrata: «Le accuse che ci ha rivolto il ministro dell'Interno italiano ci hanno scioccato», ha detto Naass. Aggiungendo, tuttavia, che «è sbagliato chiudere i porti, ma è comprensibile che l'Italia prenda delle misure per disperazione se il resto d'Europa non agisce». Insomma, alla fine persino all'Ong antifascista è scappato di bocca che l'Italia ha agito in modo «comprensibile». Non è l'unico, né il più importante segnale che il vento sia cambiato. Tutta una serie di luoghi comuni che fine a qualche tempo fa punteggiavano l'intero discorso ufficiale sull'immigrazione stanno velocemente venendo meno. Che le Ong siano pericolose e irresponsabili o che l'immigrazione non sia il nostro destino, fino a qualche tempo fa lo dicevano solo i tanto vituperati «populisti». Oggi lo dicono (quasi) tutti e chi non lo dice comunque si comporta di conseguenza. Basti solo vedere il cambio di passo di Malta, che ieri, con una decisione senza precedenti, ha deciso di chiudere il proprio porto a tutte le navi delle Ong, «finché non sarà fatta chiarezza sulle loro operazioni». In una nota, l'esecutivo maltese ha precisato che «alla luce degli ultimi eventi, Malta deve accertarsi che le operazioni condotte da entità che utilizzano i suoi servizi portuali e operanti nell'area della responsabilità maltese siano conformi alle leggi nazionali e internazionali». Fino a quando non saranno chiarite le questioni, su cui si sta indagando, con particolare riferimento al caso Lifelive, «Malta non può consentire alle entità, la cui struttura potrebbe essere simile a quella oggetto di indagini, di utilizzare Malta come loro porto di operazioni, e per entrare o uscire dal porto». Una decisione anticipata dalla chiusura dei porti a Proactiva Open Arms, che su Twitter si era lamentata dei divieti apposti alla sua barca da Malta e Italia, anche se «fonti qualificate» hanno riferito all'agenzia Ansa che non ci sarebbe stata alcuna richiesta di entrare nelle acque territoriali o nei porti italiani da parte di Open Arms. Nel giro di pochi giorni, il governo isolano ha anche negato il rifornimento di carburante all'aereo di Pilotes Volontaires e tenuto fuori dalle sue acque la Aquarius. Una linea dura, culminata nella decisione definitiva di ieri. Va da sé che se vengono meno la sponda maltese e quella italiana, per le Ong la vita si fa dura, durissima. Anche perché, nel frattempo, senza che molti ci abbiano fatto caso, la Libia ha dichiarato ufficialmente una sua zona di Search and Rescue (Sar). La notizia è arrivata ieri dall'Organizzazione marittima internazionale (Imo). Quest'ultima ha comunicato: «Il governo libico adesso ha inserito delle informazioni rilevanti nel Gisis global Sar plan», ovvero la directory relativa al piano Sar globale. E «tra queste vi è anche la definizione di una regione di ricerca e soccorso». Il portavoce della Marina libica, Ayoub Qassem ha già dichiarato che questo aiuterà la Guardia costiera del paese nordafricano a salvare i migranti e allo stesso tempo prevenire l'ingresso di altre organizzazioni. In caso di difficoltà, infatti, un'imbarcazione che passi in queste acque ora dovrà rivolgersi in via preventiva ai libici. Era proprio l'assenza della zona Sar a far sì che i natanti facessero riferimento al centro di coordinamento di Roma. Ora non sarà più così. E se l'espressione è stata ritenuta offensiva per i migranti, almeno per le Ong forse si può finalmente dire che la pacchia è finita. Adriano Scianca <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-ribalta-il-tavolo-dellipocrisia-europea-2582172637.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="il-piano-di-vienna-ue-a-sbarchi-zero" data-post-id="2582172637" data-published-at="1765403110" data-use-pagination="False"> Il piano di Vienna: Ue a sbarchi zero Obbiettivo numero uno: «L'arresto dell'immigrazione illegale in Europa». Il governo austriaco, che da domenica guiderà il semestre di presidenza dell'Ue, rompe quello che fino a pochi mesi fa era un tabù: non si tratta più di come accogliere e come distribuire, ma di non accogliere più. L'immigrazione, insomma, non è più una fatalità a cui arrendersi sperando in un vago «arricchimento culturale» futuro. Tutto bene, almeno sul piano delle petizioni di principio. Che i fatti seguano le parole, come sappiamo, è tutt'altro paio di maniche. Ma intanto il punto è stato fissato. Il governo di Sebastian Kurz presenterà lunedì al Cosi, il Comitato per la sicurezza interna dell'Unione europea, un documento in cui spiegherà le linee direttive che intenderà seguire per affrontare il tema dell'immigrazione. Secondo La Stampa, che ha avuto accesso al paper di 7 pagine, Vienna si dirà ostile a qualsiasi ipotesi di quote di migranti da redistribuire fra i vari Paesi: «In caso di ulteriori crisi migratorie, che purtroppo sono prevedibili», si legge, «la distribuzione dei migranti negli Stati Ue potrebbe portare a un'ulteriore destabilizzazione della situazione». Il che è un bene o un male per l'Italia? Dipende. Il modello seguito finora da Bruxelles era semplice: sì all'accoglienza, non alla redistribuzione. In pratica, l'unica frontiera che era stata abolita nell'Ue era il mar Mediterraneo. Porte girevoli a sud, porte sbarrate a nord. In mezzo, l'Italia a fare da campo profughi per l'Unione. Il no alla redistribuzione unito al principio anche solo ideale degli ingressi illegali a quota zero, invece, ha tutt'altro senso. Nel documento austriaco, il fenomeno migratorio è criticato senza mezzi termini: «La crisi migratoria», si legge, «ha avuto un impatto negativo sia sulla fiducia delle persone nella sicurezza, sia sulla sicurezza in quanto tale». Gli immigrati, inoltre, «a causa di fattori legati al loro background e alle loro scarse prospettive, hanno problemi a vivere in società libere o addirittura nel rigettarle», quindi «molti di questi sono particolarmente suscettibili alle ideologie ostili alla libertà e/o inclini a rivolgersi al crimine». Toni mai sentiti, nelle stanze dei bottoni europee. E ancora: «Non sono principalmente i più bisognosi che vengono in Europa, ma soprattutto le persone che possono permettersi di pagare i trafficanti e che si sentono abbastanza forti da intraprendere viaggi pericolosi». Si propone quindi «un cambiamento di paradigma completo nella politica di asilo Ue». Ovvero: va sviluppato un «nuovo e migliore sistema di protezione in base al quale nessuna richiesta di asilo viene presentata sul territorio dell'Ue». In ogni caso, per le domande comunque da esaminare, «in caso di decisione negativa, la persona deve essere trasferita nel suo Paese di origine oppure - opzione che deve essere esaminata - in un centro di rimpatrio in un Paese terzo». L'idea austriaca è quella di allestire campi in uno Stato extra Ue in cui mandare i migranti espulsi. Per Vienna bisogna «dare priorità alla protezione il più vicino possibile alle regioni in crisi». L'asilo in Europa, infatti, va «concesso solo a coloro che rispettano i valori europei e i diritti e le libertà sostenuti nell'Ue». Insomma, una secchiata di acqua gelata in faccia all'Europa. Che questa riesca poi a svegliarsi, è tutto da vedere. Fabrizio La Rocca
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Riduci
Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Riduci
Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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