2021-08-03
Conte con le ossa rotte sulla giustizia si sottrae alla farsa del voto sul Web
L'ex premier preferisce non fare esprimere i militanti sulla riforma Cartabia. Prova a farla passare come una Bonafede bis. Poi è costretto ad ammettere la sconfitta, giustificandola così: non è ancora lui il capo.I 5 stelle sono arrivati al voto sulla riforma Cartabia con la coscienza pulita. Lo sostiene Giuseppe Conte, leader ufficioso del Movimento in attesa di diventarne prima o poi anche ufficialmente il capo. Che i grillini abbiano l'anima in pace ci fa piacere. Registriamo solo che all'approvazione della legge sulla giustizia sono arrivati a pezzi, con alcuni di loro che si sono apertamente ribellati e una quarantina che in aula hanno marcato visita per evitare di doversi dichiarare contrari. Che, nonostante le dichiarazioni rassicuranti con cui Conte e compagni si sono intestati una vittoria, i pentastellati siano usciti dalla vicenda con le ossa rotte lo dimostra anche il fatto che sull'argomento non ci sarà alcuna consultazione degli iscritti. Una decisione che la dice lunga sulle pene interne al Movimento. I 5 stelle hanno fin dall'inizio fatto del coinvolgimento dei militanti una loro caratteristica. Dallo streaming degli incontri parlamentari fino alla nomina dei candidati, con il voto sulla piattaforma online, hanno sempre voluto marcare la differenza dagli altri partiti, dando a intendere che nessuna scelta sarebbe mai stata presa senza l'approvazione dei militanti. Ma ora, grazie a Conte, cade anche questo ultimo tabù. Secondo l'ex avvocato del popolo, la riforma della giustizia «non merita una votazione tra gli iscritti», come avrebbe voluto fare una parte del Movimento. E sapete come mai non c'è alcun bisogno di sentire il parere degli attivisti o anche dei semplici sostenitori? Per il semplice motivo che «per tre quarti l'impianto normativo complessivo è targato Bonafede-M5s». Senza che gli scappasse da ridere, l'ex presidente del Consiglio ha addirittura aggiunto come sia «improprio parlare di riforma Cartabia, perché per buoni due terzi resta la riforma Bonafede». Sì, con le percentuali l'ex premier evidentemente non si destreggia così bene come con i dpcm, e dunque a volte siamo al 66 per cento dell'ormai decaduta legge firmata dal ministro della giustizia grillino, altre volte si sale al 75 per cento. Sta di fatto che alcuni parlamentari hanno definito la controriforma della riforma «un abominio». Ma Conte, intervistato dalla Stampa, non si scompone: «Nel nuovo corso dei 5 stelle la presenza compatta sarà la cifra della nostra forza politica». Eh, già: nonostante in tre anni i 5 stelle abbiano perso per strada circa un parlamentare su tre, passando da una truppa di 338 onorevoli a una pattuglia di 237, e sebbene una quarantina l'altro ieri si sia assentata per non dover dichiararsi a favore della Cartabia, Conte è convinto di ricompattare tutti. Esattamente com'era convinto di avere i numeri per asfaltare Matteo Renzi nel febbraio scorso e com'era certo di costringere i Benetton a vendere Autostrade con la minaccia di «caducazione» della concessione, ma anche com'era sicuro di liberare dal lock-down gli italiani prima dello scorso Natale grazie a un anticipo di arresti domiciliari. Diciamo che le previsioni non sono mai state il punto di forza di Conte, il quale poche volte ha centrato l'obiettivo, né della crescita economica, né degli sviluppi della pandemia. Ma se i risultati non paiono confermare la linea politica del leader ufficioso dei grillini, in compenso l'ex premier si consola con poco e, a chi gli fa notare della cancellazione della prescrizione che era il perno della legge tenuta a battesimo da Alfonso Bonafede, replica che «resta in piedi il poderoso piano di assunzioni», salvo poi ammettere che la Cartabia «non è esattamente la riforma che avremmo fatto se fossimo stati da soli». Sì, in un lampo di onestà (parolina magica spesso ripetuta dai grillini) Conte ammette la sconfitta, ma poi si giustifica, dicendo che per esempio la norma sulla priorità dell'azione penale vincolata alle decisioni del Parlamento al Movimento non è piaciuta affatto «ma abbiamo ottenuto il suo depotenziamento» e, se alle prossime elezioni politiche i cittadini ci daranno ampia fiducia, i 5 stelle si faranno garanti di ulteriori modifiche, se serviranno». Insomma, il povero ex avvocato del popolo è costretto ad ammettere che la narrazione secondo cui i grillini hanno indotto Mario Draghi a fare retromarcia e a far passare il 75 per cento della riforma voluta da Bonafede è un po' forzata. Ma attenzione, alla ritirata pentastellata c'è una spiegazione: «Siamo in un contesto di difficoltà, perché non abbiamo ancora definito tutto il neo Movimento». C'è in pratica una spiegazione per ogni cosa. Se infatti i ministri hanno approvato la Cartabia non è perché erano pronti a votare qualsiasi cosa pur tenere in vita il governo e dunque anche la loro poltrona, ma perché lui, Conte, non è ancora incoronato capo ufficiale dei 5 stelle e dunque non è in vigore il nuovo corso. Eh, già: lo statuto seicentesco (parole di Beppe Grillo) non è ancora stato approvato e si vota oggi. Dunque, urge far credere che basterà affidare tutte le decisioni alle sue cure e le stelle torneranno a brillare. Perché se c'è da eleggere il leader, la democrazia dal basso va bene, se c'è da dire sì alla riforma della giustizia la votazione degli iscritti non serve. Anzi, è dannosa, perché i militanti non vanno disturbati: non si sa mai, potrebbero accorgersi di essere stati presi in giro.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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