2021-07-02
Conte fa la corte a Fico e Di Maio. Giggino va a trovarlo e si inabissa
C'è chi non crede al ruolo di pontiere del ministro degli Esteri e sostiene che si preparerebbe a tradire Beppe Grillo. Giuseppi farebbe leva sulla voglia di terzo mandato. I parlamentari chiedono un dibattito sul nuovo statutoIl sindaco di Roma ora può contare solo su 20 voti su 49. Da Fdi e Lega ipotesi sfiducia per porre fine alla sua amministrazione. E pure Nicola Zingaretti minaccia di commissariarlaLo speciale contiene due articoliTu quoque, Luigi, figlio mio! Il venticello del sospetto fa presto a diventare bufera: «Luigi è andato a trattare con Conte per assicurarsi un ruolo di primo piano nel nuovo partito, e per garantire i suoi fedelissimi». Sono passati pochi minuti dalla fine del summit tra Luigi Di Maio e Giuseppe Conte, che si è svolto ieri mattina a Roma, presso l'abitazione dell'ex premier, quando dai capannelli dei parlamentari del M5s si diffonde la più velenosa delle ipotesi: Bruto Di Maio, il figlio adottivo prediletto, si prepara a accoltellare alla schiena papà Giulio Cesare Grillo. «Ma no», dice alla Verità un deputato molto vicino al ministro degli Esteri, «Luigi sta tentando l'ultima mediazione, sta cercando di convincere Grillo e Conte a trovare un accordo, è quello che vorremmo tutti. Queste voci girano», aggiunge la nostra fonte, «perché Luigi non ha risposto a nessuno al telefono». L'ennesimo colpo di scena di questa infinita telenovela a 5 stelle va in onda ieri mattina, alle ore 9, quando Giggino Di Maio varca il portone di casa Conte. Un'ora e mezza di colloquio tra i due ex acerrimi avversari: al termine Di Maio non solo non rilascia nessuna dichiarazione, ma non risponde al cellulare a nessuno, o quasi. «Sono assolutamente fiduciosa», commenta il sindaco di Roma, Virginia Raggi, «che si riuscirà a ricomporre anche questo periodo. Sono due persone che stimo e apprezzo, credo che questo momento di complessità si potrà ricomporre». Il tempo di dribblare i cronisti e Di Maio raggiunge l'Accademia dei Lincei, dove partecipa alla cerimonia di chiusura dell'anno accademico. C'è anche Roberto Fico, il presidente della Camera e il ministro degli Esteri confabulano in disparte per un quarto d'ora. Bocche cucite, nessuna risposta ai giornalisti. L'ora è quella delle decisioni irrevocabili. O no? «Luigi che va con Conte? La voce», dice nel pomeriggio alla Verità un grillino di governo, «l'ho sentita anch'io, ma certo che sarebbe paradossale. D'altra parte però per Conte portarsi Di Maio sarebbe una vittoria schiacciante». «Conte», ci rivela un deputato molto informato sui fatti, «sta corteggiando Di Maio e Roberto Fico, perché sa bene che senza loro due il suo nuovo partito non potrebbe decollare. Loro prendono tempo, aspettano di capire quello che succede, lasciare Beppe Grillo sarebbe una scelta dolorissima». Al di là delle indiscrezioni e delle dichiarazioni, riesce veramente difficile credere che Di Maio accetti di fare il vice Conte ben sapendo che il ciuffo della vendetta dell'ex premier, che sa bene quanto ostile gli sia stato il ministro degli Esteri nelle ore cruciali della crisi di governo, si abbatterà su di lui alla prima occasione. D'altra parte, però, tutti quelli che andranno con Conte lo faranno in nome di un altissimo ideale: il terzo mandato. Il marasma è totale, ma ad alimentare le indiscrezioni che vorrebbero un Di Maio pronto ad aderire al partito contiano arriva, alle 12, al palazzo dei gruppi della Camera dei Deputati, un Rocco Casalino in forma smagliante, come non lo si vedeva dai tempi d'oro (più o meno) della caccia ai responsabili. Giacca, cravatta e sguardo altezzoso, si infila nell'ufficio dei deputati del M5s. Da quello stesso ufficio, alle 18, viene diffuso un comunicato stampa che suona un po' come l'ultima sceneggiata di ultima spiaggia: «L'assemblea dei deputati del M5s», recita la nota, «ha avanzato la richiesta di conoscere i contenuti della bozza di statuto e carta dei valori oggetto di discussione. Il capogruppo Davide Crippa, sta portando avanti la richiesta emersa dall'assemblea, verificando nel contempo, stando all'evolversi della situazione, la possibilità di incontrare il garante, Beppe Grillo, e la possibilità di un incontro con Giuseppe Conte». Crippa è uomo di Di Maio, anzi: il gruppo del M5s alla Camera è totalmente sotto il controllo di Di Maio, mentre al Senato dominano i contiani (ieri qualcuno ha diffuso addirittura la voce che il nuovo gruppo parlamentare a Palazzo Madama potrebbe utilizzare il simbolo di Leu). «Se ho un invito», risponde Conte in serata, «volentieri. Ci mancherebbe, sono sempre a disposizione dei parlamentari».«Statuto, non statuto», chiosa una fonte di primo piano, «tutte balle: chi va con Conte lo fa per avere il terzo giro in parlamento garantito. Io stesso sono stato contattato: non ha parlato né di progetto, né di percorso, né di squadra né di struttura, ma solo di ricandidatura». Intanto, un gruppo di eletti in vari consigli comunali e regionali diffida il Comitato di garanzia (Vito Crimi, Roberta Lombardi e Giancarlo Cancelleri, tutti contiani) ad avviare le procedure per votare su Rousseau il Comitato direttivo, come chiesto da Beppe Grillo e negato da Crimi, e ad «astenersi dall'avviare le procedure per eventuali modifiche statutarie diverse da quelle indicate dagli Stati Generali» minacciando in caso contrario azioni giudiziarie. Un primo siluro legale contro Giuseppe Conte subito raccolto da Vito Crimi che ha comunicato a Grillo di aver avviato tutti gli adempimenti prodromici allo svolgimento delle votazioni per il comitato direttivo utilizzando lo strumento di voto messo a disposizione da Skyvote.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/conte-fa-la-corte-a-fico-e-di-maio-giggino-va-a-trovarlo-e-si-inabissa-2653623697.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="altri-quattro-grillini-mollano-la-raggi" data-post-id="2653623697" data-published-at="1625178431" data-use-pagination="False"> Altri quattro grillini mollano la Raggi Che la sindaca di Roma Virginia Raggi non avesse più una maggioranza politica in Consiglio Comunale, era cosa risaputa da tempo. Ora, con l'abbandono polemico di ben quattro eletti pentastellati, all'ombra del Campidoglio viene certificata anche aritmeticamente l'assenza di un sostegno alla giunta da parte della Sala Giulio Cesare. Una sala, d'altra parte, dove la prima cittadina romana non ha potuto portare al voto dossier spinosi (come ad esempio la variante urbanistica per lo stadio della Roma, prima del naufragio del progetto Tor di Valle) ben consapevole che i consiglieri grillini sarebbero andati in ordine sparso, costringendola a prendere atto della triste realtà. Un epilogo, però, solamente rimandato, e benché manchino una manciata di settimane alla fine della consiliatura, la Raggi dovrà ora fare i conti con chi la sta incalzando da più fronti nelle ultime ore, chiedendole di porre fine all'agonia di una gestione della Città Eterna che presenta - per usare un eufemismo - più di una criticità. Tornando a chi ha sbattuto la porta, c'è da dire che non si tratta di peones: tra questi spicca infatti Enrico Stefano, ex vicepresidente del Consiglio comunale e presidente della commissione mobilità, riconosciuto da tutti come consigliere preparato e competente sui temi urbanistici. Tanto preparato da entrare inevitabilmente in rotta di collisione col gruppo dirigente grillino romano, da cui aveva preso le distanze ben prima dell'annuncio odierno, in cui, prendendo la parola in aula, ha parlato di «deriva di M5s» e di «politica dei like». La goccia che ha fatto traboccare il vaso, per lui e per gli altri, è stata la faida che si è innescata negli ultimi giorni tra i lealisti di Beppe Grillo e i sostenitori di Giuseppe Conte, definito da Stefano «uno dei pochi motivi che mi erano rimasti per continuare a credere nel M5s». Gli altri consiglieri che oggi hanno formalizzato il proprio addio a M5s sono Donatella Iorio, Marco Terranova e Angelo Sturni (presidente della commissione Roma Capitale), che contestualmente hanno annunciato la nascita di un nuovo gruppo, chiamato «Il Piano di Roma», per una situazione numerica da cui sarebbe fin troppo facile per la sindaca trarre le conseguenze: Virginia Raggi può infatti al momento contare su 20 voti in un'Aula di 49 eletti. Non a caso, dopo l'addio dei quattro consiglieri citati sono arrivate le richieste di dimissioni da parte di Lega e Fdi, che hanno fatto sapere che in caso contrario presenteranno una mozione di sfiducia: «In cinque anni», ha dichiarato Giorgia Meloni, «nessun problema della Capitale è stato risolto e rimangono solo disastri e promesse non mantenute. Enrico Michetti è la persona giusta e siamo certi che avrà la fiducia dei romani». Il tutto, mentre il livello dei mucchi di immondizia che lastricano le strade romane non accenna a diminuire e prosegue la guerra di trincea tra la sindaca e il governatore del Lazio Nicola Zingaretti. Quest'ultimo, infatti, ha preannunciato l'ennesimo round della battaglia a colpi di carte bollate, ordinanze e ricorsi al Tar su a chi spetti la responsabilità di individuare i siti per i nuovi impianti, minacciando il commissariamento del Comune per «manifesta incapacità». In attesa della replica di un Campidoglio sempre più azzoppato, i carichi di rifiuti continuano a prendere la via degli impianti extraurbani o esteri, con costi che al danno delle strade invase dalla «monnezza» aggiungono per i romani la beffa di una tassa sullo smaltimento tra le più alte d'Italia.