2019-09-18
Conte e Colle gabbati dall’ex premier. E adesso non possono più fermarlo
L'avvocato protesta: «Perplessità sugli equilibri, andava detto prima di fare il governo». Anche Sergio Mattarella dissente, però nessuno chiederà verifiche in Parlamento: gli scissionisti possono far saltare l'esecutivo. Se Palazzo Chigi parla, qualcuno al Quirinale ha già sussurrato. E soprattutto, se Palazzo Chigi soffre, qualcuno al Quirinale ha già accusato il colpo. Inutile girarci intorno: visto il cordone ombelicale che lega il Conte bis al Capo dello Stato, il grido di dolore diffuso ieri dal presidente del Consiglio è sembrato assolutamente sintonico con il Colle e - a dir poco - autorizzato, forse solo con un paio di riserve che vedremo più avanti. Procediamo con ordine: a fine mattina di ieri, la macchina comunicativa che fa capo a Rocco Casalino ha fatto circolare una nota, a partire dalla telefonata della sera prima tra Matteo Renzi e il premier: «Il presidente Conte, nel corso della telefonata, ha chiarito di non voler entrare nelle dinamiche interne a un partito. Ha però espresso le proprie perplessità su un'iniziativa che introduce negli equilibri parlamentari elementi di novità, non anticipati al momento della formazione del governo. A tacer del merito dell'iniziativa, infatti, rimane singolare la scelta dei tempi di quest'operazione, annunciata subito dopo il completamento della squadra di governo». Riprende la nota: «Se portata a compimento prima della nascita del nuovo esecutivo, quest'operazione, niente affatto trascurabile, avrebbe assicurato un percorso ben più lineare e trasparente alla formazione del governo. Il presidente incaricato avrebbe potuto disporre di un quadro di riferimento più completo per valutare la sostenibilità e la percorribilità del nuovo progetto di governo». Insomma, siamo in presenza di un Conte perplesso che fa sapere a Renzi: «Era meglio se me lo dicevi prima». E qui scatta il primo elemento di analisi (e di sconcerto) da parte di molti osservatori. Ma davvero Conte (e altri, su un altro e più alto Colle) si erano fidati di Renzi? Possibile che non avessero capito il trappolone? Che altro doveva fare Renzi per insospettirli? Prima ha spinto in modo decisivo per buttare Nicola Zingaretti tra le braccia di Luigi Di Maio; poi - da un paio di settimane - ha convocato la sua Leopolda per metà ottobre, prefigurandola come un momento di radicale svolta; poi - da giorni - ha alimentato retroscena preannunciando la sua scissione, ben prima dell'annuncio di ieri mattina; e per sovrammercato ha lasciato ovunque sue quinte colonne (nel partito, ancora zeppo di renziani; nel governo; e perfino nei gruppi parlamentari, con il clamoroso caso del Senato, dove il povero Zingaretti non sembra nemmeno in grado di liberarsi del capogruppo turborenziano Andrea Marcucci). Un accerchiamento bello e buono, con gli accerchiati che - politicamente sordi e ciechi - hanno masochisticamente collaborato su tutto. Ma davvero a Palazzo Chigi (e lo ripetiamo: anche altrove) avevano bisogno di qualcuno che spiegasse loro la propensione di Renzi alle pugnalate stile House of cards (anzi, si potrebbe perfidamente dire House of three cards)?E qui scatta la seconda osservazione, in termini di prassi costituzionale e parlamentare. Per molto meno di un'operazione del genere, cioè per l'arrivo formale di un quarto partner della maggioranza di governo, in altra epoca sarebbe stata necessaria una verifica parlamentare, con tanto di dibattito e nuova fiducia. Diciamolo chiaramente: il M5s, in modo formale ed esplicito, accetta il partitino renziano come compagno di cordata? Per il momento, Beppe Grillo si è limitato a un'invettiva furbesca sul blog, accomunando Renzi e Matteo Salvini: « I Mattei sono passati entrambi alla minchiata d'impulso, il Paese è instabile e pieno di rancori, non è il momento di dare seguito a dei narcisismi». Ma - blog a parte - davvero Di Maio potrà accettare di fare foto insieme a Renzi, di condividere vertici politici, di sedersi fianco a fianco con il partitino renziano come se nulla fosse? Ecco perché da ieri molti osservatori chiedono che Colle e Palazzo Chigi non si limitino ai sospiri di sofferenza, ma promuovano un momento ufficiale di verifica parlamentare. Restano solo due riserve, come si accennava all'inizio. La prima è che il Quirinale ha per ora scelto di non esporsi: ha mandato avanti Conte. La seconda - ben più pesante - è che in realtà gli attori di questa pièce teatrale possano fare ben poco, essendo tutti legati - geopoliticamente - a uno stesso circuito internazionale, quello che ha oggi in Emmanuel Macron (a Roma proprio nella giornata odierna) il suo campione. A Macron è legato il renziano Sandro Gozi; al gruppo di Macron all'Europarlamento potrebbero approdare i deputati europei renziani; alla Francia sono direttamente o indirettamente legati molti interessi (dalla difesa alle banche, passando per l'agroalimentare: per citare solo tre dei settori in cui la Francia vuole fare shopping in Italia). Senza dire che molti, nel triangolo Bruxelles-Parigi-Berlino, non avevano solo l'obiettivo di estromettere Salvini dal governo, ma pure quello di transennare i grillini. Il contrappeso renziano nel palazzo è parte di questa operazione, e Renzi avrà gioco facile a ricordarlo a tutti. E oggi a Roma potrebbe farlo direttamente - in lingua francese - quello che l'uomo della Leopolda considera il suo riferimento politico.
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