2021-05-17
«Il “contagio sociale” dilagante confonde le idee anche ai genitori»
La docente esperta di bioetica, Assunta Morresi: «Il percorso di transizione viene avviato sempre prima, anche a 12 anni. È un errore separare la crescita intellettuale da quella fisica. Il fenomeno interessa soprattutto le ragazze».I disturbi dell'identità di genere hanno cause incerte in cui si mescolano radici mediche e psicosociali, la cui persistenza al termine dell'adolescenza oscilla tra il 12 e il 27%, con diversità molto accentuate tra maschi e femmine. Vuol dire che, su 10 preadolescenti cui viene diagnosticata la disforia di genere, 7-8 risolveranno il disturbo al termine dell'età dello sviluppo. È quanto emerge da uno studio realizzato dall'associazione Scienza & vita e dal Centro studi Livatino. Si tratta comunque di una diagnosi difficile e spesso controversa. «È difficile dire quante sono le richieste di cambiamento di genere perché non ci sono registri nazionali o anagrafi. L'autorizzazione al cambio di genere anagrafico, cioè nei documenti di identità, passa attraverso i tribunali mentre per i trattamenti ormonali è il medico a decidere. Sappiamo che il fenomeno è in aumento enorme nei Paesi del Nord Europa ed è più diffuso tra le ragazze»: lo dice Assunta Morresi, docente di chimica e fisica all'università di Perugia, membro del Comitato nazionale per la bioetica e presidente del Movimento per la vita dell'Umbria. Come s'inizia il percorso del cambio di genere?«Può essere avviato anche intorno ai 12 anni quando si comincia a somministrare il farmaco che blocca la pubertà, quindi il ciclo mestruale nelle ragazze e la crescita dei caratteri sessuali secondari nei maschi. Viene prescritto quando c'è una confusione rispetto al genere di nascita e per dare tempo ai ragazzi, che non si sentono adeguati nel loro corpo, di capire che cosa sta accadendo loro. I bloccanti si usano per 3-4 anni. A 16 anni si possono dare gli ormoni per iniziare una transizione. A 18 anni si può passare all'intervento chirurgico». Durante il blocco della pubertà, davvero un giovane può risolvere i dubbi sul proprio genere?«Più del 99% dei ragazzini che hanno cominciato questo trattamento prosegue, quindi quel tempo non serve per pensare. Inoltre i bloccanti, che in teoria sarebbero reversibili, in realtà non lo sono. Mentre il corpo è bloccato, continua lo sviluppo cognitivo. In quel periodo i ragazzi si vedono ancora più diversi dai loro coetanei, ad esempio dalle ragazze a cui cresce il seno e dai ragazzi che cambiano fisicamente. Si crea un disallineamento tra sviluppo fisico e mentale. In questo periodo i ragazzi così trattati manifestano problemi di ansia e depressione, molti mostrano un disturbo dello spettro autistico, e non si sa se la disforia di genere sia la causa o l'effetto. I dati dimostrano che il blocco della pubertà è una introduzione alla transizione di genere». Si parla molto di tendenza al suicidio per chi è affetto da disforia di genere. Ed è uno dei motivi per cui si ricorre all'intervento farmacologico anche con gli ormoni. Cosa ne pensa?«In età adolescenziale può succedere di avere atteggiamenti di questo tipo, specie in soggetti fragili esposti a situazioni difficili. Non ci sono dati per dire che la mancanza di transizione di genere causa più suicidi. Sappiamo però che i detransitioner, cioè coloro che si sono pentiti di aver cambiato genere e cercano di tornare indietro, sono in aumento. Hanno addirittura promosso un convegno a Manchester, nel novembre 2019, in cui hanno reso pubblica la loro drammatica esperienza denunciando la pericolosità e l'inadeguatezza dei trattamenti subiti». Come può un ragazzo di 12-15 anni essere consapevole di quello a cui va incontro con la terapia ormonale?«Infatti a mio avviso non lo è. A quell'età non si è consapevoli di ciò che può significare l'infertilità a cui è destinato chi affronta una transizione di genere».E la famiglia, i genitori?«Si trovano nella morsa di un figlio che vedono confuso e in difficoltà, e talvolta di esperti che suggeriscono che il trattamento elimina il rischio di tendenze suicide». Quanto pesano i movimenti ideologici e i modelli proposti da opinion leader o da personaggi famosi?«C'è stato un tale aumento delle diagnosi di disforia di genere che non si può attribuire solo alla maggiore consapevolezza scientifica nella diagnosi. Alcuni studiosi hanno parlato di “contagio sociale", un'espressione che rende bene l'idea. Ci possono essere fenomeni di imitazione o di suggestione. Spesso la confusione di identità tipica del passaggio dall'infanzia all'adolescenza è interpretata come disforia mentre è un disagio destinato a risolversi in breve tempo. Oggi basta che una bambina prenda per mano un'amica e subito si tende a pensare che possa avere tendenze lesbiche, o comunque sia confusa. Ma a quella età le manifestazioni di amicizia verso il proprio sesso non c'entrano nulla con l'orientamento sessuale o con l'identità di genere».Ma dopo il cambio di genere, questi giovani sono più felici?«È tutto da dimostrare. Stando all'aumento dei pentiti della transizione, non sembra».
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