2019-12-04
Consumi fermi, è guerra tra i supermercati
L'Istat rileva un deciso calo dell'indice del clima di fiducia dei consumatori. Un settore che si salva è l'alimentare, ma la redditività di molte società della grande distribuzione organizzata si è fortemente contratta in questi anni. Anche a causa delle vendite online.Volatilizzato il fantasma dell'aumento dell'Iva sembrava che i consumi si fossero ripresi, ma gli esperti delle organizzazioni sindacali degli esercenti (Confcommercio, Confesercenti), oltre che diversi centri di ricerca, come l'autorevole Nielsen, e la stessa Mediobanca, con rapporti approfonditi su tutti i rami della distribuzione, concordano sul fatto che in realtà i consumi sono sostanzialmente fermi, quando non arretrano. Qualche segnale positivo si va però manifestando ma solo sull'alimentare. E, intanto, la fiducia dei consumatori nell'economia non è aumentata, come sperava il governo. L'onorevole Renato Brunetta ha commentato: «Se il governo giallorosso si attendeva un cambiamento delle aspettative delle famiglie, si è sbagliato di grosso». L'Istat ha infatti rilevato che «a novembre si stima un deciso calo dell'indice del clima di fiducia dei consumatori (da 111,5 a 108,5 )». Non mancano, tuttavia le note ottimistiche. A esempio, la Nielsen segnala un aumento dell'1,6 per cento di incremento per il consumo di cibi e prodotti per la casa: non è molto, ma - secondo l'azienda di analisi e dati - «l'alimentare torna a trainare la crescita dei fatturati della distribuzione». È un giudizio, per la verità, ottimistico che non si concilia con quelli fortemente critici delle associazioni di categoria, che denunciano la continua chiusura di negozi, soprattutto nelle città superiori ai 50.000 abitanti. Nel recente rapporto di Mediobanca si afferma che la redditività di quasi tutte le società della Gdo (grande distribuzione organizzata) si è fortemente contratta negli ultimi anni: «I dati restituiscono l'immagine di un'industria che mostra segni di saturazione abbinando la crescita delle vendite a rendimenti operativi calanti». Complessivamente i consumi delle famiglie (dati Istat) sono stati, nel 2018, 1.077.911 prodotti (aumentati rispetto al 2017 di appena l'1,7, di cui 161.636 alimentari). Questo fenomeno ha comportato un ripensamento dei progetti di ampliamento degli ipermercati, ritenuti ormai in gran parte superati (i famosi non luoghi di cui hanno parlato da tempo diversi sociologi). Infatti, una recente indagine della Fisascat- Cisl ha confermato questo dato, osservando che, soprattutto nei centri metropolitani, vanno sempre più prendendo piede i piccoli supermercati di quartiere (300-500 metri quadrati). Ma, fanno osservare gli esercenti sopravvissuti, questi maxicentri di vendita «sotto casa» hanno contribuito negli ultimi due-tre anni a far chiudere le botteghe di alimentari, comprese quelle storiche: molte hanno cercato di riciclarsi, allargando la loro attività ai «cibi pronti» da portar via, mentre i più hanno chiuso i battenti. Senza tener conto delle migliaia di piccoli supermarket (senza licenza e soprattutto quasi sempre senza controlli pubblici), gestiti da immigrati africani, che comunque hanno contribuito alle chiusure dei nostri negozi.Gli esercenti «in regola» con le leggi e le ordinanze amministrative hanno contribuito ad arricchire il settore del food & grocery, che ha registrato negli ultimi dodici mesi un incremento di ben sette volte rispetto allo scorso anno. Questo significa che ben nove milioni di italiani hanno comprato online prodotti alimentari e bevande, con il 72% degli ordini con consegna di pasti a domicilio. La Nielsen fa notare che il settore dell'e-commercio ha registrato un incremento di appena l'1,6 %, registrando uno sviluppo del 27,7% nei primi dieci mesi di quest'anno. Ricordiamo a questo proposito che il mercato dell'e-commercio alimentare nel mondo equivale a ben 58 miliardi di euro, di cui 14,9 miliardi in Europa e 1, 6 miliardi di euro in Italia. Non siamo ancora ai primissimi posti, ma ci stiamo arrivando con una velocità sorprendente. Infatti, in Europa sono più di 167 milioni i clienti dei «cibi pronti» da inviare a domicilio; nel Regno Unito sono 19 milioni, in Germania 18 milioni, 13, 5 milioni in Francia, 10 milioni in Spagna e in Italia, come si è detto, siamo alla ragguardevole cifra di 9 milioni. I cambiamenti sono però recenti e coinvolgono tutti i settori dell'online (anche l'abbigliamento, dove si stanno sperimentando forme fantasiose e attrattive di vendita). Sembra però che gli italiani abbiano largamente superato le tradizionali diffidenze per gli acquisti in rete con l'utilizzo delle carte di credito. Infatti, per citare un esempio, l'incremento degli ordini nel settore alimentare ha superato il 42%, rispetto al 2018: un ritmo più sostenuto rispetto alla globalità delle vendite online (più 15 per cento). Quello del food delivery è considerato in forte crescita, considerando che ormai il 93 % delle città italiane, superiori ai 50.000 abitanti, è coperta da operatori che si occupano di consegne a domicilio (era solo il 74% nel 2017). Oggi un abitante su due (47%) può ordinare online piatti pronti, mentre nel 2017 poteva utilizzare questo servizio appena un terzo della popolazione. Nel campo dei supermercati vi è però ora molta preoccupazione. La coperta diventa sempre più stretta, almeno rispetto agli anni scorsi. Il rapporto Mediobanca ci fornisce un quadro di sintesi. Eccolo : Supermarkets Italiani (che possiede le insegne Esselunga e che fa parte della famiglia Caprotti) ha il primato degli utili netti cumulati negli anni 2013-2017: con 1.245 milioni precede Conad (872 milioni), Eurospin (817 milioni), Selex (618), Lidl (398) e Vegè (320). Vanno molto bene i discount. Ad esempio, il gruppo Lillo-Md ha accumulato utili pari a 2,6 volte il patrimonio netto iniziale, Eurospin e Lidl pari a 1, 6 volte. Le altre società hanno multipli inferiori all'unità. Non siamo certo ancora arrivati alla crisi vera e propria, ma la «saturazione del mercato» potrebbe generare situazione preagoniche e pericolose per molte catene di distribuzione. Già oggi molti supermercati chiudono o sono a rischio, cercano alleanze e aggregazioni, altri trasferiscono in rete una serie di prodotti, sviluppano nuovi settori (compresi quelli dei cibi pronti); nuovi prodotti per nuove tipologie di consumatori, come quelli green per la cura della casa e della persona, quelli con meno plastica, ecc. Il mercato è in una fase di profonde trasformazioni e si va sempre più caratterizzando come quello classico dell'economia di mercato: il pesce grande che ingoia quello piccolo, con gli accorpamenti che ormai conosciamo. Come è già avvenuto in passato e anche di recente con Conad, che ha assorbito i punti vendita Auchan retail. Questa volta però vi è stato un ostacolo non previsto. Infatti, l'Autorità garante della concorrenza (l'Agcom) ha contestato 147 sovrapposizioni in Italia, perché in alcune aree del Paese si attestano al di sopra del 50 %, vista la presenza capillare di Conad e degli altri punti di vendita acquisiti (Auchan, Sma e Ipersimply). Conad in tutta fretta sta cercando in queste settimane di vendere a società di fornitori una buona parte dei punti vendita per garantire la «libera concorrenza», come richiesto dall'Agcom. I supermercati ex Auchan rinasceranno quindi con insegne diverse. Non è certo però che riusciranno a sopravvivere vista la concorrenza che dovranno sostenere con il gigante Conad, che, in diverse province, si va sempre più alleando - per fronteggiare più efficacemente la concorrenza - con l'antico amico-nemico Coop . Entrambe le società (Coop e Conad), com'è noto, sono figli della stessa madre (Lega nazionale delle cooperative), ma con gli anni si è accentuata la concorrenza, oltre all'accumularsi di invidie e lotte interne delle lobby della sinistra che hanno storicamente controllato il mondo della cooperazione.