La Corte costituzionale ha giudicato legittimo il limite di 180 giorni imposto dalla Val d’Aosta a chi loca anche solo una stanza della sua prima casa. È l’ennesimo attacco alla proprietà, fra immobili green e i paletti a cui lavora il ministero del Turismo.
La Corte costituzionale ha giudicato legittimo il limite di 180 giorni imposto dalla Val d’Aosta a chi loca anche solo una stanza della sua prima casa. È l’ennesimo attacco alla proprietà, fra immobili green e i paletti a cui lavora il ministero del Turismo.Attenzione: la Valle d’Aosta può fare scuola sul tema bollente degli affitti brevi. Un tema che, come più volte abbiamo scritto su queste colonne, tocca questioni politiche, interessi di parte, mondo del turismo alberghiero e infine - aspetto più importante - la libertà personale del cittadino. E quindi, in altre parole, il concetto stesso di proprietà privata.Così, sulla limitazione di utilizzo della propria casa nel business degli affitti brevi (Airbnb compreso) prova a mettere il cappello, o dovremmo dire a metterci una cappa, la Corte costituzionale. Ieri la Consulta ha definito legittima la decisione della Regione autonoma di imporre un limite temporale. «Non è incostituzionale la previsione regionale di un periodo massimo di durata», scrive la Corte, «dell’attività di locazione della prima casa nella parte in cui fissa in 180 giorni la durata massima dell’attività di locazione degli alloggi a uso turistico costituiti da “camere arredate ubicate in unità abitative rientranti nella categoria di destinazione d’uso ad abitazione permanente o principale” (prima casa). [Il testo] non concerne la disciplina della durata dei contratti di locazione turistica breve e, quindi, non incide sulla materia dell’ordinamento civile riservata al legislatore statale». Tecnicismi a parte, da oggi chi vive in Valle d’Aosta non potrà sdoppiare la propria casa affittando un piano o una sola camera per più di sei mesi all’anno, altrimenti si ritroverà fiscalmente a vivere in una seconda casa con tutto ciò che ne consegue dal punto di vista degli oneri e delle imposte. Non si tratta di punire i furbetti che dichiaravano di vivere in un luogo e poi di fatto erano residenti altrove. Qui, come detto sopra, c’è in ballo la libertà di guadagnare sul mattone di proprietà. La Consulta ieri ha deciso di bocciare nel merito il ricorso che lo scorso anno il governo, per mano del titolare degli Affari regionali, Roberto Calderoli, aveva opposto all’intromissione del Consiglio regionale. Così facendo fa cadere però una pietra sulla scelta di migliaia di famiglie di mettere a reddito la propria casa, pagando le tasse e sfruttando le opportunità delle piattaforme digitali e del turismo stagionale. La bocciatura di ieri si aggiunge alle polemiche spinte di solito dalle associazioni degli albergatori e dai sindaci di sinistra che a loro volta cavalcano una filosofia targata Bruxelles. La ricchezza degli italiani, tanto celebrata in Italia quanto stigmatizzata all’estero, è in gran parte illiquida e concentrata sul mattone. Intere generazioni sono state spinte a investire nell’immobiliare. Adesso il trend è diventato un tabù. La normativa sulle case green ne è la sintesi e il termometro perfetto. Dietro la patina della transizione ecologica si nasconde un chiaro tentativo di modificare la società tradizionale italiana e di rendere la casa da un lato un costo eccessivo e dall’altro un asset da far confluire in fondi o grandi strutture con il chiaro intento (da parte della politica comunitaria) di raccogliere maggiore gettito. Per arrivare a tali obiettivi - e non può non essere una coincidenza - si punta ad azzerare le possibilità di rendita. Ecco che il battage contro gli affitti brevi non nasce dal nulla. Ha un intento e un obiettivo. Così come la Regione Valle d’Aosta punta a incassare più soldi da chi affitta nella speranza che si sfori il limite dei 180 giorni. Ovviamente chi legifera omette il dettaglio dell’evasione e della curva di Laffer. Più si alzano le imposte e gli oneri burocratici più c’è da attendersi il ricorso al nero. Chiaramente chi sta su piattaforme come Airbnb non potrà fare il furbo (recentemente è stato chiuso l’accordo dopo un contenzioso da quasi 800 milioni per rendere la società della Silicon Valley un sostituto d’imposta), ma il passa parola non transita da Internet e su questo c’è da scommettere che esploderà l’illecito. L’ideologia ha anche questi effetti collaterali. Oltre a quello di creare consenso in una parte della popolazione. Che più facilmente sosterrà nuovi interventi o decreti punitivi. Non possiamo dimenticare che il ministero del Turismo, guidato da Daniela Santanchè, ha avviato un percorso di legge per aggiungere agli attuali vincoli ulteriori balzelli. Il tentativo di blitz dello scorso anno è stato stoppato dalle polemiche e ha partorito solo l’aggravio di un 5% nel calcolo della cedolare secca per la messa a reddito della seconda casa affittata. È presto ancora per trarre le conclusioni e per valutare con certezza gli effetti della sentenza della Consulta. Ma non ci sbagliamo se diciamo che è un’ulteriore picconata alla proprietà privata. Il dovere di chi osserva è porre domande. E qui la domanda legittima è una: siamo sicuri di voler rendere la casa un bene di lusso, difficile o impossibile da mantenere?
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