La Corte: se alle Regioni occorrono soldi per contribuire al bilancio pubblico, non devono tagliare per prime le spese per gli ospedali. Il diritto alla salute è intoccabile? Allora si vada alla radice del problema: i «vincoli» Ue, citati dai giudici, ci obbligano alle sforbiciate.L’Europa ci ordina di ridurre le spese? D’accordo: ma guai a partire dalla sanità. Lo stabilisce una sentenza della Corte costituzionale, investita da un ricorso della Regione Campania contro la legge di bilancio 2024. La norma contestata chiedeva alle amministrazioni locali un contributo alla finanza pubblica di 350 milioni di euro l’anno, fino al 2028. E non escludeva, se necessarie per adempiere all’obbligo, sforbiciate al finanziamento delle politiche sociali e familiari e di tutela della salute. Un provvedimento che la Consulta ha dichiarato incompatibile con la Carta fondamentale della Repubblica. Tre considerazioni. Uno: i giudici hanno di certo toccato un punto cruciale, fissando un paletto che, nelle intenzioni, dovrebbe garantire maggiore protezione al benessere dei cittadini. Due: è comunque curiosa la coincidenza di una pronuncia che spunta adesso, mentre infuria la polemica - infondata - sugli inesistenti tagli del governo Meloni al Servizio sanitario nazionale. È vero: c’era da esprimersi sul ricorso della Campania e ci sono stati altri verdetti che censuravano le potature indiscriminate. Ma sono arrivati a babbo morto, dopo anni di feroci cure dimagranti, imposte in particolare dai tecnici e da esecutivi di sinistra. Decisioni che hanno inguaiato parecchie Regioni. Misera consolazione, scoprire a posteriori che, forse, quei colpi d’accetta erano illegittimi. Terzo: va bene ergersi a paladini dei malati, ma gli spazi di autonomia del legislatore si stanno erodendo fino all’osso. Scegliere se e cosa tagliare è una questione politica oppure costituzionale? E se la Consulta rivendica il compito di definire la gerarchia dei diritti intangibili, perché non va alla radice del problema? Ovvero, l’Europa? La Corte, in realtà, ha salvato molti punti della legge di bilancio contro i quali si era mossa la Regione di Vincenzo De Luca. Ad esempio, ne ha riconosciuto i «caratteri di forte novità rispetto alle precedenti manovre di contenimento della spesa regionale», sottolineando «la volontà di non far gravare il contributo alla finanza pubblica» richiesto agli enti sui fondi destinati a diritti sociali, famiglie e salute. Tuttavia, il collegio ha sancito che, «in un contesto di risorse scarse, per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro unitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il “fondamentale” diritto alla salute di cui all’articolo 32 della Costituzione, che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket». La Consulta, nel dispositivo, ha riaffermato i principi della sua «giurisprudenza»: bacchettando «una prassi legislativa troppo incline a effettuare pesanti “tagli lineari”», nel 2018 essa introdusse «la nozione di “spesa costituzionalmente necessaria”», ripresa da sentenze del 2019 e del 2021. Eppure, lo sfoltimento a metri cubi è stato ugualmente il motore delle finanziarie che, fino alla pandemia, hanno fatto carne di porco del Ssn.Sarebbe sufficiente prendere i dati della Fondazione Gimbe. Da Mario Monti, passando per Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, per giungere ai due governi di Giuseppe Conte, tra tagli diretti e mancati stanziamenti, la sanità italiana ha avuto un ammanco di quasi 37 miliardi in sette anni, dal 2012 al 2019. Nella fretta di tamponare i buchi, veniva più facile impugnare le cesoie per depauperare i settori nei quali gli esborsi erano, per ragioni strutturali, più consistenti: la salute e le pensioni. La spending review scientifica, cesellata passando in rassegna rami e rametti del bilancio statale, è stata uno specchietto per le allodole. Una carotina da agitare davanti al muso dei contribuenti, abbindolati dalla prospettiva di un sacrificio presente per un guadagno futuro.Dopodiché, nel bene e nel male, la politica esiste per indicare una direzione. Per una Costituzione che piazza all’articolo 1 il diritto al lavoro e al 32 il diritto alla salute, i tagli o i mancati adeguamenti dei salari sono più accettabili di quelli agli ospedali?Se i giudici hanno la seria intenzione di sindacare la conformità degli atti politici con il rispetto dei diritti fondamentali, siano coerenti con loro stessi. È nella sentenza che hanno appena pubblicato, infatti, che si parla di «esigenze di contenimento della spesa dettate anche da vincoli euro unitari». Appunto: come mai ci troviamo sempre «in un contesto di risorse scarse»? L’Ue c’entrerà qualcosa? Se il diritto alla salute è un diritto fondamentale, esso va difeso solo dalle leggi di bilancio? O anche dai suddetti «vincoli», cioè dai diktat dell’Europa e dal Patto di stabilità? Troppo facile stabilire che, prima di tagliare la sanità, si debba agire su altre «spese indistinte». E se poi quel risparmio non bastasse? I diritti fondamentali dei pazienti ce li potremmo rimettere sotto alle scarpe, pur di ottemperare agli impegni con Bruxelles? Non sarà il caso, prima o poi, di dire una parola sull’impatto di quei «vincoli» sulla Costituzione, anziché professare una fede incrollabile nel dogma del primato del diritto europeo?
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