2019-12-20
Congelata la licenza Usa a Leonardo. Verifiche sugli elicotteri e la Cina
Dopo la visita di Pompeo, il dipartimento di Stato stoppa la possibilità di operare con Boeing sui velivoli per le forze speciali. Mira ad escludere passaggi di tecnologia verso Pechino. Messaggio politico per Giuseppe Conte.Dura relazione del comitato parlamentare per la sicurezza: «Riteniamo fondate le preoccupazioni per l'ingresso cinese nelle attività del 5 G e nelle relative reti».Lo speciale contiene due articoliI primi di ottobre Mike Pompeo, segretario di Stato a stelle e strisce, atterra a Roma. Trascorre tre giorni nella capitale, incontra Sergio Mattarella, i vertici del governo, fa un salto in Vaticano e il quarto giorno si reca pure in Abruzzo, terra d'origine della sua famiglia. Una delle serate è dedicata alla cena di gala: rappresentanti dell'Ambasciata e delle grandi aziende tricolore comprese quelle della Difesa. Si discute di tanti temi. Dal futuro dell'Italia, al posizionamento di Roma dentro l'Ue, dentro la Nato e fuori la Nato. Soprattutto verso la Cina. Temi caldi 5G e cybersecurity. A distanza di qualche giorno il Dipartimento della Difesa Usa prende una decisione delicatissima. Decide di mettere in freezer e congelare la licenza di Leonardo per la commercializzazione degli elicotteri made by Boeing, chiamati in gergo tecnico Chinook 47 Er. La sigla sta per Extentend range. Per i non addetti ai lavori sono gli elicotteri che usano varie forze speciali in giro per il mondo. Gli stessi che la nostra Difesa aveva messo a budget per 500 milioni e poi sospeso alal fine del 2018. L'eventuale acquisto dei quattro velivoli prevederebbe l'attività congiunta - sebbene a Filadelfia - di Boeing e Leonardo. Ora il dipartimento Usa ha sospeso questa possibilità e di fatto inibito all'azienda guidata da Alessandro Profumo di partecipare a quella super tecnologia. Le motivazioni sono altrettanto delicate come la scelta. Gli Usa avrebbero deciso di fare verifiche e accertare che non ci sia alcuna contaminazione tecnologia veros Pechino. La partecipazione congiunta con Boeing tocca anche lo stabilimento di Pomigliano dove da anni c'è una linea dedicata al velivolo civile Dreamliner e dove in futuro Leonardo e i cinesi dovrebbero assemblare il Comac, un altro aereo passeggeri. Il tema più spinoso su cui gli Usa hanno acceso un faro riguarda però le attività di Piazza Montegrappa in Turchia dove da tempo c'è una stretta parternship relativa ai mezzi ad ala rotante. Le verifiche servirebbero ad escludere che sul suolo turco non possa esserci alcuna contaminazione a favore anche indiretto di Pechino. La mossa Usa contro Leonardo ha però un sapere fortemente politico. Non solo perché arriva all'indomani della visita di Pompeo a Roma, ma anche perché serve a far sapere al governo giallorosso che qualunque avvicinamento alla Cina si muove seocndo il principio dei vasi comunicanti. Un accordo con la Cina sembrano dire gli usa porterà a una riduzione delle relazioni con gli Usa. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, i suoi sottoposti, il premier e chi rappresenta il Quirinale, non potranno dire di non essere stati avvisati. Se la Casaleggio & c, Beppe Grillo e Luigi Di Maio dovessero prendere decisioni - anche in autonomia - a favore del 5G o peggio per attività border line rispetto alla Nato, saranno tenuti a fare i conti con le conseguenze di là dall'Atlantico. La scelta di congelare la licenza richiama anche l'attenzione a quelle che saranno le scelte dell'industria della Difesa nel post Brexit. I nostri mercati diretti sono nell'ordine Uk, Usa e Polonia. Potremo cercare di crescere in Germania e bilanciare lo strapotere francese e continueremo ad avere il sostegno di Donald Trump. Seguire le sirene cinesi non sembra essere concesso. Il Dod, dipartimento della Difesa, non scherza. Come è il detto? Uomo avvisato...<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/congelata-la-licenza-usa-a-leonardo-verifiche-sugli-elicotteri-e-la-cina-2641657189.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="il-copasir-vuole-bandire-huawei" data-post-id="2641657189" data-published-at="1763779158" data-use-pagination="False"> Il Copasir vuole bandire Huawei Huawei building in Shenzhen Ansa Il Copasir vorrebbe mettere fuori dai giochi la cinese Huawei dalla tecnologia 5 G in Italia. È una relazione durissima quella sulla cybersecurity depositata l'11 dicembre scorso dal comitato parlamentare per la sorveglianza sui nostri servizi segreti. Le 28 pagine di relazione sono frutto di un'indagine iniziata nel dicembre del 2018 con l'audizione dei nostri direttori dell'agenzie Aisi e Aise, nonché esponenti del mondo della Difesa, come dei principali gruppi di telecomunicazioni di rete mobile nel nostro Paese, tra cui Telecom Italia, Wind Tre, Vodafone Italia, Telsy, Huawei Italia, Fastweb ed Ericsson. Queste sono le conclusioni. A pagina 17 i membri di Palazzo San Macuto avvertono i presidenti di Camera e Senato, perché «sulla base di tali elementi informativi, il Comitato non può pertanto che ritenere in gran parte fondate le preoccupazioni circa l'ingresso delle aziende cinesi nelle attività di installazione, configurazione e mantenimento delle infrastrutture delle reti 5 G. Conseguentemente, oltre a ritenere necessario un innalzamento degli standard di sicurezza idonei per accedere alla implementazione di tali infrastrutture, rileva che si dovrebbe valutare anche l'ipotesi, ove necessario per tutelare la sicurezza nazionale, di escludere le predette aziende dalla attività di fornitura di tecnologia per le reti 5G». Del resto, la relazione «sottolinea i potenziali scenari di rischio connessi alla implementazione delle nuove reti, come la maggiore esposizione agli attacchi e aumento del numero dei potenziali punti di accesso per gli autori di tali attacchi». La storia è nota da tempo. Sono stati gli Usa i primi, nel maggio del 2019, a disporre per motivi di sicurezza nazionale il divieto per Huawei di acquistare tecnologia statunitense se non previa autorizzazione, nonché di vendere e installare le proprie infrastrutture sul territorio americano. Questa «linea di restrizione», ricordano i relatori, «è stata anche adottata da Australia, Nuova Zelanda e Giappone, mentre la maggior parte dei Paesi europei finora ha scelto di rafforzare le misure di sicurezza cibernetica senza imporre limitazioni alla presenza di tali soggetti)». Il Copasir aggiunge anche qualche dettaglio ulteriore. E se la prende con Huawei, lanciata 32 anni fa dall'ex militare del Partito comunista cinese Ren Zhengfei. L'azienda, sostiene il comitato sui servizi, «ha notevolmente potenziato la sua presenza commerciale nel nostro Paese, ed oggi è uno degli attori fondamentali per la realizzazione della rete 5 G. Contrariamente a quanto avviene per le imprese occidentali, le aziende cinesi, pur formalmente indipendenti dal potere governativo, sono tuttavia indirettamente collegate alle istituzioni del loro Paese, anche in virtù di alcune norme della legislazione interna». Il Copasir fa un esempio, parlando di un attacco del 2009, quando tramite l'installazione di backdoor su cellulari forniti da Huawei a Vodafone Italia, ci sarebbero stati accessi non autorizzati «all'infrastruttura e quindi alle informazioni veicolate». Proprio nel corso dell'audizione i rappresentanti di Vodafone Italia hanno precisato che le backdoor, «avevano in effetti fatto registrare alcune vulnerabilità». E ancora: «I tecnici dell'azienda sono riusciti a porre rimedio al problema, prima che potessero determinarsi rischi per i dati e le informazioni transitate sui sistemi». Secondo Huawei Italia, l'importanza della vicenda è stata «eccessivamente enfatizzata» dai mezzi di informazione, non essendosi in realtà trattato di una backdoor, ma di una procedura ordinariamente utilizzata per consentire gli interventi da remoto, che era rimasta erroneamente attiva».
Gli abissi del Mar dei Caraibi lo hanno cullato per più di tre secoli, da quell’8 giugno del 1708, quando il galeone spagnolo «San José» sparì tra i flutti in pochi minuti.
Il suo relitto racchiude -secondo la storia e la cronaca- il più prezioso dei tesori in fondo al mare, tanto che negli anni il galeone si è meritato l’appellativo di «Sacro Graal dei relitti». Nel 2015, dopo decenni di ipotesi, leggende e tentativi di localizzazione partiti nel 1981, è stato individuato a circa 16 miglia nautiche (circa 30 km.) dalle coste colombiane di Cartagena ad una profondità di circa 600 metri. Nella sua stiva, oro argento e smeraldi che tre secoli fa il veliero da guerra e da trasporto avrebbe dovuto portare in Patria. Il tesoro, che ha generato una contesa tra Colombia e Spagna, ammonterebbe a svariati miliardi di dollari.
La fine del «San José» si inquadra storicamente durante la guerra di Successione spagnola, che vide fronteggiarsi Francia e Spagna da una parte e Inghilterra, Olanda e Austria dall’altra. Un conflitto per il predominio sul mondo, compreso il Nuovo continente da cui proveniva la ricchezza che aveva fatto della Spagna la più grande delle potenze. Il «San José» faceva parte di quell’Invencible Armada che dominò i mari per secoli, armato con 64 bocche da fuoco per una lunghezza dello scafo di circa 50 metri. Varato nel 1696, nel giugno del 1708 si trovava inquadrato nella «Flotta spagnola del tesoro» a Portobelo, odierna Panama. Dopo il carico di beni preziosi, avrebbe dovuto raggiungere Cuba dove una scorta francese l’attendeva per il viaggio di ritorno in Spagna, passando per Cartagena. Nello stesso periodo la flotta britannica preparò un’incursione nei Caraibi, con 4 navi da guerra al comando dell’ammiraglio Charles Wager. Si appostò alle isole Rosario, un piccolo arcipelago poco distanti dalle coste di Cartagena, coperte dalla penisola di Barù. Gli spagnoli durante le ricognizioni si accorsero della presenza del nemico, tuttavia avevano necessità di salpare dal porto di Cartagena per raggiungere rapidamente L’Avana a causa dell’avvicinarsi della stagione degli uragani. Così il comandante del «San José» José Fernandez de Santillàn decise di levare le ancore la mattina dell’8 giugno. Poco dopo la partenza le navi spagnole furono intercettate dai galeoni della Royal Navy a poca distanza da Barù, dove iniziò l’inseguimento. Il «San José» fu raggiunto dalla «Expedition», la nave ammiraglia dove si trovava il comandante della spedizione Wager. Seguì un cannoneggiamento ravvicinato dove gli inglesi ebbero la meglio sul galeone colmo di merce preziosa. Una cannonata colpì in pieno la santabarbara, la polveriera del galeone spagnolo che si incendiò venendo inghiottito dai flutti in pochi minuti. Solo una dozzina di marinai si salvarono, su un equipaggio di 600 uomini. L’ammiraglio britannico, la cui azione sarà ricordata come l’«Azione di Wager» non fu tuttavia in grado di recuperare il tesoro della nave nemica, che per tre secoli dormirà sul fondo del Mare dei Caraibi .
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