
La Cgil e il Pd con l’inedito abbraccio di Carlo Bonomi spingono per la ratifica del salva-Stati fingendo di ignorare che non si tratta di fondi per gli investimenti. Il Paese finirebbe nella gabbia Ue anche senza chiedere prestiti.Le dichiarazioni che abbiamo ascoltato ieri a proposito della ratifica della riforma del Mes ci lasciano un amletico dubbio: dicono certe cose perché non sanno di cosa parlano o qualcuno sta scientemente lavorando contro gli interessi del nostro Paese? Tertium non datur. Ieri per l’ultima volta, e innumerevoli altre volte a partire dal 2018, abbiamo spiegato che è contrario agli interessi del nostro Paese ratificare un Trattato «per la stabilità» (finanziaria) la cui riforma rafforza la posizione del creditore ed indebolisce quella del debitore, prima ancora che quest’ultimo decida - o più probabilmente sia costretto - di richiedere i prestiti. Ecco perché è da respingere la ratifica in sé, ancor prima dell’eventuale utilizzo dello strumento. È la mera esistenza di uno strumento del genere, che ragiona come una banca che gestisce crediti incagliati, ad essere foriera di potenziali complicazioni, per di più quando la Bce si è dotata in modo strutturale di una capacità di intervento (Tpi) che rende il Mes sostanzialmente superato.Non sono bastate a raffreddare il vano (o interessato) chiacchiericcio sull’argomento le parole della Presidente Giorgia Meloni che dall’Austria ha rimandato i sogni di gloria parlamentare dell’opposizione. «Sul Mes sapete come la penso. Sicuramente penso che sia un errore portarlo in Aula adesso, anche per quelli che sono favorevoli alla ratifica dal trattato». Invece un’inedita compagnia di giro, a partire dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi, passando per il segretario della Cgil Maurizio Landini e terminando con il governatore dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini ha ritenuto opportuno impalcarsi per esprimersi sull’argomento. Con esiti, per usare un eufemismo, infelici. Bonomi ha dichiarato che «Sul Mes non siamo né pro né contro, noi chiediamo di poter utilizzare quelle risorse a favore della crescita del Paese, una crescita economica che diventa anche sociale». Affermando, in via indiretta, che non sa cosa farsene del Mes attuale o riformando. Che è strutturalmente articolato per imporre condizioni pro austerità e per fare macelleria sociale. Per chi avesse dubbi, citofonare Portogallo o Grecia per farsi descrivere rispettivamente le circa 2.000 e 5.000 condizioni che affollano i loro protocolli d’intesa. Poiché Bonomi non può non sapere di cosa parla, dovrebbe sapere che le anzidette finalità potrebbero essere raggiunte solo riscrivendo da capo a piedi il Trattato istitutivo del Mes. Allora dovrebbe essere conseguente e dichiarare che per Confindustria l’attuale riforma è contraria a quegli obiettivi ed invitare i parlamentari a respingerla al mittente.Un Landini ugualmente «lunare» ha dichiarato che «il sindacato da tempi non sospetti ha sempre pensato che se ci sono risorse che l’Europa mette a disposizione per fare investimenti, vanno utilizzate tutte perché ne abbiamo bisogno. Quindi io certe discussioni non le capisco proprio». Ecco anche noi non le capiamo proprio, perché quelle non sono risorse per fare investimenti ma per gestire lo stato comatoso delle finanze pubbliche di qualche Stato membro, mettendolo nelle mani di una istituzione che fa la banca e tratta i debitori di conseguenza, commissariandoli e aggredendo il patrimonio pubblico per soddisfare i creditori. Nel caso della Grecia, le banche tedesche e francesi sono ancora là che ringraziano per lo scampato pericolo. Allora anche Landini sta chiedendo che il Mes faccia altro? O non sa di cosa parla? Ed Elly Schlein, ieri in piazza con lui e l’ex premier Conte? A proposito di Pd, a completare questo fronte neo consociativista, Bonaccini ha dichiarato che «anche durante la pandemia dissi che avrei fatto ricorso al Mes. Io penso che andrebbe utilizzato e mi ha fatto piacere aver sentito Landini dire che il tema è che se ci sono risorse a disposizione per migliorare il sistema sanitario andrebbero prese». Confessiamo che in un primo momento abbiamo dubitato che questa dichiarazione fosse di ieri, perché la linea di credito del Mes per la sanità è scaduta da un pezzo. Anche Bonaccini, anteponendo un enorme «se», si sta schierando per la (vera riforma) del Mes? Perché, delle due, l’una: o non sa che non ci sono risorse a disposizione per la sanità - e ci rifiutiamo di crederlo -, o si sta allineando a Bonomi e, prima ancora, alla Meloni, la quale ha parlato già tempo fa di nuovo ruolo del Mes come fondo per la crescita e gli investimenti; ruolo che, peraltro, viene oggi già rivestito dalla Banca Europea per gli Investimenti. Allora, anche Bonaccini sia conseguente, chieda di cestinare questa riforma e di riscrivere un nuovo Trattato per gli investimenti anche nel settore sanitario. Saremmo perfino disposti a sorvolare sullo scempio che dal 2011 è stato fatto ai danni del Ssn, per obbedire alla stessa austerità che è la linea guida del Mes attuale, mentre il suo partito governava ininterrottamente, salvo una pausa di poco più di un anno. Peccato però che la piazza da cui parlassero fosse contro quegli stessi tagli...Lungi da noi l’ipotesi che tale inedito appiattimento di Confindustria, Cgil e Pd su posizioni sostanzialmente coincidenti sia un «inchino» alla nomenclatura di Bruxelles che, per la prima volta, vede l’Italia con la schiena dritta in difesa dell’interesse nazionale. Con gli inchini si finisce a scogli.
Guerra aperta tra cartelli della droga pakistani, marocchini e albanesi. E i clan cinesi si contendono la prostituzione.
A Prato la Procura guidata da Luca Tescaroli sta fissando su una mappa i gruppi di stranieri che si fronteggiano a colpi di machete, spedizioni punitive, regolamenti di conti e tafferugli. Non sono episodi isolati, ma tasselli di «una più ampia contrapposizione tra gruppi criminali». Su questa cartina geografica i magistrati ieri hanno puntellato un altro caso: pakistani, marocchini e albanesi si sono scontrati in «una vera e propria faida urbana». Che ha prodotto quattro arresti: due marocchini di 22 e 25 anni, un pakistano di 34 e un albanese di 38, accusati di aver partecipato alle spedizioni punitive. E che sembra confermare l’esistenza di due blocchi distinti (uno pakistano e uno composto da marocchini e albanesi) in lotta per il controllo di un pezzo della città, in particolare dei quartieri in cui circolano droga e denaro.
L’aumento dei tassi reali giapponesi azzoppa il meccanismo del «carry trade», la divisa indiana non è più difesa dalla Banca centrale: ignorare l’effetto oscillazioni significa fare metà analisi del proprio portafoglio.
Il rischio di cambio resta il grande convitato di pietra per chi investe fuori dall’euro, mentre l’attenzione è spesso concentrata solo su azioni e bond. Gli ultimi scossoni su yen giapponese e rupia indiana ricordano che la valuta può amplificare o azzerare i rendimenti di fondi ed Etf in valuta estera, trasformando un portafoglio «conservativo» in qualcosa di molto più volatile di quanto l’investitore percepisca.
Per Ursula von der Leyen è «inaccettabile» che gli europei siano i soli a sborsare per il Paese invaso. Perciò rilancia la confisca degli asset russi. Belgio e Ungheria però si oppongono. Così la Commissione pensa al piano B: l’ennesimo prestito, nonostante lo scandalo mazzette.
Per un attimo, Ursula von der Leyen è sembrata illuminata dal buon senso: «È inaccettabile», ha tuonato ieri, di fronte alla plenaria del Parlamento Ue a Strasburgo, pensare che «i contribuenti europei pagheranno da soli il conto» per il «fabbisogno finanziario dell’Ucraina», nel biennio 2026/2027. Ma è stato solo un attimo, appunto. La presidente della Commissione non aveva in mente i famigerati cessi d’oro dei corrotti ucraini, che si sono pappati gli aiuti occidentali. E nemmeno i funzionari lambiti dallo scandalo mazzette (Andrij Yermak), o addirittura coinvolti nell’inchiesta (Rustem Umerov), ai quali Volodymyr Zelensky ha rinnovato lo stesso la fiducia, tanto da mandarli a negoziare con gli americani a Ginevra. La tedesca non pretende che i nostri beneficati facciano pulizia. Piuttosto, vuole costringere Mosca a sborsare il necessario per Kiev. «Nell’ultimo Consiglio europeo», ha ricordato ai deputati riuniti, «abbiamo presentato un documento di opzioni» per sostenere il Paese sotto attacco. «Questo include un’opzione sui beni russi immobilizzati. Il passo successivo», ha dunque annunciato, sarà «un testo giuridico», che l’esecutivo è pronto a presentare.
Luis de Guindos (Ansa)
Nel «Rapporto stabilità finanziaria» il vice di Christine Lagarde parla di «vulnerabilità» e «bruschi aggiustamenti». Debito in crescita, deficit fuori controllo e spese militari in aumento fanno di Parigi l’anello debole dell’Unione.
A Francoforte hanno imparato l’arte delle allusioni. Parlano di «vulnerabilità» di «bruschi aggiustamenti». Ad ascoltare con attenzione, tra le righe si sente un nome che risuona come un brontolio lontano. Non serve pronunciarlo: basta dire crisi di fiducia, conti pubblici esplosivi, spread che si stiracchia al mattino come un vecchio atleta arrugginito per capire che l’ombra ha sede in Francia. L’elefante nella cristalleria finanziaria europea.




