
Il segretario dell'Ugl, Paolo Capone, all'indomani dell'assemblea degli industriali critica Vincenzo Boccia e Susanna Camusso: «Le pensioni sono un tema prioritario quanto il lavoro»Intervenire sul lavoro, ma senza dimenticare le pensioni. Il segretario generale dell'Ugl, Paolo Capone, replica così al presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, che nell'assemblea annuale di mercoledì aveva invitato il nuovo governo a porre meno enfasi sul tema delle pensioni e critica la Cgil di Susanna Camusso. «Come si fa a non voler dare importanza a questo problema che affligge migliaia di italiani?», si è chiesto il sindacalista, secondo cui «il tema ha generato un grave allarme sociale, al pari del Jobs act. Confindustria e Cgil stanno facendo asse per tenere in piedi la legge Fornero».Segretario, cosa si rischia se non si agisce sul fronte delle pensioni?«Un intervento sugli effetti della Fornero è assolutamente indispensabile. Al di là delle coperture - le misure si faranno nei tempi in cui le coperture lo consentiranno - il problema è il disastro in termini sociali che vedremo da qui a pochi anni. Andare in pensione a 70 anni crea un problema per le giovani generazioni, che quanto più resistono i lavoratori anziani, meno hanno possibilità di entrare nel mondo del lavoro. Ma è un problema sociale anche perché la dignità umana non consente di avere un lavoratore che a 70 anni fa un servizio di guardiania di fronte a una banca, in un cantiere o alla cassa di un supermercato. A 70 anni è sicuramente giunta l'età per poter fare i nonni, non per continuare a lavorare».Bisognerà comunque vedere le coperture…«Certo, ma bisogna anche tener presente che se oggi potremmo avere nell'immediato un problema di coperture, nel medio-breve termine il problema sarà ben più grande, perché vorrà dire che dovremmo conteggiare quanto costano i giovani lavoratori che vorrebbero entrare nel ciclo produttivo e non possono, quanto costa il loro mancato contributo al sistema previdenziale e quindi quanto costerà, quando tra 30-35 anni saranno loro a dover andare in pensione, avere una massa gigantesca di pensionati che per effetto del contributivo non avranno neanche di che sopravvivere. I conti vanno fatti bene, mentre ad esempio il presidente dell'Inps sull'argomento ha avuto di recente qualche uscita bizzarra».Ad esempio?«Il riferimento all'apporto dei lavoratori immigrati. In Italia ci sono 5 milioni di Neet e 5 milioni di disoccupati che contribuirebbero volentieri al pagamento delle pensioni versando i loro contributi: quindi il problema è la mancanza di lavoro, non la mancanza di lavoratori. In più, se questi lavoratori versano i loro contributi in Italia, pagano per costruire la loro pensione, non quella degli altri».Sul Jobs act qual è la vostra posizione? Ne chiedete l'abolizione?«Come per tutti gli interventi, il taglio tranchant diventa complicato da realizzare. Però chiediamo sicuramente una riqualificazione dei diritti fondamentali del lavoratore. Ad esempio, il diritto a essere reintegrato, se il giudice stabilisce che un lavoratore è stato licenziato senza giusta causa, non può essere negato perché significherebbe tornare indietro a ben prima degli anni Settanta. Con il Jobs act ci sono stati una serie di interventi che non hanno garantito il lavoro buono. Hanno un po' drogato le statistiche gli sgravi contributivi che sono stati dati alle aziende; ma il combinato disposto con la possibilità di licenziare i lavoratori anche senza giusta causa ha provocato una lenta, ma abbastanza continua uscita di questi lavoratori dal ciclo produttivo. In realtà non sono gli incentivi alle aziende che fanno crescere il lavoro. Il lavoro cresce se i negozi sono pieni, se i ristoranti sono pieni, se c'è una domanda interna più forte, se crescono i consumi. E per questo occorre una politica dei redditi un po' più coraggiosa ed eventualmente, a supporto, un taglio del cuneo fiscale. In Italia abbiamo il costo del lavoro più alto d'Europa, e non certo perché un metalmeccanico italiano guadagni di più dei suoi pari grado europei: quindi evidentemente c'è un problema di tassazione troppo alta, e anche sulla tassazione mi sembra che questo governo qualche impegno lo abbia preso».
Bruxelles: «Chiediamo tolleranza zero sulla corruzione». Lo scandalo agita pure il governo. Matteo Salvini: «I nostri soldi vanno ai criminali?». Guido Crosetto: «Non giudico per due casi». E Antonio Tajani annuncia altri aiuti.
«Mi sembra che stiano emergendo scandali legati alla corruzione, che coinvolgono il governo ucraino, quindi non vorrei che con i soldi dei lavoratori e dei pensionati italiani si andasse ad alimentare ulteriore corruzione»: il leader della Lega, Matteo Salvini, pronuncia queste parole a Napoli a margine di un sopralluogo al porto, a proposito dell’acquisto di ulteriori armamenti dagli Usa da inviare in Ucraina. «La via di soluzione», aggiunge Salvini, «è quella indicata dal Santo Padre e da Trump, ovvero dialogo, mettere intorno a un tavolo Zelensky e Putin e far tacere le armi. Non penso che l’invio di altre armi risolverà il problema e mi sembra che quello che sta accadendo nelle ultime ore, con l’avanzata delle truppe russe, ci dica che è interesse di tutti, in primis dell’Ucraina, fermare la guerra. Pensare che mandare armi significa che l’Ucraina possa riconquistare i terreni perduti è ingenuo quantomeno».
Volodymyr Zelensky
Pronto un altro pacchetto di aiuti, ma la Lega frena: «Prima bisogna fare assoluta chiarezza sugli scandali di corruzione». E persino la Commissione europea adesso ha dubbi: «Rivalutare i fondi a Kiev, Volodymy Zelensky ci deve garantire trasparenza».
I nostri soldi all’Ucraina sono serviti anche per costruire i bagni d’oro dei corrotti nel cerchio magico di Volodymyr Zelensky. E mentre sia l’Ue sia l’Italia, non paghe di aver erogato oltre 187 miliardi la prima e tra i 3 e i 3 miliardi e mezzo la seconda, si ostinano a foraggiare gli alleati con aiuti economici e militari, sorge un interrogativo inquietante: se il denaro occidentale ha contribuito ad arricchire i profittatori di guerra, che fine potrebbero fare le armi che mandiamo alla resistenza?
2025-11-15
Ennesima giravolta di Renzi. Fa il supporter dei giornalisti e poi riprova a imbavagliarci
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
L’ex premier ci ha accusato di diffamazione ma ha perso anche in Appello: il giudice ha escluso mistificazioni e offese. Il fan della libertà di stampa voleva scucire 2 milioni.
Matteo Renzi è il campione mondiale delle giravolte, il primatista assoluto dei voltafaccia. Nel 2016 voleva la riforma della giustizia che piaceva a Silvio Berlusconi ma, ora che Carlo Nordio ha separato le carriere dei magistrati, pur di far dispetto a Giorgia Meloni fa il tifo per il «No» al referendum. Nel 2018, dopo la sconfitta alle elezioni, provò a restare attaccato alla poltrona di segretario del Pd, dicendo di voler impedire l’alleanza con i 5 stelle, salvo proporre, un anno dopo, un governo con Giuseppe Conte, per poi farlo cadere nel febbraio nel 2021 intestandosi la fine del governo Conte. Quando fu eletta, liquidò Elly Schlein con frasi sprezzanti, definendola un petardo che avrebbe perso pure le condominiali, ma ora abbraccia Elly nella speranza che lo salvi dall’irrilevanza e gli consenta di tornare in Parlamento alle prossime elezioni.
Pierfrancesco Favino (Ansa)
Mentre il tennis diventa pop, il film di Andrea Di Stefano svela l’altro lato della medaglia. Un ragazzo che diventa adulto tra un coach cialtrone (Pierfrancesco Favino) e un padre invasato.
Ora che abbiamo in Jannik Sinner un campione nel quale possiamo riconoscerci checché ne dicano i rosiconi Schützen e Novak Djokovic, tutti abbiamo anche un figlio o un nipote che vorremmo proiettare ai vertici delle classifiche mondiali. Grazie alle soddisfazioni che regala, il tennis inizia a competere con il calcio come nuovo sport nazionale (giovedì su Rai 1 la nazionale di Rino Gattuso ha totalizzato 5,6 milioni di telespettatori mentre sommando Rai 2 e Sky Sport, il match di Musetti - non di Sinner - contro Alcaraz ha superato i 3,5 milioni). Così, dopo esser stati ct della nazionale ora stiamo diventando tutti coach di tennis. Tuttavia, ne Il Maestro, interpretato dall’ottimo Pierfrancesco Favino, Andrea Di Stefano (erano insieme anche in L’ultima notte di amore) raffredda le illusioni perché non avalla nessuna facile aspirazione di gloria. Anzi.





