2018-07-08
Con i dazi cinesi l’Italia guadagna. Ma senza Usa addio made in Italy
Pechino alza barriere commerciali contro Washington, però le dimezza sui prodotti di lusso (abbigliamento e agroalimentare). Luigi Scordamaglia: «Nel lungo periodo per tutelare i brand è meglio schierarsi con Trump». Dopo l'entrata in vigore delle tariffe Usa al 25% su 818 prodotti di importazione cinese per un valore complessivo di 34 miliardi di dollari, da ieri sono attivi anche i dazi di ritorsione cinesi della stessa portata su 545 categorie di prodotti importati dagli Usa per lo stesso valore.Gli Stati Uniti hanno innescato «la più grande guerra commerciale della storia dell'economia», ha dichiarato il Ministero del Commercio di Pechino in una nota, nella quale prometteva un «necessario contrattacco al bullismo commerciale di Washington».Pechino ha promesso di «non sparare il primo colpo» nel conflitto che avrebbe danneggiato non solo l'economia cinese, ma anche quella statunitense, con ricadute sull'economia globale: alle 12.01 di ieri, secondo quanto confermato dall'agenzia Xinhua solo alcune ore dopo, sono entrate in vigore le tariffe di rappresaglia cinesi, ovvero un minuto dopo l'entrata in vigore di quelle Usa, per via delle dodici ore di fuso orario tra Washington e Pechino. Lo scontro commerciale tra le prime due economie del pianeta potrebbe assumere contorni ancora più cupi, in futuro. Poche ore prima dell'introduzione dei dazi Usa, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, dal Montana, aveva esteso la minaccia di nuovi dazi ad altri cinquecento miliardi di dollari: 200 miliardi in un primo momento, più altri 300 successivamente. Nell'atmosfera che si sta surriscaldando tra Pechino e Washington è intervenuto da Sofia il primo ministro cinese, Li Keqiang. Una guerra commerciale «non è di beneficio a nessuno», ha dichiarato il premier in visita ufficiale in Bulgaria per partecipare al vertice dei 16+1, ovvero i sedici Paesi dell'Europa centrale e orientale più la Cina, che si tiene annualmente. Prima ancora che le tariffe di Washington entrassero in vigore, a Pechino, c'era chi aveva già cominciato a fare i calcoli della prima mossa mossa di guerra commerciale tra Usa e Cina. Ma Jun, analista della People's Bank of China, la banca centrale cinese, stima il contraccolpo dato da dazi su cinquanta miliardi di dollari di merci importate a circa lo 0,2% prodotto interno lordo della Cina, ha dichiarato all'agenzia Xinhua, anche se ritiene che complessivamente, l'impatto sarebbe limitato.Ad alzare ulteriormente i toni ci ha pensato la Russia che ha alzato i dazi sui macchinari importati dagli Stati Uniti. Si passa dal 25% al 40. Ciò che appare chiaro in queste ore è che i vasi comunicanti del commercio internazionale si stanno riequilibrando. Per l'Italia almeno nel breve termine possono esserci opportunità. Il giro d'affari del lusso vale globalmente circa 260 miliardi di dollari. Più o meno 70 sono riconducibili alla Cina e di questi almeno 20 sono frutto del consumo interno. Pechino ha annunciato sempre ieri l'intenzione di dimezzare le imposte d'importazione sugli accessori della moda e sull'abbigliamento di lusso. Per il made in Italy è un'ottima notizia. Il vicepresidente di Altagamma, Armando Brachini, ha ricordato: «Oggi i dazi sull'abbigliamento vanno dal 15,7% al19, se passassero al 9% ciò avrebbe un diretto impatto già sulle collezione autunno inverno». Lo stesso effetto si può estendere anche al comparto agroalimentare. «Pechino ha deciso di alzare le barriere sulle materie prime americane e anche sul comparto agroalimentare», spiega alla Verità il presidente di Federalimentare, Luigi Scordamaglia, «e per il made in Italia si vedrà nel breve un effetto leva. Noi però dobbiamo ragionare sul lungo periodo e valutare attentamente le mosse di Trump». Il numero uno di Federalimentare prende una posizione netta a favore della proprietà intellettuale e delle regole da applicare all'interno del perimetro del Wto. «Nel lungo periodo l'Italia dovrà allinearsi alle iniziativa americane se non vuole farsi fagocitare dalle politiche cinesi. I dazi non sono di per sé né positivi né negativi, dipende tutto dalla logica sottostante. Fosse stato per la Germania», prosegue Scordamaglia, «Pechino avrebbe ricevuto la patente di economia di mercato così avrebbe aderito al Wto facendosi beffe delle regole internazionali». Limitarsi ad attaccare Trump per l'uso dei dazi è una stortura politica. Lo dimostra il fatto che l'amministrazione Obama ha il record di ricorsi al Wto per notifiche di misure protezionistiche. Solo che ora è cambiata l'Europa e i Paesi del Vecchio Continente devono capire con chi stare.
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)