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2018-09-15
Lo Stato non sa dire a cosa servano 117 miliardi di sconti fiscali. Con interventi mirati un punto di Pil da usare per ridurre le tasse
Luglio è stato caratterizzato, oltre che da un intenso dibattito attorno allo spread, anche da due elementi di bilancio. Il debito pubblico è salito di circa 18 miliardi in soli 30 giorni e il gettito delle tasse ha subito un andamento simile. Gli italiani infatti hanno pagato solo a luglio 49,4 miliardi di tasse, un dato in aumento del 4,8% rispetto allo stesso mese del 2017. Per quanto riguarda il primo tema, difficile dare colpa all'attuale governo. Il trend prosegue da quello precedente e nei mesi scorsi l'inversione di tendenza era dovuta solo agli interventi del Tesoro. Che ha utilizzato le riserve di liquidità accantonate di solito per gestire eventuali picchi dello spread o giorni di aste complicate sui nostri titoli. L'aumento delle tasse invece riguarda il governo gialloblù.
Non tanto perché abbia aumentato le tasse (il trend della pressione fiscale era destinato a crescere), ma perché non le ha tagliate. Nel contratto firmato tra Lega e 5 stelle la riduzione delle imposte è un passaggio fondamentale. Anche se riguarda più le istanze del Carroccio, visto che i grillini premono quasi soltanto per il reddito di cittadinanza e la pensione minima garantita a 780 euro, il taglio è ormai imprescindibile.
L'autunno in arrivo ci regalerà più inflazione. E questo è un dato certo. Secondo i calcoli del Codacons l'aumento dell'inflazione avrà cospicue ripercussioni sulle tasche dei consumatori: per spostamenti e trasporti una famiglia con due figli spende oggi 223 euro in più su base annua e in generale il rialzo dell'inflazione all'1,6% determina una maggiore spesa pari a 493 euro su base annua per la famiglia «tipo», cifra che sale a 625 euro annui se si considera una famiglia con due figli. A questi numeri bisognerà aggiungere la questione dei prezzi e delle tariffe, con listini in aumento e rincari a catena a danno delle famiglie, in particolare nel comparto scuola, alimentari ed energia. «Sulle tasche dei consumatori», ha spiegato ieri il presidente dell'associazione dei consumatori Carlo Rienzi, «pende poi la spada di Damocle del possibile aumento Iva, mentre si attende l'annunciato taglio alle accise sui carburanti che consentirebbe di spegnere la fiammata dell'inflazione». Posto che l'aumento dell'Iva sembra in realtà essere scongiurato, il taglio delle accise in queste ultime settimane sembra essere finito in cavalleria. E non è un bene.
Il tema dell'equilibrio di bilancio si ripropone con maggiore insistenza e sarà il must delle giornate comprese tra il 24 e il 27 di settembre, quando il governo dovrà inviare il testo della manovra a Bruxelles. I margini per rivedere l'imposizione fiscale però ci sono e sono evidenti, anche se richiedono un mastodontico lavoro di precisione.
Come spiegato nell'articolo di Giorgia Pacione di Bello, oltre il 60% delle detrazioni fiscali non è stato tracciato e dunque lo Stato non è in grado di sapere che effetto produca. Sono agevolazioni e tax expenditure delle quali si sa quanto costano ma non quanto rendano. e quale sia l'effettivo risparmio dei contribuenti. E si parla di circa 117 miliardi di euro in tutto. Ogni anno.
È chiaro che questa massa di aiuti fiscali sono nati secondo il criterio della mancia elettorale. E non vale solo per Matteo Renzi, ma per moltissimi governi. Quasi tutti. I sostenitori delle tax expenditure sostengono che eliminarle equivalga ad alzare le tasse. Vero, solo in parte. Mentre si fa ordine si recupera gettito da utilizzare per una riforma fiscale complessiva. Basta piccole toppe. L'ipotesi del taglio dell'Irpef anche se di un solo punto sembra già slittare.
Un vero peccato, ma sarebbe stato poco più che un buffetto. Serve invece una sberla in piena faccia che aiuti a cambiare passo e rivedere l'intero sistema fiscale. Così non funziona. Non è ammissibile che lo Stato conceda agevolazioni fiscali per circa 175 miliardi e non ne conosca al centesimo le ricadute. Un'analisi dettagliata - siamo pronti a scommettere - rileverà che una buona fetta delle agevolazioni è inutile e improduttiva. Allora, limare qui porterà efficienza. Certo, magari qualche piccola categoria si ritroverà con più tasse da pagare, ma nel complesso le risorse potranno essere ridistribuite per sforbiciare Irpef e magari finalmente tagliare il cuneo fiscale.
Si discute di revisione delle tax expenditure dal 2009, nessuno da allora ha avuto il coraggio di mettere mano a decenni di stratificazioni. Questo governo o lo fa adesso o non lo farà mai più. E allora si limiterà a promettere palliativi fiscali. Ma non prenderà il toro per le corna. Rivedere anche solo un quarto delle agevolazioni fiscali porterà un margine di manovra di quasi 30 miliardi. Se 23 vengono ricollocati per evitare che le tasse si alzino resteranno comunque 7 miliardi di euro da utilizzare per interventi a sostegno dell'economia.
INFOGRAFICA
Lo Stato non sa dire a cosa servano 117 miliardi di sgravi
La flat tax deve essere finanziata con le tax expenditure, le spese fiscali. Questo è quanto dichiarato dal ministro dell'Economia e delle finanze, Giovanni Tria l'11 settembre alla summer school di Confartigianato. Finanziare la flat tax con le 466 spese fiscali potrebbe però rivelarsi un'impresa difficile, dato che non si conosce il reale impatto finanziario che queste hanno sulle casse dello Stato. Analizzando i resoconti redatti dal Mef e i vari studi pubblicati dal Senato emerge, infatti, come il 67%% delle voci siano vuote. Non si sa quanto valgono, quanti sono i cittadini o le imprese che ne possono beneficiare e che impatto hanno sull'economia e sulle famiglie. Nella nota integrativa allo stato di previsione dell'entrata nel bilancio 2016 si legge che detrazioni e deduzioni valgono 175,7 miliardi di euro. Se per 67% mancano i dati, vuole dire che lo stato incassa 117 miliardi in meno di tasse senza poter valutare vantaggi e svantaggi.
Le 466 spese fiscali sono state suddivise in 19 categorie con al loro interno un numero di voci che oscillano tra lo zero e le 115 (nella tabella in alto riportiamo nel dettaglio le voci relative alla casa, le più tracciate; su www.laverita.info si trovano i dettagli per agricoltura, energia, diritti sociali e lavoro). «Commercio internazionale e internazionale del sistema produttivo» è stata di diritto inserita all'interno delle spese fiscali, ma non ha nessuna voce. Stessa storia per «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti». Ci sono poi categorie come «Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente» con due spese fiscali, di cui non si conosce né l'impatto finanziario né il numero di fruitori. Oppure la categoria «Politiche previdenziali», dove su sette voci si conosce l'impatto finanziario approssimativo di tre.
Ma come si è arrivati a questa situazione? Nel corso degli anni i vari governi hanno sempre provveduto ad ampliare la lista delle spese fiscali, aggiungendo agevolazioni per diversi settori. Nell'elenco si va infatti dalle agevolazioni per l'agricoltura ai giovani. Quando si presentano delle nuove spese che lo Stato dovrà sostenere, si allega sempre anche una stima di quanti potrebbero essere gli aventi diritto e dell'impatto finanziario che comporteranno. Essendo però una stima, i dati possono discostarsi di molto, o di poco, dalla realtà.
Questo significa che dopo l'entrata in vigore di una determinata agevolazione si dovrebbe annotare il numero di contribuenti che hanno goduto della misura e il reale impatto finanziario prodotto. Molto spesso però, questo secondo passaggio non viene fatto.
Osservando i dati pubblicati dal Mef si nota infatti come per quasi la totalità delle voci sia presente l'impatto finanziario per il 2018, 2019 e 2020. Manca però il numero di contribuenti che hanno avuto accesso all'agevolazione fiscale e l'impatto finanziario pro capite. I dati presenti per i tre anni (2018, 2019 e 2020), secondo quanto risulta alla Verità, non sono altro che il «copia incolla» di quanto era stato stimato in precedenza. I problemi però non finiscono qui, perché i dati delle spese fiscali che sono state prorogate non sono stati aggiornati negli anni successivi. Questo significa che in molte voci i dati presenti sono fermi all'anno in cui era stata prevista la scadenza della misura. Inoltre, accanto a molte spese fiscali si trova l'etichetta «Effetto di trascurabile entità». Non viene però specificato quanto trascurabile sia l'effetto, né il numero di contribuenti che hanno chiesto l'agevolazione. Eppure, in alcune voci viene scritto come l'impatto finanziario della misura sia pari a zero euro e i richiedenti siano stati zero. Altra anomalia è la presenza di spese fiscali con dati identici. Osservando le varie voci è infatti possibile che alcune cifre siano simili. Ma in questo caso i valori sono uguali al decimale. Le deduzioni per le erogazioni di denaro date alla Chiesa cattolica, a quella evangelica o alla comunità ebraica presentano, per esempio, lo stesso identico valore sia per quanto riguarda l'impatto finanziario sia per il numero di contribuenti che hanno scelto quegli enti.
Vista l'entità del problema, il Mef ha dunque cercato di intervenire negli anni passati. Il ministero avrebbe infatti deciso di analizzare i dati delle dichiarazioni dei redditi per cercare di mettere un po' di ordine. Ma dopo aver, raccolto e analizzato i dati, non si è fatto un confronto con quelli presenti nelle spese fiscali. Secondo quanto risulta alla Verità, inoltre, durante l'analisi ci si era accorti delle discrepanze con i dati presenti all'interno spese fiscali, ma non si è approfondita la questione.
Voler dunque finanziare la flat tax con le spese fiscali è possibile, ma non sarà facile. Il taglio non potrà infatti essere orizzontale né per singole categorie. Se si vorranno recuperare soldi andando a tagliare alcune tax expenditure si dovrà agire in modo mirato sulle singole voci, dato che le somme riportate presentano un margine d'errore alto.
Giorgia Pacione Di Bello
Su decine di tax expenditure il giallo del copia incolla
All'interno dell'elenco delle 466 tax expenditure, pubblicate dal Ministero dell'economia e delle finanze per il 2017, esistono alcune spese fiscali con identico impatto finanziario e numero di contribuenti. Sono dunque due le principali sottocategorie colpite dal giallo matematico: «Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici» e «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia». All'interno della prima sottocategoria si trovano sette voci, una dietro l'altra, che presentano lo stesso identico impatto finanziario pro-capite (2.134,4) e numero di contribuenti che hanno richiesto l'agevolazione (17.397). Nella seconda sottocategoria le spese fiscali identiche sono invece state disposte in modo più creativo all'interno del documento. Si trovano infatti due voci isolate e poi a distanza di pagine altre cinque che presentano lo stesso impatto finanziario pro- capite (87,9) e numero di contribuenti richiedenti (71.502).
C'è però da dire che in alcuni casi le voci di spesa identiche possono rientrare in una categoria comune. Nella sottocategoria «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia» i valori uguali si trovano infatti in una serie di «deduzioni delle erogazioni liberali in denaro date alla Chiesa Cattolica italiana, all'Unione delle chiese avventiste del 7° giorno in Italia e della tavola valdese, all'Unione cristiana evangelica battista, alla chiesa evangelica luterana e alla Comunità ebraiche italiane». Mentre nel caso delle spese fiscali riferite alla «Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici» le voci identiche hanno in comune sole le parole "deducibilità" e "erogazioni". Queste infatti si riferiscono o a organizzazioni che gestiscono parchi o riserve naturali o a programmi di ricerca scientifica nella sanità o a fondazioni con finalità di studio.
La particolarità di queste agevolazioni fiscali risulta dunque essere la presenza di valori identici al decimale sia per quanto riguarda l'impatto finanziario pro capite sia per il numero di contribuenti che hanno chiesto la deduzione in questione. Si potrebbe dunque pensare che in tabelle composte da spazi vuoti e da diciture come: «effetto di trascurabile entità» o valore «non quantificabile» qualche volta si sia preferito riempire in modo approssimativo i vuoti presenti.
Giorgia Pacione Di Bello
Nel settore Energia ben 28 voci su 29 non sono tracciate
Il problema delle 466 spese fiscali è la non conoscenza del reale impatto finanziario che queste hanno sulle casse dello Stato. Le 19 sottocategorie, in cui sono state suddivise, dipingono infatti uno scenario ai limiti dell'immaginazione. I valori sull'impatto finanziario pro-capite e sul numero di contribuenti che hanno avuto determinate agevolazioni fiscali, risulta essere nel più del 50% dei casi un valore inesistente. Nella sottocategoria dell'energia 28 voci su 29 sono totalmente bianche. O meglio, otto di queste sono state etichettate come "valore non quantificabile", di una (credito d'imposta sulle reti di teleriscaldamento alimentato con biomassa ed energia geotermica) sono presenti i valori, mentre per il resto la tabella dell'energia risultare essere costellata da quadratini bianchi.
Alcune voci ignote riguardano la riduzione dell'accisa sul Gpl usato come carburante dagli autobus urbani ed extraurbani, oppure l'esenzione dell'accisa sul carburante usato dalle forze armate nazionali. Un'altra sottocategoria, che mostra gap di informazioni elevati, è quella relativa alle "Politiche economico-finanziarie e di bilancio e tutela della finanza pubblica". In questo caso delle 115 voci di spesa fiscali 97 risultano essere senza dati. Di queste, 69 presentano la dicitura valore "non quantificabile", per 6 l'impatto finanziario risulta essere "di trascurabile entità", ma non viene specificato né l'importo né il numero di contribuenti, mentre le restanti 22 sono composte da spazi bianchi.
Tra le voci di spese "non quantificabili" risulta esserci anche la norma, introdotta dalla Legge di stabilità 2017, che ha permesso a Cristiano Ronaldo di godere dei vantaggi fiscali da neo- residente. Nel dettaglio la norma concede ai "nuovi" italiani di pagare solo un forfait di 100 mila euro annui sui redditi extra-italiani, mentre ai familiari viene dato un forfait di 25 mila euro per uno. Secondo le ultime stime del Ministero dell'economia e delle finanze risulta dunque impossibile sapere quanti hanno richiesto l'agevolazione e l'impatto finanziario che questa ha.
Giorgia Pacione Di Bello
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A luglio sono cresciuti sia il debito sia la pressione fiscale: i gialloblù non possono più temporeggiare. Eliminare le deduzioni inutili permetterebbe di dare una vera svolta e recuperare almeno 23 miliardi per l'economia.Il Mef vuole sforbiciare le detrazioni per la flat tax. Gli sconti valgono 175,7 miliardi ma per il 67% mancano dati sui beneficiari e sui reali impatti sul bilancio.In decine di casi le voci di spesa pur riferite a categoria diverse riportano i medesimi calcoli: giallo sul copia incolla. Le 19 sottocategorie, in cui sono state suddivise le tax expenditure, hanno stratificazioni decennali. Il caso del settore Energia dove 28 voci su 29 non sono tracciate. Lo speciale contiene quattro articoliLuglio è stato caratterizzato, oltre che da un intenso dibattito attorno allo spread, anche da due elementi di bilancio. Il debito pubblico è salito di circa 18 miliardi in soli 30 giorni e il gettito delle tasse ha subito un andamento simile. Gli italiani infatti hanno pagato solo a luglio 49,4 miliardi di tasse, un dato in aumento del 4,8% rispetto allo stesso mese del 2017. Per quanto riguarda il primo tema, difficile dare colpa all'attuale governo. Il trend prosegue da quello precedente e nei mesi scorsi l'inversione di tendenza era dovuta solo agli interventi del Tesoro. Che ha utilizzato le riserve di liquidità accantonate di solito per gestire eventuali picchi dello spread o giorni di aste complicate sui nostri titoli. L'aumento delle tasse invece riguarda il governo gialloblù. Non tanto perché abbia aumentato le tasse (il trend della pressione fiscale era destinato a crescere), ma perché non le ha tagliate. Nel contratto firmato tra Lega e 5 stelle la riduzione delle imposte è un passaggio fondamentale. Anche se riguarda più le istanze del Carroccio, visto che i grillini premono quasi soltanto per il reddito di cittadinanza e la pensione minima garantita a 780 euro, il taglio è ormai imprescindibile. L'autunno in arrivo ci regalerà più inflazione. E questo è un dato certo. Secondo i calcoli del Codacons l'aumento dell'inflazione avrà cospicue ripercussioni sulle tasche dei consumatori: per spostamenti e trasporti una famiglia con due figli spende oggi 223 euro in più su base annua e in generale il rialzo dell'inflazione all'1,6% determina una maggiore spesa pari a 493 euro su base annua per la famiglia «tipo», cifra che sale a 625 euro annui se si considera una famiglia con due figli. A questi numeri bisognerà aggiungere la questione dei prezzi e delle tariffe, con listini in aumento e rincari a catena a danno delle famiglie, in particolare nel comparto scuola, alimentari ed energia. «Sulle tasche dei consumatori», ha spiegato ieri il presidente dell'associazione dei consumatori Carlo Rienzi, «pende poi la spada di Damocle del possibile aumento Iva, mentre si attende l'annunciato taglio alle accise sui carburanti che consentirebbe di spegnere la fiammata dell'inflazione». Posto che l'aumento dell'Iva sembra in realtà essere scongiurato, il taglio delle accise in queste ultime settimane sembra essere finito in cavalleria. E non è un bene. Il tema dell'equilibrio di bilancio si ripropone con maggiore insistenza e sarà il must delle giornate comprese tra il 24 e il 27 di settembre, quando il governo dovrà inviare il testo della manovra a Bruxelles. I margini per rivedere l'imposizione fiscale però ci sono e sono evidenti, anche se richiedono un mastodontico lavoro di precisione. Come spiegato nell'articolo di Giorgia Pacione di Bello, oltre il 60% delle detrazioni fiscali non è stato tracciato e dunque lo Stato non è in grado di sapere che effetto produca. Sono agevolazioni e tax expenditure delle quali si sa quanto costano ma non quanto rendano. e quale sia l'effettivo risparmio dei contribuenti. E si parla di circa 117 miliardi di euro in tutto. Ogni anno. È chiaro che questa massa di aiuti fiscali sono nati secondo il criterio della mancia elettorale. E non vale solo per Matteo Renzi, ma per moltissimi governi. Quasi tutti. I sostenitori delle tax expenditure sostengono che eliminarle equivalga ad alzare le tasse. Vero, solo in parte. Mentre si fa ordine si recupera gettito da utilizzare per una riforma fiscale complessiva. Basta piccole toppe. L'ipotesi del taglio dell'Irpef anche se di un solo punto sembra già slittare. Un vero peccato, ma sarebbe stato poco più che un buffetto. Serve invece una sberla in piena faccia che aiuti a cambiare passo e rivedere l'intero sistema fiscale. Così non funziona. Non è ammissibile che lo Stato conceda agevolazioni fiscali per circa 175 miliardi e non ne conosca al centesimo le ricadute. Un'analisi dettagliata - siamo pronti a scommettere - rileverà che una buona fetta delle agevolazioni è inutile e improduttiva. Allora, limare qui porterà efficienza. Certo, magari qualche piccola categoria si ritroverà con più tasse da pagare, ma nel complesso le risorse potranno essere ridistribuite per sforbiciare Irpef e magari finalmente tagliare il cuneo fiscale. Si discute di revisione delle tax expenditure dal 2009, nessuno da allora ha avuto il coraggio di mettere mano a decenni di stratificazioni. Questo governo o lo fa adesso o non lo farà mai più. E allora si limiterà a promettere palliativi fiscali. Ma non prenderà il toro per le corna. Rivedere anche solo un quarto delle agevolazioni fiscali porterà un margine di manovra di quasi 30 miliardi. 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Questo è quanto dichiarato dal ministro dell'Economia e delle finanze, Giovanni Tria l'11 settembre alla summer school di Confartigianato. Finanziare la flat tax con le 466 spese fiscali potrebbe però rivelarsi un'impresa difficile, dato che non si conosce il reale impatto finanziario che queste hanno sulle casse dello Stato. Analizzando i resoconti redatti dal Mef e i vari studi pubblicati dal Senato emerge, infatti, come il 67%% delle voci siano vuote. Non si sa quanto valgono, quanti sono i cittadini o le imprese che ne possono beneficiare e che impatto hanno sull'economia e sulle famiglie. Nella nota integrativa allo stato di previsione dell'entrata nel bilancio 2016 si legge che detrazioni e deduzioni valgono 175,7 miliardi di euro. Se per 67% mancano i dati, vuole dire che lo stato incassa 117 miliardi in meno di tasse senza poter valutare vantaggi e svantaggi. Le 466 spese fiscali sono state suddivise in 19 categorie con al loro interno un numero di voci che oscillano tra lo zero e le 115 (nella tabella in alto riportiamo nel dettaglio le voci relative alla casa, le più tracciate; su www.laverita.info si trovano i dettagli per agricoltura, energia, diritti sociali e lavoro). «Commercio internazionale e internazionale del sistema produttivo» è stata di diritto inserita all'interno delle spese fiscali, ma non ha nessuna voce. Stessa storia per «Immigrazione, accoglienza e garanzia dei diritti». Ci sono poi categorie come «Sviluppo sostenibile e tutela del territorio e dell'ambiente» con due spese fiscali, di cui non si conosce né l'impatto finanziario né il numero di fruitori. Oppure la categoria «Politiche previdenziali», dove su sette voci si conosce l'impatto finanziario approssimativo di tre. Ma come si è arrivati a questa situazione? Nel corso degli anni i vari governi hanno sempre provveduto ad ampliare la lista delle spese fiscali, aggiungendo agevolazioni per diversi settori. Nell'elenco si va infatti dalle agevolazioni per l'agricoltura ai giovani. Quando si presentano delle nuove spese che lo Stato dovrà sostenere, si allega sempre anche una stima di quanti potrebbero essere gli aventi diritto e dell'impatto finanziario che comporteranno. Essendo però una stima, i dati possono discostarsi di molto, o di poco, dalla realtà. Questo significa che dopo l'entrata in vigore di una determinata agevolazione si dovrebbe annotare il numero di contribuenti che hanno goduto della misura e il reale impatto finanziario prodotto. Molto spesso però, questo secondo passaggio non viene fatto. Osservando i dati pubblicati dal Mef si nota infatti come per quasi la totalità delle voci sia presente l'impatto finanziario per il 2018, 2019 e 2020. Manca però il numero di contribuenti che hanno avuto accesso all'agevolazione fiscale e l'impatto finanziario pro capite. I dati presenti per i tre anni (2018, 2019 e 2020), secondo quanto risulta alla Verità, non sono altro che il «copia incolla» di quanto era stato stimato in precedenza. I problemi però non finiscono qui, perché i dati delle spese fiscali che sono state prorogate non sono stati aggiornati negli anni successivi. Questo significa che in molte voci i dati presenti sono fermi all'anno in cui era stata prevista la scadenza della misura. Inoltre, accanto a molte spese fiscali si trova l'etichetta «Effetto di trascurabile entità». Non viene però specificato quanto trascurabile sia l'effetto, né il numero di contribuenti che hanno chiesto l'agevolazione. Eppure, in alcune voci viene scritto come l'impatto finanziario della misura sia pari a zero euro e i richiedenti siano stati zero. Altra anomalia è la presenza di spese fiscali con dati identici. Osservando le varie voci è infatti possibile che alcune cifre siano simili. Ma in questo caso i valori sono uguali al decimale. Le deduzioni per le erogazioni di denaro date alla Chiesa cattolica, a quella evangelica o alla comunità ebraica presentano, per esempio, lo stesso identico valore sia per quanto riguarda l'impatto finanziario sia per il numero di contribuenti che hanno scelto quegli enti. Vista l'entità del problema, il Mef ha dunque cercato di intervenire negli anni passati. Il ministero avrebbe infatti deciso di analizzare i dati delle dichiarazioni dei redditi per cercare di mettere un po' di ordine. Ma dopo aver, raccolto e analizzato i dati, non si è fatto un confronto con quelli presenti nelle spese fiscali. Secondo quanto risulta alla Verità, inoltre, durante l'analisi ci si era accorti delle discrepanze con i dati presenti all'interno spese fiscali, ma non si è approfondita la questione. Voler dunque finanziare la flat tax con le spese fiscali è possibile, ma non sarà facile. Il taglio non potrà infatti essere orizzontale né per singole categorie. Se si vorranno recuperare soldi andando a tagliare alcune tax expenditure si dovrà agire in modo mirato sulle singole voci, dato che le somme riportate presentano un margine d'errore alto. 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All'interno della prima sottocategoria si trovano sette voci, una dietro l'altra, che presentano lo stesso identico impatto finanziario pro-capite (2.134,4) e numero di contribuenti che hanno richiesto l'agevolazione (17.397). Nella seconda sottocategoria le spese fiscali identiche sono invece state disposte in modo più creativo all'interno del documento. Si trovano infatti due voci isolate e poi a distanza di pagine altre cinque che presentano lo stesso impatto finanziario pro- capite (87,9) e numero di contribuenti richiedenti (71.502).C'è però da dire che in alcuni casi le voci di spesa identiche possono rientrare in una categoria comune. Nella sottocategoria «Diritti sociali, politiche sociali e famiglia» i valori uguali si trovano infatti in una serie di «deduzioni delle erogazioni liberali in denaro date alla Chiesa Cattolica italiana, all'Unione delle chiese avventiste del 7° giorno in Italia e della tavola valdese, all'Unione cristiana evangelica battista, alla chiesa evangelica luterana e alla Comunità ebraiche italiane». Mentre nel caso delle spese fiscali riferite alla «Tutela e valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici» le voci identiche hanno in comune sole le parole "deducibilità" e "erogazioni". Queste infatti si riferiscono o a organizzazioni che gestiscono parchi o riserve naturali o a programmi di ricerca scientifica nella sanità o a fondazioni con finalità di studio. La particolarità di queste agevolazioni fiscali risulta dunque essere la presenza di valori identici al decimale sia per quanto riguarda l'impatto finanziario pro capite sia per il numero di contribuenti che hanno chiesto la deduzione in questione. Si potrebbe dunque pensare che in tabelle composte da spazi vuoti e da diciture come: «effetto di trascurabile entità» o valore «non quantificabile» qualche volta si sia preferito riempire in modo approssimativo i vuoti presenti.Giorgia Pacione Di Bello <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem3" data-id="3" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/con-dei-tagli-mirati-un-punto-di-pil-da-usare-per-ridurre-le-tasse-2604938741.html?rebelltitem=3#rebelltitem3" data-basename="nel-settore-energia-ben-28-voci-su-29-non-sono-tracciate" data-post-id="2604938741" data-published-at="1766766161" data-use-pagination="False"> Nel settore Energia ben 28 voci su 29 non sono tracciate Il problema delle 466 spese fiscali è la non conoscenza del reale impatto finanziario che queste hanno sulle casse dello Stato. Le 19 sottocategorie, in cui sono state suddivise, dipingono infatti uno scenario ai limiti dell'immaginazione. I valori sull'impatto finanziario pro-capite e sul numero di contribuenti che hanno avuto determinate agevolazioni fiscali, risulta essere nel più del 50% dei casi un valore inesistente. Nella sottocategoria dell'energia 28 voci su 29 sono totalmente bianche. O meglio, otto di queste sono state etichettate come "valore non quantificabile", di una (credito d'imposta sulle reti di teleriscaldamento alimentato con biomassa ed energia geotermica) sono presenti i valori, mentre per il resto la tabella dell'energia risultare essere costellata da quadratini bianchi. Alcune voci ignote riguardano la riduzione dell'accisa sul Gpl usato come carburante dagli autobus urbani ed extraurbani, oppure l'esenzione dell'accisa sul carburante usato dalle forze armate nazionali. Un'altra sottocategoria, che mostra gap di informazioni elevati, è quella relativa alle "Politiche economico-finanziarie e di bilancio e tutela della finanza pubblica". In questo caso delle 115 voci di spesa fiscali 97 risultano essere senza dati. Di queste, 69 presentano la dicitura valore "non quantificabile", per 6 l'impatto finanziario risulta essere "di trascurabile entità", ma non viene specificato né l'importo né il numero di contribuenti, mentre le restanti 22 sono composte da spazi bianchi.Tra le voci di spese "non quantificabili" risulta esserci anche la norma, introdotta dalla Legge di stabilità 2017, che ha permesso a Cristiano Ronaldo di godere dei vantaggi fiscali da neo- residente. Nel dettaglio la norma concede ai "nuovi" italiani di pagare solo un forfait di 100 mila euro annui sui redditi extra-italiani, mentre ai familiari viene dato un forfait di 25 mila euro per uno. Secondo le ultime stime del Ministero dell'economia e delle finanze risulta dunque impossibile sapere quanti hanno richiesto l'agevolazione e l'impatto finanziario che questa ha. Giorgia Pacione Di Bello
Brahim Diaz esulta dopo aver segnato un gol durante la partita inaugurale della 35ª Coppa d'Africa tra Marocco e Comore allo stadio Prince Moulay Abdellah di Rabat (Getty Images)
Serve a spostare l’immaginario: non più periferia, non più frontiera, ma piattaforma. Il governo marocchino non lo nasconde. «La Coppa d’Africa è una prova generale per il Mondiale 2030 e un simbolo della nostra capacità di organizzare eventi globali con standard elevati», ha dichiarato recentemente un portavoce del governo di Rabat, sottolineando l’utilizzo dello sport come leva di soft power e di consolidamento di immagine internazionale. Il re Mohammed VI ha insistito pubblicamente sul ruolo dello sport come strumento di dialogo e cooperazione regionale, definendo iniziative come Afcon e il Mondiale 2030 parte integrante della «strategia marocchina di apertura e modernizzazione». Questa visione è stata ripresa anche dai media di Stato come elemento di legittimazione politica e di promozione dell’identità nazionale. I numeri aiutano a capire la traiettoria. Il Marocco conta oggi circa 37 milioni di abitanti e una crescita demografica relativamente contenuta dell’1 per cento annuo circa, molto più bassa rispetto a molte economie subsahariane.
Questo rallentamento demografico consente una pianificazione a medio-lungo termine più sostenibile. Sul piano economico, il pil ha superato i 140 miliardi di dollari nel 2023, con un pil pro capite attorno ai 3.700 dollari, superiore a molti Paesi dell’Africa subsahariana e stabile negli ultimi anni. Il calcio entra qui. La Coppa d’Africa diventa una vetrina perché cade in un momento preciso. Il Paese è nel pieno di un ciclo di investimenti pubblici legati a grandi eventi. Strade, aeroporti, linee ferroviarie ad alta velocità, stadi. Secondo stime ufficiali, tra infrastrutture sportive e opere collegate il Marocco ha messo sul piatto investimenti nell’ordine di oltre 21 miliardi di dirham — quasi 2 miliardi di euro — per modernizzare stadi e città in vista di Afcon 2025 e del Mondiale 2030. Questa spinta è percepita anche a livello diplomatico.
Nel corso degli ultimi anni Rabat ha promosso nuove alleanze economiche in Africa occidentale, con piani di investimento in energia, telecomunicazioni e infrastrutture. La Coppa d’Africa è intesa come un elemento di “soft power” che attraversa i confini: non solo uno spettacolo sportivo, ma un’occasione per creare reti di relazioni, far visita a delegazioni internazionali e mostrare un’immagine di stabilità e apertura. Il messaggio è rivolto prima di tutto al continente africano. Il Marocco si propone come modello alternativo: africano per storia e geografia, ma sempre più occidentale per governance, modelli economici e partner strategici. “Lo sport è parte integrante della nostra politica estera e interna”, ha detto un consigliere politico marocchino parlando della Coppa d’Africa come di un evento che rafforza l’influenza regionale di Rabat. La Coppa d’Africa serve anche a rafforzare una narrativa interna. Il Paese viene da anni di riforme graduali, non sempre popolari, tra cui la promozione di miglioramenti nei servizi pubblici. Il consenso passa anche dalla capacità di offrire orgoglio nazionale e visibilità internazionale.
Dopo il quarto posto al Mondiale 2022, la nazionale è diventata un moltiplicatore emotivo, un simbolo di successo collettivo. Ma non mancano le critiche. In un anno segnato da proteste giovanili e richieste di maggiori investimenti in sanità ed educazione, alcuni osservatori ricordano che infrastrutture sportive e servizi sociali competono per risorse limitate. «Vogliamo ospedali, non stadi» è stato lo slogan di manifestazioni che hanno investito diverse città marocchine nei mesi scorsi, sottolineando il rischio di disallineamento tra spesa per eventi e bisogni sociali. Nel contesto internazionale il torneo assume un ulteriore significato. La Coppa d’Africa 2025 arriva pochi anni prima del Mondiale 2030, che il Marocco ospiterà insieme a Spagna e Portogallo. Non come semplice partecipante, ma come Paese co-organizzatore, una delle prime volte che un Paese africano riveste questo ruolo congiunto nel calcio globale. Il Marocco conta di vincere la Coppa D'Africa. Il risultato sportivo conterà. Ma conterà meno del messaggio lasciato. Rabat vuole usare il calcio per ribadire che il centro può spostarsi, che l’Africa non è solo luogo di risorse e problemi, ma anche piattaforma, regia e snodo geopolitico. E nel 2030, quando il mondo guarderà lo stesso pallone rimbalzare tra Europa e Africa, quella storia sarà già stata scritta.
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Chen Zhi
Dall’immobiliare al fintech, fino al cuore delle truffe online: a 37 anni il fondatore del Prince Group è accusato da Stati Uniti e Regno Unito di aver costruito dalla Cambogia un impero criminale basato su frodi digitali, riciclaggio e sfruttamento di manodopera. Tra cittadinanze comprate, rapporti con il potere politico e miliardi congelati in criptovalute, il ritratto di un magnate oggi scomparso dai radar.
A trentasette anni appena compiuti, Chen Zhi viene indicato dagli inquirenti come l’architetto occulto di una gigantesca macchina di frodi digitali, descritta come un sistema criminale costruito sullo sfruttamento sistematico delle vittime. L’aspetto giovanile, il volto quasi infantile e la barba curata contrastano con l’immagine dell’uomo che, in pochissimo tempo, avrebbe accumulato una ricchezza smisurata. Nell’ottobre scorso il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti lo ha formalmente incriminato, accusandolo di aver orchestrato dalla Cambogia un colossale schema di truffe in criptovalute, capace di sottrarre miliardi di dollari a persone sparse in tutto il mondo. Parallelamente, il Dipartimento del Tesoro americano ha annunciato il sequestro di circa 14 miliardi di dollari in bitcoin riconducibili, secondo le autorità, alla sua rete: il più imponente congelamento di asset digitali mai registrato. Sul sito ufficiale del suo conglomerato, la Cambodian Prince Group, Chen Zhi viene presentato come un imprenditore rispettato e un benefattore di primo piano, capace di trasformare l’azienda in uno dei gruppi più influenti del Paese, allineato – si legge – ai parametri internazionali. Interpellata per un commento, la società non ha rilasciato dichiarazioni. Resta dunque aperta la domanda centrale: chi è davvero Chen Zhi, l’uomo che secondo le accuse avrebbe costruito un impero fondato sulle truffe online?
Originario della provincia cinese del Fujian, nella parte sud-orientale del Paese, Chen Zhi avrebbe mosso i primi passi imprenditoriali nel settore dei giochi online, con risultati tutt’altro che eclatanti. Tra il 2010 e il 2011 si trasferì in Cambogia, inserendosi in un mercato immobiliare allora in piena ebollizione. Il suo arrivo coincise con l’esplosione di una bolla speculativa alimentata dall’afflusso di capitali cinesi e dalla disponibilità di ampie porzioni di territorio sottratte alle comunità locali e finite nelle mani di figure politicamente ben introdotte. Una parte consistente di quei fondi derivava dall’espansione internazionale dei progetti infrastrutturali cinesi legati alla Belt and Road Initiative, mentre altri capitali provenivano da investitori privati alla ricerca di sbocchi meno costosi rispetto al mercato immobiliare cinese, ormai surriscaldato. A questo si aggiunse l’aumento vertiginoso del turismo proveniente dalla Cina.
Phnom Penh cambiò volto in pochi anni: il profilo urbano, un tempo dominato da edifici coloniali bassi e color ocra, lasciò spazio a una distesa di torri in vetro e acciaio. Ancora più drastica fu la metamorfosi di Sihanoukville, ex località balneare tranquilla, trasformata in un polo di casinò, hotel di lusso e complessi residenziali. Qui confluirono non solo turisti e investitori, ma anche giocatori d’azzardo, spinti dal divieto di gioco vigente in Cina. In questo contesto, la rapida ascesa di Chen Zhi apparve fuori scala. Nel 2014 ottenne la cittadinanza cambogiana, rinunciando a quella cinese, un passaggio che gli consentì di intestarsi direttamente terreni e proprietà, a fronte di un contributo minimo di 250 mila dollari allo Stato. L’origine dei suoi capitali rimase però opaca. Nel 2019, aprendo un conto bancario sull’Isola di Man, dichiarò di aver ricevuto due milioni di dollari da uno zio non meglio identificato per avviare la sua prima operazione immobiliare. Nessuna prova documentale è mai emersa a sostegno di questa versione.
Il Prince Group nacque ufficialmente nel 2015, quando Chen Zhi aveva soltanto 27 anni, con un focus iniziale sul real estate. Tre anni dopo ottenne una licenza bancaria per creare la Prince Bank. Nello stesso periodo acquisì la cittadinanza cipriota, in cambio di un investimento di almeno 2,5 milioni di dollari, aprendo così le porte dell’Unione Europea. Successivamente ottenne anche il passaporto di Vanuatu. Nel giro di pochi anni il gruppo si espanse in settori sempre più diversi: compagnie aeree, centri commerciali di fascia alta, hotel a cinque stelle e progetti faraonici come la cosiddetta “Baia delle Luci”, una eco-città dal valore stimato di 16 miliardi di dollari. Nel 2020 Chen Zhi ha ricevuto dal sovrano cambogiano il titolo onorifico di “Neak Oknha”, il più elevato riconoscimento del Paese, riservato a chi effettua donazioni significative al governo.
In quella fase, ha consolidato relazioni politiche di altissimo livello: consigliere del ministro dell’Interno Sar Kheng, partner d’affari del figlio Sar Sokha, e collaboratore diretto di Hun Sen e, successivamente, di Hun Manet dopo la sua ascesa alla guida del governo nel 2023. I media locali lo hanno celebrato come mecenate, lodando il finanziamento di borse di studio e le donazioni durante l’emergenza Covid. Nonostante ciò, Chen Zhi è rimasto una figura schiva, poco incline alle apparizioni pubbliche. Secondo il giornalista Jack Adamovic Davies, autore di una lunga inchiesta su di lui, chi lo ha incontrato lo descrive come una persona pacata, educata e capace di esercitare un’autorità silenziosa. Una discrezione che, col senno di poi, potrebbe aver contribuito a schermarlo da attenzioni indesiderate. Il punto di svolta arriva nel 2019, con il crollo della bolla immobiliare a Sihanoukville. Il settore del gioco d’azzardo online attirò organizzazioni criminali cinesi, scatenando violenti conflitti tra bande e allontanando i turisti. Sotto la pressione di Pechino, il governo cambogiano vietò il gioco online nell’agosto di quell’anno. Centinaia di migliaia di cittadini cinesi lasciarono la città, e interi complessi residenziali rimasero vuoti. Eppure, nonostante il tracollo, Chen Zhi ha continuato ad comprare beni di lusso e a espandere il proprio raggio d’azione. Secondo le autorità occidentali, avrebbe investito decine di milioni in immobili a Londra, New York, jet privati, yacht e opere d’arte, tra cui un dipinto attribuito a Picasso.
Per Stati Uniti e Regno Unito, l’origine di questa ricchezza risiede nell’industria criminale più redditizia dell’Asia contemporanea: la frode online, alimentata da traffico di esseri umani e sofisticati sistemi di riciclaggio. Le sanzioni imposte colpiscono oltre cento società e numerosi individui legati al Prince Group, descrivendo una rete globale di società di comodo e portafogli digitali usati per occultare i flussi finanziari. Al centro delle accuse figurano complessi come il Golden Fortune Science and Technology Park, vicino al confine vietnamita, dove – secondo testimonianze raccolte – lavoratori provenienti da diversi Paesi sarebbero stati trattenuti con la forza e costretti a perpetrare truffe informatiche. Oggi, dopo l’annuncio delle sanzioni, banche e governi regionali prendono le distanze dal gruppo. Le autorità cambogiane cercano di rassicurare i risparmiatori, mentre Singapore e Thailandia avviano verifiche sulle attività locali. Resta però difficile immaginare un netto distacco dell’élite di Phnom Penh da un uomo con cui i legami sono stati così stretti per anni. Di Chen Zhi, intanto, si sono perse le tracce. L’uomo che fino a poco tempo fa figurava tra i più influenti del Paese sembra essersi dissolto, lasciando dietro di sé un intreccio di potere, denaro e accuse che ora scuote l’intera Cambogia.
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Sempre la storia dimostra che questo tipo di progresso tecnologico è spesso seguito dallo sviluppo di contromisure, non a caso stiamo assistendo alla comparsa di armi anti-drone, queste sia di tipo convenzionale, con un proiettile che viene sparato contro di essi, ma anche del tipo a energia concentrata, ovvero laser. L’evidenza però è che l'uso dei droni abbia cambiato la natura della guerra, con la zona in cui le forze di terra sono vulnerabili ad attacchi letali da parte di mezzi a pilotaggio remoto che si estende tra dieci e sedici chilometri dietro la linea del fronte. Ciò ha reso trincee, posizioni fortificate e veicoli blindati molto più vulnerabili di quanto non lo fossero in precedenza, costringendo l’industria a sviluppare nuovi tipi di protezioni da installare a bordo. Così se inizialmente i droni hanno dimostrato il loro valore nelle operazioni di intelligence, sorveglianza e ricognizione, poi in quello di effettori d’attacco, ora costituiscono anche una forza di difesa restando comunque utili per la raccolta di informazioni in tempo reale e per fornire consapevolezza della situazione del campo di battaglia, come anche a supporto della pianificazione e del comando, nel controllo e nella comunicazione come nell'avvistamento dell'artiglieria.
Un colpo deve costare meno di un proiettile
Uno dei problemi da risolvere per praticare un vero contrasto ai droni sono i costi: un sistema laser, oltre che costoso è anche difficilmente trasportabile e resta comunque vulnerabile a eventuali attacchi, dunque in Ucraina vengono usate le infinitamente più economiche reti che riducono l'efficacia dei droni imbrigliandone le eliche. La Marina britannica ha recentemente annunciato che impiegherà un'arma a energia diretta denominata DragonFire, sistema che come detto, sebbene presenti delle limitazioni, come il costo iniziale, le dimensioni, la necessità di alimentazione elettrica e il fatto di dover avere il bersaglio in vista per colpirlo, a ogni colpo costa soltanto l’equivalente di 12 euro. L’alternativa è usare la radiofrequenza, ovvero un’onda radio, che però in quanto a limitazioni si discosta di poco dall’altro: presenta l’indubbio vantaggio di poter colpire più bersagli contemporaneamente, ma non può distinguere tra i bersagli che ingaggia quali sono amici e quali nemici. Tradotto: nessun mezzo amico può volare quando viene usato tale sistema. Non si risolve il problema neppure con effettori come piccoli missili, che costerebbero più di altri droni: esistono, sia chiaro, ma se per neutralizzare un oggetto del valore di qualche migliaio di dollari se ne impiega uno che costa qualche milione, come è avvenuto nel Mar Rosso durante i primi attacchi dei ribelli Houthi alle navi commerciali, le contromisure si rivelano insostenibili.
Un nuovo problema, costruirli in fretta
A parte l’Ucraina, l’Iran e la Cina, nessuna altra nazione è in grado di produrre droni in modo sufficientemente rapido e puntuale per usarli in modo massiccio. Inoltre, l’evoluzione dei droni stessi è tanto rapida che nessuna forza armata può permettersi di tenere in magazzino un arsenale di unità che invecchierebbero in pochi mesi. Ciò ha creato una vulnerabilità critica nelle catene di approvvigionamento delle componenti dei droni, in particolare la dipendenza dell'Occidente da parti e materiali di origine cinese che presentano ovvi rischi per continuità di fornitura, possibili intrusioni software e quindi pericolo per conflitti futuri.
Un rebus tra materiali, costi e normative green
Per risolvere la situazione occorre una nuova corsa alla produzione protetta basandola sulla cooperazione internazionale, costruendo solide alleanze per la produzione di droni tra i membri della Nato concentrandosi sulla produzione coordinata e sempre sull'innovazione. Il tutto per realizzare catene di approvvigionamento sovrane: investire nella produzione nazionale di componenti critici, inclusi semiconduttori e sensori, per ridurre la dipendenza da materiali di origine asiatica. Ciò perché oltre Pechino, si è anche persa la certezza della continuità di produzione proveniente da Taiwan. Un altro metodo è standardizzare la produzione di droni concentrandosi sulla produzione scalabile. La chiamano resilienza ma si tratta di sicurezza della catena di approvvigionamento, partendo dal disporre di una riserva di terre rare e di materiali definiti critici. Questa strategia è però resa ancor più difficile dall’applicazione di severe direttive ecologiche da parte dell’Unione europea e degli Usa, dove già talune produzioni non possono essere più fatte con taluni materiali, con il risultato che un numero significativo di componenti risulta oggi non rispondente alle caratteristiche di quelli precedenti. Lo sa bene chi progetta, sempre più in lotta con dichiarazioni per le normative Reach, che comprende migliaia di sostanze chimiche in vari prodotti inclusi abbigliamento, mobili, ed elettronica), e RoHs, la specifica per i dispositivi elettrici ed elettronici che limita le sostanze pericolose come piombo, mercurio, cadmio e altre per proteggere l’ambiente. E si sa che la guerra non è certo ecologica.
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Il ministro degli Esteri del Regno di Giordania Ayman Safadi
Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi spiega la partecipazione di Amman all’operazione Usa in Siria contro l’Isis, il ruolo della comunità drusa nella stabilità interna e l’impegno della Giordania per la pace e la sicurezza nella Striscia di Gaza. «Questi terroristi vogliono ricostituire lo Stato Islamico», avverte.
Nell’attacco alle posizioni dello Stato Islamico in Siria Washington ha colpito 70 obiettivi, neutralizzando la cellula che agiva nella provincia orientale siriana di Deir Ezzor. Questi miliziani dell’Isis erano i responsabili dell’attacco di Palmira dove avevano perso la vita tre americani, due militari e un interprete civile ed erano noti per le continue offensive con droni in questa area. L’operazione, denominata Occhio di falco, si è estesa a diverse località della Siria centrale utilizzando caccia, elicotteri d'attacco e artiglieria e agendo insieme all’aviazione della Giordania. Amman ha confermato la sua partecipazione a questa azione militare ribadendo la propria volontà di sradicare lo Stato Islamico dal Medio Oriente. Ayman Safadi è vice primo ministro e ministro degli Esteri del Regno di Giordania da quasi 9 anni ed è un diplomatico di grande esperienza.
Ministro Safadi, la partecipazione delle vostre forze aeree all’operazione degli Usa dimostra il vostro interesse ad essere protagonisti in Medio Oriente.
«Abbiamo deciso di affiancare gli statunitensi del Centcom perché riteniamo l’Isis un pericolo per tutta la nostra area e soprattutto per la Giordania. Questi terroristi hanno già cercato di infiltrare la nostra nazione, ma la loro propaganda non ha mai attecchito. La Giordania è uno dei 90 paesi che compongono la coalizione globale contro l'Isis, a cui la Siria ha recentemente aderito e questa operazione è l’attuazione pratica dei nostri principi. La nostra aviazione ha agito per impedire ai gruppi estremisti come questo di sfruttare questa regione come una rampa di lancio allo scopo di minacciare la sicurezza dei paesi vicini alla Siria e del Medio Oriente in generale, soprattutto dopo che l'Isis si è riorganizzato e ha ricostruito le sue capacità nella Siria meridionale. In troppi hanno sottovalutato la rinascita di questo network del terrorismo che è proliferato in Africa, dove gestisce traffici di armi, droga e migranti. Con i guadagni di queste attività criminali vogliono ricostituire lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, quella creatura nefasta che aveva conquistato il nord dell’Iraq e tutta la Siria orientale».
Il Medio Oriente è una regione complessa per le diversità culturali e religiose. In Giordania la convivenza sembra funzionare: come vive la sua comunità drusa questo equilibrio?
«Noi drusi siamo un gruppo etno-religioso con una lunga storia e abbiamo sempre lottato per le nazioni dove viviamo. In Giordania la comunità è piccola, ma siamo fieri di essere giordani. In Siria la situazione è complicata per i drusi che sono stati attaccati dai beduini e probabilmente anche da elementi dello Stato Islamico, il nuovo governo di Damasco deve fare di più per difendere le minoranze. Il presidente siriano Ahmed al Shara ha pubblicamente dichiarato di combattere lo Stato Islamico, ma ci sono intere province del sud e dell’est che sono fuori controllo e ci sono ancora troppe armi in Siria».
Il governo israeliano ha dichiarato di non fidarsi del nuovo regime di Damasco, qual è la posizione di Amman?
«Il presidente statunitense Donald Trump ha voluto togliere tutte le sanzioni alla Siria, aprendo un grande credito al nuovo corso. Adesso al Shara deve dimostrare di meritare questa fiducia e lo deve fare pacificando la sua nazione, la Siria è un paese con tante anime: sunniti, sciiti, cristiani e drusi. Washington sta dedicando una grande attenzione al Medio Oriente e questo è positivo. Soltanto il presidente Trump può ottenere una pace duratura e un futuro per la Striscia, la Giordania segue con estrema attenzione ciò che accade a Gaza perché circa il 50% della nostra popolazione è di origine palestinese. Noi siamo totalmente contrari a una divisione della Striscia, il territorio dei palestinese non deve essere toccato ed i confini devono restare gli stessi. La cosa più importante è garantire la sicurezza di tutti, dei palestinesi, degli israeliani ed anche delle nazioni vicine. La Giordania ha sempre represso la presenza di Hamas sul suo territorio, chiudendone gli uffici ed esiliandone i funzionari nel 1999. Negli ultimi anni abbiamo aumentato la sicurezza alle frontiere per ostacolare il contrabbando di armi, collegato ad Hamas che nel passato ha tentato di destabilizzare la Giordania».
Quale futuro per la Striscia di Gaza?
«Dobbiamo difendere la pace e ricostruire un posto dove gli abitanti di Gaza possano vivere. Il nostro sovrano ed il nostro governo hanno più volte dichiarato di essere favorevoli ad un maggior impegno degli europei nella Striscia. La Giordania ha relazioni eccellenti con l’Italia. Sua Maestà il Re Abdullah II di Giordania a marzo ha incontrato Giorgia Meloni e ha espresso apprezzamento per la solida cooperazione tra le due nazioni nell’assistenza umanitaria a Gaza. Il presidente del Consiglio italiano ha voluto sottolineare ancora una volta il ruolo svolto dalla Giordania, come una forza di pace e di dialogo determinante per il futuro di tutta l’area».
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