2018-09-24
«Comodo fare i democratici solo se il popolo vota “bene”»
Il politologo Marco Tarchi vicino alla destra: «Con la scusa che la gente può sbagliare, qualcuno giustifica l'autoritarismo. La sinistra? Perde perché si è ridotta a fare lezioncine».Nel 2003 arrivò in libreria il saggio L'Italia populista. Dal qualunquismo ai girotondi, sostituiti nell'edizione 2015 da a Beppe Grillo. Autore (preveggente): Marco Tarchi, che insegna scienza della politica nell'università di Firenze.Se la presento come «politologo di destra» si offende?«Non sarebbe un'offesa, ma un errore. Perché con le varie destre ho più punti di divergenza che di accordo, ma soprattutto perché concordo con Max Weber: “La politica non si addice al docente quando se ne occupa dal punto di vista scientifico". Tengo accuratamente distinte le mie opinioni e il lavoro di ricerca e studio».La dialettica popolo/élite ha sostituito la dicotomia destra/sinistra? «Di destra e sinistra si possono costruire i più disparati modelli ideali - come, ad esempio, ha fatto Norberto Bobbio - ma oggi i cittadini, quando devono prendere posizione di fronte a un problema, non si preoccupano più di schierarsi di qua o di là rispetto a questo spartiacque. Scelgono ciò che sentono giusto. E, certamente, la loro diffidenza per “quelli che stanno in alto" è molto cresciuta, dopo tutti gli errori della classe politica a cui hanno assistito».«Quelli in alto» ci vogliono sudditi, per citare il volume di Massimo Fini?«Se ci si riferisce alla condizione degli “uomini qualunque" nelle attuali liberaldemocrazie, sì: la leva del potere reale è in mani ben diverse dalle loro e la loro volontà non ha alcun effetto sulle decisioni assunte ai vertici. Ma l'attuale ondata di successi elettorali dei partiti populisti sta a significare che la voglia di riappropriarsi di una voce in capitolo è molto diffusa. L'introduzione di strumenti di democrazia diretta, come i referendum propositivi e le iniziative legislative popolari, che quasi tutti quei partiti propongono, potrebbe riequilibrare il rapporto fra cittadini e istituzioni».Per Ilvo Diamanti, da lei richiamato, «il termine populista ci va bene quando si applica a soggetti che ci stanno antipatici, non ci piace se applicato a qualcuno che sta dalla nostra parte».«È così, perché la parola è stata ridotta a un insulto, a un'arma da usare contro gli avversari. Quando invece essa descrive una mentalità ben precisa, che può attecchire negli ambienti più diversi. Il populismo è il prodotto dell'incapacità della classe politica, sia liberale sia socialdemocratica, di affrontare efficacemente i gravi problemi che si sono manifestati negli ultimi decenni, soprattutto a causa della globalizzazione».Populismo e sovranismo sono sinonimi?«No, anche se possono sovrapporsi. Si può reclamare la sovranità di uno Stato senza accettare quella del popolo. Ai populisti stanno a cuore entrambe: l'autoritarismo non riscuote il loro gradimento. Altra confusione da evitare: quella tra popolo e massa. Con il primo termine s'intende un'unità coesa e provvista di un proprio senso, in grado di decidere del proprio destino: così la vedono i populisti, ma in fondo anche molti teorici della democrazia. La massa è un semplice aggregato di individui». Le percezioni, lei afferma, esercitano nella vita quotidiana un'influenza ben maggiore di qualunque tabella statistica. Le chiedo: ma le percezioni non possono essere indotte? Se ripeto da mane a sera, ogni giorno in ogni dove (tv, radio, Web), che esiste un «pericolo giallo», è possibile che i sondaggi registrino un incremento dell'intolleranza verso i cinesi?«Ci sono percezioni indotte, ma ce ne sono molte spontanee e giustificate. Del resto, non è forse vero che da mane a sera molte tv, radio, giornali, siti web fanno un'apologia retorica dell'accoglienza degli immigrati, usando e abusando del ricatto della commozione, esaltano l'Unione europea, trattano i populisti come il nuovo fascismo? E non è un'induzione di percezioni anche questa?».Un anno fa Francis Fukuyama, noto per aver scritto La fine della storia nel 1992, citò il caso del presidente Andrew Jackson, eletto nel 1829, come esempio di populismo «deteriore»: detestava le élite, volle governare senza esperti e fece disastri. La sua fu un'amministrazione inefficiente e corrotta. Ma in Identity, ultimo suo saggio appena uscito, Fukuyama cita anche un populismo «costruttivo»: quello con cui, nel 1932, Franklin Delano Roosevelt alimentò il suo New Deal. Insomma, c'è populismo e populismo. «Il populismo non è né un'ideologia né soltanto uno stile: è una mentalità, che si può declinare in molti modi diversi, e che può produrre una varietà di effetti. Tuttavia le sue manifestazioni odierne poco hanno a che fare con quelle di epoche precedenti: diversi sono i problemi che le generano e diverse sono le soluzioni che i populisti sostengono per risolverli. Solo la prova del governo può dimostrare se sono nella ragione o nel torto».«Chi difende un regime, quale che esso sia, lo proclama democratico» (George Orwell, 1957). «È tale la potenza della parola democrazia che nessun governo o partito osa vivere, né crede di poterlo fare, senza iscrivere questo termine sulla sua bandiera» (François Guizot, 1849). «Per esordire con un paradosso potrei dire che democrazia è un nome enfatico riferito a qualcosa che non c'è» (Giovanni Sartori, 1957). Chi ha ragione?«Tutti e tre. Ed è proprio l'aver fatto della democrazia un tabù, averne retoricamente mitizzato ed esaltato le qualità, che ha fatto amaramente constatare a buona parte dell'opinione pubblica quanto la realtà abbia tradito le aspettative che quella visione idealizzata aveva suscitato. Una delle cause dei successi populisti sta qui».Ci sarebbe poi il mantra a 5 stelle: «Uno vale uno». Un richiamo all'essenza morale, quasi religiosa, della nozione.«Una studiosa molto acuta del populismo, Margaret Canovan, ha distinto due concezioni della democrazia: una pragmatica, l'altra “redentrice". Nel primo caso si considera questo tipo di regime politico come il più adatto a risolvere pacificamente i problemi quotidiani, nel secondo lo si pensa come il luogo in cui il popolo, autogovernandosi, può finalmente esplicitare le sue innate virtù etiche. È evidente che Beppe Grillo e i suoi propendono per quest'ultima versione. Differenziandosi in questo dalla Lega. Che è un partito che esprime in modo sistematico e coerente la mentalità populista, in tutte le sue sfumature. Mentre il M5s del populismo declina i lati “protestatari" ma non, se non in misura minima, quelli “identitari", che invece nel discorso politico di Grillo erano ben presenti (e hanno contribuito in misura significativa ai successi del suo Movimento).Sostiene Alain de Benoist, intellettuale fondatore della francese Nouvelle droite, autore del volume Democrazia. Il problema (di cui lei ha scritto la postfazione per le edizioni Arnaud nel 1985): «Le democrazie liberali moderne provano ripugnanza a vedere nel popolo un concetto organico e relativamente unitario, le pratiche che esse mettono in opera contribuiscono a smantellarlo, a frammentarlo dapprima in fazioni e partiti, poi in individui estranei gli uni agli altri».«Ha ragione. Il liberalismo è fondato sull'individualismo e storicamente si è affermato in opposizione ai corpi intermedi in cui erano articolate le società preesistenti. Perciò i suoi teorici hanno a lungo osteggiato gli ideali democratici, in cui vedevano l'aspirazione alla ricomposizione di una comunità popolare, i cui interessi erano destinati a prevalere su quelli dei singoli».Il che ci porterebbe a concludere con un altro paradosso che «liberali democratici» è un ossimoro. Un paradosso ulteriore è quello del «Crucifige!», come da titolo del pamphlet di Gustavo Zagrebelski: se lasci libero il popolo di decidere, quello, abilmente manipolato, sceglie Barabba.«È l'argomento ideale per giustificare qualunque regime autoritario o totalitario: poiché il popolo è rozzo e incosciente, ci vuole qualcuno che pensi per lui e lo guidi dov'è opportuno che vada. Però gli diamo un contentino per tenerlo buono: a seconda dei casi, panem et circenses, adunate di masse e dopolavoro, diritto di voto (purché voti “bene", però: altrimenti non vale). Se questa è democrazia…».Per chiuderla con i paradossi. Mentre si va verso il popolo, i partiti sembrano perdere il profilo di organismi collettivi per disegnarsi a misura del proprio leader: il popolo rappresentato da (o che si identifica con) un uomo solo al comando. E pluribus unus. «C'è caso e caso. Nei partiti populisti, il leader ha comunque un legame stretto e immediato con i suoi seguaci, che lo vedono come il loro portavoce. È un ventriloquo: attraverso la sua bocca è il popolo che deve parlare. Nei partiti personali tout court, l'affidamento al leader è passivo; ci si basa sull'ammirazione. È quel che separa Matteo Salvini o Grillo da Silvio Berlusconi. Nei partiti che sono rimasti ancorati a modelli classici (e superati), il leader è spesso solo il capo della corrente prevalente, che gli avversari non vedono l'ora di disarcionare».Vedi alla voce: segretario del Pd (uno qualunque). Se questa è l'aria che tira, che speranze ci sono per quel partito, o per il centrosinistra, o per chi comunque vuole essere alternativo al governo grilloleghista?«Molto poche, finché non capiranno che non possono limitarsi a impartire lezioni ex cathedra alla gente comune, tirandole le orecchie, ma devono ascoltarla e ammettere che le preoccupazioni che la tormentano sono tutt'altro che infondate».Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che cita Alessandro Manzoni: «Il buon senso c'era ma se ne stava nascosto per paura del senso comune», si pone contro lo zeitgeist, lo spirito del tempo?«Ci vuol ben altro che un gioco di parole e/o una citazione dotta e d'altri tempi per contrapporsi al vento populista…».
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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