2023-02-17
Colonnine e libertà di movimento: l’auto elettrica è un cappio classista
Altro che un milione di ricariche, i ricchi avranno quelle private e il ceto medio non si sposterà. Al massimo sarà costretto a passare al car sharing per gli alti costi. Paolo Gentiloni finge di svegliarsi: «Fattibilità da verificare».In Italia esistono circa 23.000 distributori. Se prendiamo una media di sei pompe di benzina ciascuno, il totale fa 138.000 punti di rifornimento. Se confrontiamo i tempi medi di ricarica tra motore a scoppio e auto elettrica il rapporto è di 5 minuti, nel primo caso, contro i 40 minuti per un mezzo elettrico. Probabilmente servirà più tempo, ma stiamo comunque bassi, tanto il dato ci serve per un calcolo - consentiteci - spannometrico. Per mirare alla stessa capacità di approvvigionamento di cui godono oggi gli automobilisti italiani dovremmo installare lungo la Penisola almeno un milione di colonnine. A gennaio il numero di punti di ricarica elettrici è arrivato a 36.000 unità e nell’ultimo anno e mezzo ne sono state messe a terra oltre 10.000. È fattibile arrivare al milione? No. Certo che no. Mettiamo pure però che il Paese sia in grado di sostenere un tale investimento e mettiamo pure che si voglia riempire le città di obbrobri estetici cui attaccare le macchine, dovremmo metterci da subito a riempire le Regioni di centrali nucleari. Nessuna rete elettrica sostenuta da rinnovabili o altre fonti non rinnovabili sarebbe in grado di gestire tali picchi di consumi.Mettiamo, infine, che tutte queste premesse si realizzino e che l’Italia si riempia di colonnine, nessun intervento umano sarà in grado di cambiare la nostra orografia, la conformazione delle nostre città, molte delle quali sono chicche uniche a livello globale. Gli appennini non equivalgono alla pianura e il centro di una città come Genova oppure Napoli non equivale in alcun modo a una città moderna sul modello americano o semplicemente ai centri urbani tedeschi, in buona parte ricostruiti dopo la fine della seconda guerra mondiale. Il risultato sarà dunque la messa a terra di una delle più grandi rivoluzioni classiste della storia dell’Europa. Solo i ricchi che abitano nelle zone Ztl e che sono dotati di un box auto con tanto di colonnina privata avranno la libertà di spostarsi. Di andare da un punto A a un punto B senza disagio. Magari perché avranno un box con ricarica pure nella casa al mare. Gli altri non avranno a disposizione una presa personale. Dovranno fare code di ore probabilmente, o ricorrere a escamotage. Più facile l’opzione dei mezzi pubblici e la rinuncia totale all’auto. Oppure molti italiani saranno costretti a ricorrere al car sharing, dicendo addio all’auto di proprietà. Senza dimenticare l’incredibile transazione di dati sensibili. Colonnine, ricariche green e car sharing consentono solo l’uso della moneta virtuale, delle carte di credito, con rischi enormi per la privacy. C’è inoltre il tema dei costi di un eventuale acquisto, di manutenzione e di approvvigionamento. Una Fiat 500 benzina costa mediamente 15.000 euro e può tranquillamente vivere una ventina di anni. L’equivalente full electric costa circa il doppio e, salvo si voglia spendere migliaia di euro in una nuova batteria, dura la metà. Perché? Ne abbiamo scritto più volte. C’è un tema di efficacia delle batterie, ma c’è anche un tema prettamente commerciale che si chiama «obsolescenza programmata». Come quella che impone il ricambio degli smartphone a ogni giro d’orologio. Per queste semplici ragioni chi apprezza la libertà desidera che i motori restino a scoppio. Le immagine del boom economico, della libertà per i diritti delle donne sono collegati alla possibilità di muoversi in auto come e quando si vuole. Decine di film, non solo Thelma & Louise, raccontano la sensazione di accendere un motore e andare verso una nuova vita, migliore o peggiore che sia. Invece, con l’auto elettrica dei poveri si potrà al massimo andare in periferia o al paese confinante. Non è forse un caso se nel 2021, nonostante sia stato l’anno di picco, il numero di vetture elettriche immatricolate non ha superato le 70.000 unità. Mentre lo scorso anno il numero è sceso a 49.000. In Sardegna oggi non ci sono colonnine elettriche. Nelle altre Regioni del Sud molto poche. In Calabria in un anno sono state vendute una dozzina di auto elettriche. Non serve dare una spiegazione. Gli italiani stanno lontani dall’elettrico e non si fanno incantare. Il mezzo non piace: non serve una laurea per capire che nel complesso non ci migliorerà la vita. Al contrario, sarà un’altra tassa occulta e una barriera per qualunque tipo di benessere. Migliaia potranno godersi la vita. Ma milioni staranno peggio. Non possiamo prendere a paragone Stati come la Germania nei quali il numero di auto elettriche immatricolate è arrivato a quota un milione, con quote di mercato vicine al 50%. Altra orografia e altra tradizione. Ma soprattutto gli italiani storicamente si impegnano nell’acquisto dell’auto e della casa, perché lo trasformano in un ammortizzatore sociale. Ed è proprio per questo che i vertici dell’Ue sono interessati a cambiare la struttura sociale del nostro Paese. A costo di azzerare la borghesia e creare il nuovo proletariato. Le dichiarazioni di contorno sono solo palliativi irritanti. L’ultima in ordine di tempo, quella di Paolo Gentiloni, commissario all’Economia. «L’obiettivo del 2035 per lo stop alle auto nuove benzina e diesel è stato deciso due anni e mezzo fa, è un obiettivo che sarà verificato nella sua fattibilità ma è molto importante per le imprese dare un orizzonte», ha spiegato concludendo: «Noi non possiamo improvvisare trasformazioni di questo genere». Che cosa voglia dire è difficile capirlo. Probabilmente solo un modo per mettere le mani avanti con il rischio però che cada la maschera delle vere intenzioni sotto la scorza green.
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